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“Etnia”, la parolaccia che avvelena il mondo
13 Agosto 2008
 

Il mese più crudele non è - come credeva Eliot - aprile, bensì agosto, almeno dal 1991, da quando cioè l'affermarsi di una gestione unipolare degli affari mondiali ha spezzato e spazzato via persino il falso e ambiguo equilibrio del terrore, espresso dal fatale acronimo MAD (mutua assicurazione di distruzione) con una parola che significa anche follia. E non c'è rutilante immagine delle Olimpiadi, ricerca e rappresentazione della bellezza di corpi atletici che gareggiano senza armi, che possa prendere il posto, cancellare l'orrore delle vite stroncate dalla guerra in Georgia. Nel corso delle Olimpiadi antiche ogni conflitto taceva, non più oggi quando siamo tanto “moderni” o addirittura “postmoderni”. Riappaiono guerre atrocissime: e forse le nostre giornate di vacanza non ne sono turbate?

Non su tutto si può mediare, né sottrarsi alle responsabilità: non si possono accusare gli astri o le streghe o una qualche maledizione celeste. Vi sono responsabilità politiche precise, che a partire dalla dissoluzione della ex-Jugoslavia in Europa e nel mantenere aperto il conflitto in Medio Oriente mantengono sotto ricatto il mondo. Da quando la ex Jugoslavia è stata fatta saltare con i primi riconoscimenti delle secessioni etniche (da parte della Germania e del Vaticano) si è aperta una valanga una cascata di disgrazie etniche, di guerre atrocissime, di vendette senza fine.

Non sono estranee a tutto ciò le indulgenze, i favoreggiamenti, che dall'attuale maggioranza vengono e non sono respinte, non denunciate con forza e ribrezzo dalle opposizioni parlamentari, verso atteggiamenti chiaramente razzisti, che provocano inquinamenti culturali et etici gravi, addirittura indizione di crociate da parte di Borghezio. L'odio e il disprezzo e la richiesta di pulizia etnica negano qualsiasi impianto universalistico internazionalistico umanistico della storia e cultura europea. E mondiale.

Che fare? non su tutto si può mediare, non su tutto si può passare. Il razzismo nasce dalla cultura delle “identità etniche” assolutizzazione delle appartenenze nazionali, che ben si collocano sotto il segno di quel falso universalismo che viene chiamato globalizzazione. Ma ora troppo è l'orrore, troppo il disgusto, troppo il dolore, per farci su analisi e discorsi.

Sono convinta che occorra trovare un momento, una parola, un foglio, una pausa umana per dichiarare solennemente che siamo uomini e donne che apparteniamo alla terra e al cielo stellato sotto cui viviamo e moriamo e non ad altro, che qualsiasi tentativo di arruolamento sotto bandiere avvelenate e traditrici deve essere rifiutato con serena fermezza e che la causa dell'umanità deve passare oltre ogni ostacolo per ridire parole che l'Europa ha conosciuto e poi negato e poi dimenticato e che ora non ritrova: le risorse sono misurabili e non si possono sprecare, la terra è di tutti e tutte, di chi vi nasce, fornito di diritti che non dipendono da doveri. E gli stati reprimono questi diritti usando la guerra per le politiche imperiali. Bisogna opporsi in nome delle vittime innocenti di conflitti che insanguinano il pianeta di un colore che nessuna pioggia può lavare. Bisogna far arrivare ovunque la voce di chi si riconosce in una comune umanità senza frontiere.

Lo possiamo fare noi sinistra, noi Rifondazione che paghiamo caro il prezzo di nostri errori riconosciuti e di generosità negate, e che ancora intendiamo agire, lottare, pensare perché vi sia un altro mondo possibile, che rifiuti con disgusto e vergogna di dividere le persone in nome di qualsiasi “etnia” (una vera parolaccia).

Facciamo dunque partire un messaggio che dica solo “Basta!”, nessuna causa merita che diventiamo nemici, nessuna causa può chiedere che altre persone siano uccise, assassinate, negate. Davvero si è alla disperazione, e non si può tacere, non si può assistere.

Anche se qualsiasi cosa ci venga in mente appare dolorosamente insufficiente, incredibile, non possiamo tacere, diciamo “basta”: che le organizzazioni politiche internazionali ritrovino una voce e ascoltino i popoli. Le N.U. ritrovino le parole della loro carta fondativa: senza di ciò perdono tempo in trattative che durano anni senza concludere nulla. La loro ragione fondativa fece dire che la guerra è sempre un crimine e dunque a ciò bisogna appellarsi e premere. Contra spem. Anche contro ogni speranza.

 

Lidia Menapace

(da Liberazione, 10 agosto 2008)


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