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Marina Pizzi: Miserere asfalto (afasie dell’attitudine). Quinta parte
Georges Roualt: Pierrot
Georges Roualt: Pierrot 
24 Aprile 2009
 

301.

prima della congiura i congiurati presero a giocare a scacchi

302.

il nuovo calendario è tutto da vivere, rivivere, ma il vero remo è lo scheletrico bagliore del dado tratto, il datario di un abaco bacato

303.

chiudere un declino per provare amore, questa la carabattola di chi non vuol morire ma officiare un ciclo di ritorno

304.

in un meriggio di acquavite, di long drink, bussa alla porta la madre. ha l'aria poveretta di chi vede e guarda. non dice nulla, richiude. sono talmente ubriaco che sussurro: "Prendimi dentro di te e non darmi nascita".

305.

ho un'edicola nel seno, invento scritte che farabutte non mi fanno dormire

306.

con l'aquila nell'occhio va ogni giorno al lavoro notando tutto. il tragitto è un'autentica sofferenza. lo stress valica ogni confine e timbrare il cartellino è il fine. nessun lamento, la constatazione è cronachetta cronica.

307.

la colazione a letto si vede solo nei film o durante le cronache delle convalescenze di persone non sole e amate.

308.

con il fantoccio del credo vado a letto

musicando giochini d'erta marcia

309.

le rovine del bacio sono affisse

alle sbilenche aureole del giorno

310.

con la lucertola nell'occhio vado a mettermi

la luna per anello: gl'impedimenti producono verità rare, commiati molti stretti. nell'ordine del tinello l'odore dei fornelli si fa acidulo, durezza della vita.

311.

il pagliaccio si esibisce gratis, alla fine non passa con il berretto a chiedere soldi. si esibisce per spaziarsi da sé, è un ritornello come per non abdicarsi, per caricare la soma a tempo bello.

312.

con indici atroci, semplicemente atroci, si scrivono e scavano i libri. dai libri i film, dai film le musiche per film. tutto in una scia atroce d'indice. giallo o nero, di guerra o fantasy l'indice è atroce. l'amore un corollario, la gioia un divieto. le vite dei santi sono state e sono atroci. attendo con una contorsione di andarmene.

313.

con un cielo anonimo la pendola ripete e ripete angoli di tempo. in un vaso i fiori avvizziscono ben lesti. sul crocicchio delle elemosine le fioche adunanze di mani. ben da presto si mangia salsedine. anche i gabbiani sono affranti.

314.

il lutto così accanto è per il quaderno e le matite, nulla si scrive e la biblioteca è chiusa. l'osso è il muso, il viso della scrivania, tutto è finito e l'ordine è il vuoto.

315.

il quaderno del grave stadio grave

316.

in un letto di foglie ho visto l'angelo grattarsi perplesso la nuca. di sicuro più savio desidera sollevarmi. e lo fa. non ho paura affatto anzi mi diverte. in piedi divento angelo.

317.

da un indice di nebbia ho visto il vero, questa cuccuma di cuore in fase di verdetto   

318.

si va di soffitta in soffitta, di cantina in cantina con il cancro alle caviglie. si è vecchi.

319.

in un cielo di acrobata ho visto il bello di rasentare terra, a capofitto la terra solo sfiorandola e la girandola se ne andava sempre più veloce. tutto qui, eppure ero felice di non essere a terra. il postino consegnava le lettere e non mi degnava di uno sguardo. dall’alto sapevo che i cipressi non mentono, ma il corpo delle nuvole dava un bluff.

320.

in un viottolo di crepe la donna cuce. dovrebbe rammendare il mondo. in un angolo il figlio si rigenera in un gioco inventato. il vento è leggero tanto per non disturbare. il padre giace con l'ossigeno e attende la morte. in casa tutto è intatto.

321.

una volta si stranieri si potevano incontrare quasi solo al centro città, turisti, studiosi, studenti, persone per affari. oggi stranieri di grandi lontananze sono davanti l'uscio di casa in periferia, in un comune solitario, in un'isola e sono gli straccioni dell'apocalisse. anche se sani sono già malati di vita pessima. dati i presupposti forse non invecchieranno. gli stenti e la fatica li fissano in trincea. all’ospedale c’era uno straniero che a letto restava immobile sotto il lenzuolo per tutto in giorno, non una parola non un lamento. l’infermiera si avvicinava, constatava e andava via. non una flebo, niente, chissà!

322.

in una notte in gattabuia ho imparato che la compagnia è molesta, che da soli si crepa. ho imparato a cantare anche con la gola scartavetrata. scrivere non tapperebbe il senso del disprezzo insito in ogni briciolo di polvere e forte serratura. l'amicizia è una copertina che lascia fuori i piedi. vorrei avere una pistola per spararmi dritto dritto al cuore o alla tempia. storia risaputa: ti sputo e ti canto una filastrocca del valore di un’arma ben più micidiale: la lontana adunanza così lontana da renderla possibile solo alla mente che nessuno può raggiungere.

323.

in una notte di sconfitte e di latrine avevo il passaporto in ordine, la valigia ben custodita e le unghie si mantenevano pulite. arrivata l'ora non ce la feci e rimasi attaccata all'asfalto, così, senza un motivo. più tardi comprai un mazzolino di fiori e lo avvicinai al fiato del mio corpo accanto al finestrino del treno. arrivai con i petali caduti e le unghie viola dei morenti, nessuno si accorse del mio spirare pudico e tenerello oltremisura.

324.

nodo del nodo in un abituro sono stamberga. notti di gala so che se ne fanno spesso. giorni lucenti so che se ne indossano con gioia. nodo del nodo in un letto sono legata.

325.

le tegole si affittano o si comprano ad una ad una, questa la fatica di correre per il corridoio quando occorre chiudere o aprire la porta. il lavoro è comunque anche quando non sembra e la fatica pure. la data messianica ma quando arriva?

326.

amato boia oggi è uno degli innumeri compleanni

327.

appena in controtendenza questo epitaffio di dover sopportare l'acredine del tempo.

328.

rimane un'ustione così dolorosa da far sbattere le porte

329.

ogni cosa balbettava per proprio conto, la porta blindata della corsia continuava a sbattere l'ora delle visite, i sudari restavano devoti al volgere dei corpi, in cortile i gatti attendevano le vaschette di alluminio con il cibo.

330.

un'elemosina di sonno e finalmente è feto innocuo di morire

331.

con un pastrano devoto la strada smentisce le curve, essere a dormire è un altrove veramente mite, da non disdire. nel bovindo della nonna i merletti delle tendini fanno innamorare anche i lupi.

333.

in un pomeriggio di sopralluoghi ho avuto voglia di andarmene.

i vocii finanche delle pietre relegavano la grazia del mondo. con la difesa del dormiveglia il riccio si è fatto riconoscere serbandoci meno seccature. i soldati soddisfatti se ne sono andati con gli elettrodi negli zaini: nessuno ha posto resistenza e così l'ispezione è stata pulita pulita.

334.

in anticipo sul tempo ha eretto la disfatta, questo nerbo di sfinge che sa di falce. questo amanuense idiota che appoggia la nuca all'aria della sedia. nessun aiuto di ristoro e le spalle che dolgono in un coro di muscoli legami.

335.

da qui a un istante è qui, è sempre qui. l’istante di là non posso conoscerlo. questa la vergogna del mio lato, questa finitudine di gogna, spiare non risolve!

336.

una favola cieca ha ucciso il cielo del mondo. una certezza cieca ha ucciso il nesso dell’arcobaleno. una figura tozza ha superato l’agilità dell’acrobata. in breve il pulviscolo si è reso insuperabile.

337.

è difficile intromettersi nel mondo, il nucleo è sempre pieno, i lati pieni, le periferie una ad una in ogni persona rimanente, rimango.

338.

è appena finito il rimasuglio dell’anima. con la carne allo stato puro chissà, forse, morire è più facile. un’anestesia e sia, e via!

339.

con il frastuono del gerundio c’è da sopportare la tabella di marcia

340.

dove giunge di me l'età del fosforo luminescente insonnia il corpo vuoto

341.

mangiare è una cosa seria, serissima, purtroppo eseguita in fretta, troppo in fretta solo per placare l'inizio di un dolore, la fame

342.

portava il cappello come una corolla e il tempo della fretta lo aveva lasciato a terra

343.

il tempo dello strazio è il più comune dei tempi, lungo i gendarmi dei parcheggi nessuno se ne accorge. lungo la corsia degl'incurabili o all'obitorio non se ne accorgono nemmeno-neppure-neanche gli addetti ai lavori, il quotidiano incombe a bomba d'orologio.

344.

con una vita di stenti ha visto l'alba brevettata da tempie fanciulline

345.

all'imbrunire il soqquadro dell'ora verso la notte e non per paura, ma l'imbuto pare più attivo, ma è solo un parere: mio padre morì all'alba, come per conforto

346.

in un animo di foce il guazzabuglio della fronte

347.

con le brezze dell'arcobaleno il comignolo si spegne. l’aria pulita balena un nuovo logico

348.

in uno scompiglio di risate l’arte semplice di far crollare il viso.

349.

piango il diritto che mi svena questo silenzio in braccio alla natura dovere doloroso.

350.

in un cortile di armi non può entrare più nessuno. la casa è stata sgomberata. i gatti miagolano il panico della fame. gli abitanti della casa chissà dove sono. le cimase delle rondini non restringono più lo spettro di spazio per le briciole. l'aria marcia fa da obitorio preconcetto in attesa dell'esplosione della guerra.

   

Marina Pizzi

  

...fine quinta parte


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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