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Marisa Cecchetti. “Ritratto incompiuto del padre. Per finire con l’infanzia” di Jean Sénac
05 Giugno 2018
 

Jean Sénac

Ritratto incompiuto del padre

Per finire con l’infanzia

A cura di Ilaria Guidantoni

Oltre Edizioni, 2017, pp. 242, €16,00

 

Nato nel 1926 da padre sconosciuto a Béni Saf, città algerina della provincia di Orano, Jan Sénac è stato assassinato nella Casbah di Algeri nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1973. Poeta e scrittore franco-algerino, di origini andaluse per parte di madre, di educazione cristiana, definito il Pasolini algerino per il suo stile di vita, per la sua produzione ed anche per come è morto, tuttavia quasi sconosciuto in Algeria e in Francia, è ora tradotto in Italiano e curato dalla giornalista fiorentina Ilaria Guidantoni, scrittrice che si occupa da tempo dei legami tra le due sponde del Mediterraneo. Lei ne ha scoperto l’esistenza nel 2014 ad Algeri, perché ricordato in occasione dell’anniversario della morte di Camus, a cui Sénac era stato molto legato, prima che rompesse l’amicizia per contrastanti opinioni politiche sull’indipendenza dell’Algeria.

Ritratto incompiuto del padre. Per finire con l’infanzia, scritto tra il 1959 e il 1962, uscito postumo per Gallimard, nel progetto dell’autore doveva essere “la prima tappa di un grande libro della vita” come si legge nella prefazione del poeta e scrittore algerino Rabab Belamri (1946-1995).

«Sénac e Pasolini sperimentano varie forme d’espressione» scrive Diletta D’Ascia nella postfazione «arrivando ad una produzione vasta e variegata nata dall’urgenza di scrivere, che è anche urgenza di esprimersi, di vivere, dalla figura del padre e il rapporto con la madre, alla sessualità sentita insieme come liberazione e senso di colpa, al rapporto con la religione e con la politica affrontato in modo contraddittorio ma totalizzante».

Figlio di una violenza subita dalla madre, con il peso della parola bastardo addosso, -“il Padre nomade è fuggito ancora tutto umidiccio del suo sperma”- non ha mai saputo e non ha voluto sapere chi fosse quell’uomo, ma la sua vita ne è stata una continua ricerca, nel bisogno di definire se stesso. Un Padre desiderato e respinto, amato e odiato, sacro e profano allo stesso tempo.

Il cognome lo ha ricevuto da un francese che la madre ha sposato e da cui lei ha avuto una figlia, Laurette, uomo che ha abbandonato presto la famiglia. Figura paterna poteva diventare un altro marito della madre, un legionario a cui Jean e la sorella si erano molto affezionati, ma sarà cacciato dalla madre per aver dato uno sculaccione alla bambina.

L’assenza del padre è una lacerazione costante ed anche nei suoi rapporti omosessuali ritorna l’identificazione con lui: “Non sei stato presente nemmeno un secondo. Ma tutta la vita è con te che io mi misuro”.

Insieme a quella dell’autore, che nel momento stesso in cui si ricostruisce diventa personaggio in tutta la sua complessità, la figura di spicco è quella della madre, figlia di un minatore andaluso divenuto capo minatore in Algeria, donna che ha cresciuto i figli con dedizione, “grande ape notturna”. Originale per le sue manie ed riti per esorcizzare la povertà, figura dominante nella vita di Sénac, tanto che lui ne ha dovuto prendere le distanze, è colei che gli ha insegnato la libertà da schemi e convenzioni, il rapporto con tutti, al disopra di cultura, lingua, religione, in quel paese che a lei procurava cibo, affetto, sogno.

Di lei scrive: “Sono la sua vergogna. Sono la sua fierezza. La sua leggenda”. E di sé: “Sono nato arabo, spagnolo, berbero, ebreo, francese”. Cresciuto sulle braccia di un rabbino, come gli ricorda spesso la madre, ama Orano e l’Algeria, tanto da volerne fortemente l’indipendenza dai Francesi. “L’abitante di Orano? L’arabo, lo spagnolo, l’ebreo, il francese, il berbero?”

Sénac può essere ricordato come colui che credeva nella funzione unificatrice del Mediterraneo dove le culture delle due sponde si possono incontrare, fondere e crescere. Lui scrive: “Mia madre mi aveva insegnato che un’anima vale un’anima. Che fosse israelita, musulmana o cristiana. Non c’è razza per l’anima”.

È un romanzo-non romanzo, quello di Sénac, con un linguaggio più vicino alla poesia che alla prosa, irregolare nella trama, ricco di profumi e colori nei mercati e nei quartieri affollati. Sènac si rivolge alla madre, ma anche al Padre, narra in prima persona e in terza, sfuma nel sogno, ed allo stesso tempo sa essere crudamente realistico nell’esplosione della sessualità, che per lui rimane desiderio e vergogna.

 

Marisa Cecchetti


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