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Marisa Cecchetti. “I pesci non hanno gambe” di J.K. Stefánsson
20 Giugno 2015
 

Jón Kalman Stefánsson

I pesci non hanno gambe

Iperborea, 2015, pp. 448, € 19,00

 

Si chiude il libro e rimangono domande senza risposta, perché Stefánsson ha intrecciato tempi e personaggi, ma in un solo romanzo non poteva dare conto di tutte le storie. I suoi lettori sanno che la risposta la darà nel prossimo, come ci ha abituato nella trilogia Paradiso e inferno, La tristezza degli angeli, Il cuore dell’uomo. Siamo in Islanda, nella parte occidentale non lontana da Dublino, a Keflavik, nera di colate di lava, prospera un tempo per la pesca e la lavorazione del merluzzo, annientata dal divieto di pesca dopo la vendita delle quote ittiche. Il posto più nero del mondo.

In un moderno aeroporto la cui costruzione ha richiesto l’abbattimento dei tralicci per essiccare il pesce -passato e vanto del luogo- atterra Ari, poeta ed editore, dopo due anni trascorsi in Danimarca. Ha preso le distanze da errori e rimpianti, dopo aver messo fine al matrimonio in modo inatteso e irrazionale. Lo attende un amico fraterno, la voce narrante. Hanno vissuto a fianco momenti molto forti dell’adolescenza e dell’età adulta, da qualche indizio sembra che siano parenti. Senza dubbio si conoscono molto bene. La narrazione in prima persona si alterna alla terza, compare talvolta l’autore, talvolta si riporta il pensiero comune aprendo su una vasta coralità.

Oddur e Margrét erano i nonni paterni di Ari, lui capitano e armatore, il mare come amico-nemico da amare e sfidare ogni giorno, lei che se l’è portato nel cuore fino in Canada, per lunghi anni, ed al ritorno è stata pronta per l’amore. È notte e sono in una cabina, lui la guarda serrando i pugni -il suo gesto per dimostrare amore- e lei: “Se mi sciolgo i capelli saprai che sono nuda sotto il vestito, e saprai che ti amo”.

Hanno avuto sei figli, il più grande avviato al mare a tredici anni, perché deve farsi uomo. Per la madre è un figlio strappato al nido troppo presto. E troppo dolorosa per lei l’assenza di Oddur dal suo quotidiano, troppo il bisogno di tenerezza -perché l’uomo vero qui non esprime i sentimenti-.

Il passato lontano si alterna al presente, l’attesa dell’aereo consente di ripercorrere altri momenti di vita, fondamentale per loro il 1976, importanti tutti gli anni ’80. Sull’isola c’erano ancora seimila Americani che vivevano in una landa deserta recintata, riforniti regolarmente dalla madrepatria. Arrivavano prodotti alimentari ed oggetti sconosciuti in Islanda, e per i giovani una musica nuova dirompeva di qua dall’Atlantico, contribuendo a modificare i gusti del vecchio continente. Bande di ragazzi, di notte, attaccavano quei camion preziosi e arraffavano tutto ciò che potevano sventrando gli scatoloni.

Nel passato dei due amici ci sono anni di lavoro nel pesce ed ai macelli, ma ci sono anche tanti sogni, e c’è un’adolescente dagli occhi magici e le lentiggini sul viso, quasi una donna angelo destinata a guidare alla salvezza. Poi succede qualcosa che li porta a rimuoverne il ricordo. La verità comunque può emergere anche dopo trent’anni, portando con sé la consapevolezza di occasioni perdute, e forse la vergogna di un giudizio sbagliato.

Sono storie aperte quelle che racconta Stefánsson, tanti i personaggi che emergono dai ricordi, ed è meraviglia e nostalgia e dolore. Ma senza ricordi non siamo niente, anche se sono pesanti come pietre, perché sono la prova che abbiamo vissuto, e non siamo niente se non abbiamo amato abbastanza, come dice ad Ari un vecchio zio.

Su tutti i personaggi del passato e del presente campeggia l’Islanda, con la neve che seppellisce le case, le tempeste di vento che costringono a strisciare per terra, le bufere improvvise sul mare che si vuol mangiare i pescherecci, le bonacce sotto la luna, i cieli neri bucati dalle stelle. Le notti infinite, il gelo e il silenzio. Con la passione infinita di Stefánsson per la sua terra. È un ambiente ostile, è vero, che si è inciso nel carattere della sua gente, l’insicurezza è una costante, la morte appare nei sogni e nelle visioni, ed è per questo che sono indispensabili le passioni. La musica, la letteratura, aiutano a sopportare: il poeta si distingue da quegli uomini rudi e concreti, perché lui vede la bellezza, quando guarda il mare vorrebbe nuotare fino alla luna e davanti agli spettacoli della natura riconosce che “Dio compone poemi sublimi”.

 

Marisa Cecchetti


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