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Marco Furia: Strane parole. Recensione di “Anime strane” con tre brevi storie antologizzate.
Greco Editori, Euro 11,00
Greco Editori, Euro 11,00 
11 Dicembre 2006
 
 

Dolorose e disarmanti, le voci delle “Anime strane” proposte da Marco Ercolani e Lucetta Frisa, nel rispetto di nessi formali privati della loro comune valenza, mostrano, per così dire, in astratto, il funzionamento dei meccanismi linguistici, evocando l’indicibile.

Dell’ineffabile, di quel vivido impulso capace di dare origine all’espressione senza esserne mai oggetto, è possibile rendere testimonianza anche per mezzo di un delirio “ordinato” secondo strazianti illogicità che, nelle stesse parole dei malati di mente protagonisti, non perde i contatti con essenziali nuclei comunicativi: la significanza, non a priori abbandonata, anzi ricercata con determinazione, viene giocata su dimensioni altre.

Sequenze come «So perché ho male al cuore. Lui mi esce dal torace e comincia a cantare. Lo sento bene, anche adesso. È un uccello del paradiso. Ha le piume colorate. Canta la fine del mondo», nette e incisive, paiono riferirsi a enigmatiche necessità, tali da costringere a seguire proprio certi schemi, al fine di dare sbocco a istanze espressive vissute quali straordinarie.

Emergono consapevolezze, profonde e sorprendenti, di eccezionalità prive di percorribili itinerari d’ integrazione, che non rinunciano a pratiche linguistiche tipiche: le anime strane, insomma, parlano specifiche lingue.

Ed i poeti, abili costruttori di linguaggi dalla spiccata originalità, possono comprenderle almeno nell’esigenza non di spiegare, bensì di esibire, umane condizioni: il «cuore», allora, può anche essere considerato «un uccello del paradiso» che «Canta la fine del mondo», la forza delle metafore risultando, talvolta, così potente da opporsi, con efficacia, al bolso fluire lungo circuiti banali, per concedere illuminanti attimi.

Se non si tratta, certo, di dover imparare “il linguaggio della verità”, poiché quest’ultima non è oggetto esterno, più o meno raggiungibile, ma abita e vive nelle stesse forme idiomatiche in uso, resta pur vero che esistono molteplici linguaggi, espressione di esistenze degne, in quanto tali, di attenzione: un’attenzione scrupolosa, lontana da qualunque ingiustificato atteggiamento di superiorità, capace di aiutare a meglio comprendere gli altri e se stessi, di cui non si può non essere grati agli autori.

Furono acute selezioni.

 

Marco Furia

 

 

(Marco Ercolani, Lucetta Frisa, Anime strane, Greco & Greco editori, Milano, 2006)

 

 

 

TRE ANIME STRANE

 

 

LA FIRMA DI DIO

 

Dottore, posso aggiungere questo foglietto alla sua relazione?

Va bene.

Dopo qualche ora, lo psichiatra legge il foglietto:

«Signori, i raggi non smettono di entrarmi dalla testa. Ma i capelli non bruciano più e posso scrivervi. Ho tre figli, ho bisogno della pensione, abbiate pietà. Mia moglie si sta consumando dal dolore. Non è facile vive­re cosi. Da tanto tempo mi trascino il peso di un corpo che beve, mangia, cammina, e ha un nome e un cogno­me. Mi ha rotto i coglioni. Non riesco più a pensare alle galassie stellari e ai sistemi matematici, e dimentico di essere l’Ente perfetto e invisibile. Solo quando guardo l’orizzonte al tramonto e un cane mi fissa con le sue pupille nere, ricordo, ma vagamente, che li ho creati.

Vi prego. datemi la pensione. Ho tre figli maschi e mia moglie è ridotta a una larva.

Firmato: Dio».

 

 

TENTATIVI DI NUVOLA

 

Fa spesso isuoi «tentativi di nuvola», così li defini­sce. Si affaccia alla finestra, sollevandosi sulle punte dei piedi, allunga il collo, chiude gli occhi, poi, dolcemente, comincia ad oscillare la testa. Finché si dondola con tutto il corpo. Sua madre gli urla di tornare a studiare. Il patrigno si isola nella sua stanza. Il fratello sghignazza. Ma lui, ostinato, continua i suoi «tentativi di nuvola». Agli psicologi che lo interrogano sulla sua infanzia, risponde ridendo: «lo? Mai avuta infanzia. L’avranno quei due uomini e quella donna che mi perseguitano. Io no. Io sono leggero. Molto leggero».

 

 

LUI

 

«Sì, dormo con un maiale. E allora? Manda una puzza forte, e allora? La puzza è importante, non lo sapete, la puzza è un segno... Un maiale, ma non mi tradirà mai. Non è come gli uomini che vanno e vengono dalla mia terra senza fare rumore, senza lasciare odore. Lui grugnisce: lui disprezza gli stranieri che stuprano le mie belle colline. Ieri me lo ha detto: bisogna fare giu­stizia. Me l’ha detto con un grugnito lunghissimo. E così gli ho obbedito. Gli animali hanno sempre ragione. Ho messo ventisette colpi in canna e sono sceso a valle».

Così si difende un pastore ventiduenne, che ha appe­na ucciso a fucilate ventisette persone nel supermarket di Sondrio e poi si è rifugiato sui monti. Lo hanno trovato addormentato in una grotta dove ristagna un tanfo insopportabile. Il primo poliziotto gli mette la canna alla tempia, il secondo fa scattare le manette. Il pastore apre gli occhi, ancora assopito, e dice: «Dov’è lui?». In quel momento, con un minaccioso grugnito, appare, in piena luce, un enorme suino.


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