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Maria Paola Forlani. “Il Meglio Maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo”
02 Aprile 2023
 


Cinquecento anni fa moriva il pittore umbro che lavorò, tra le altre cose, agli affreschi della Sistina, l’opera più importante del tempo.

Una grande mostra nella città natale rivela tutto il suo genio

 

 

Nella formidabile carriera di Pietro Vannucci, detto il Perugino, c’è un evento preciso che segna il giro di boa della sua fama: quando all’inizio degli anni Ottanta del Quattrocento gli viene affidata da Papa Sisto IV la responsabilità degli affreschi della Cappella Sistina, che in quel momento è l’opera pubblica più importante d’Europa. Un incarico da far tremare le vene ai polsi di qualsiasi maestro, reso ancora più delicato dal fatto che i suoi collaboratori sarebbero stati colleghi più grandi e, in alcuni casi, molto più esperti. Sarà lui a dover impostare il lavoro di Sandro Botticelli e Domenico Ghirlandaio, i suoi vecchi compagni di gioventù alla bottega del Verrocchio, e soprintendere all’opera di Luca Signorelli, di sette anni più anziano.

Ad aggravare la situazione c’è il fatto che è l’unico tra loro a non vantare un’origine toscana. Ma questo svantaggio iniziale non gli impedisce di portare a termine un’impresa epocale, che definirà lo stile e il linguaggio della pittura italiana almeno per i vent’anni successivi. Un immaginario abitato da gesti delicati, emozioni contenute, passi leggeri e colori accostati senza manifestare alcun eccesso. Ecco perché ancora nel 1500 il banchiere Agostino Chigi, uno dei committenti più esigenti e raffinati d’Europa, talmente ricco da prestare denaro al Papa e all’Imperatore, lo definisce ancor «il meglio maestro d’Italia» in una lettera che invia al padre.

In quel momento Perugino gestisce ben tre botteghe, a Roma, Firenze e Perugia, dove ha appena terminato gli splendidi affreschi del Collegio del Cambio. «Nell’ultimo quarto del Quattrocento non c’è artista che non guardi a lui», afferma Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria e curatore e curatore con Veruska Picchiarelli della mostra che celebra i cinquecento anni dalla sua scomparsa.

«Anche Raffaello, che aveva già unna bottega, lo cerca e instaura con Perugino un rapporto di collaborazione. Per molto tempo gli studiosi hanno sostenuto che fosse stato Vannucci a imitare il pittore di Urbino, mentre adesso possiamo affermare il contrario», spiega Pierini. Un prestigio indiscusso, il suo, che passa per opere sublimi, come il Trittico Galitzin, giunto per l’occasione a Perugia in prestito dalla National Gallery di Washington: una crocifissione immersa nel paesaggio più terso ed armonioso che sia mai stato dipinto fino a quel momento.

Dai documenti antichi, studiati con rinnovata attenzione, Perugino emerge come un imprenditore parsimonioso, che sa perfettamente come farsi desiderare dai suoi clienti più prestigiosi. Sfugge alle loro richieste per ripresentarsi al momento opportuno, quando può ottenere il miglior compenso, viaggia di continuo e non perde mai occasione per sorprendere con il sublime risultato dei suoi dipinti, che si tratti di un affresco per Città della Pieve o di una pala d’altare, come il celebre Sposalizio della Vergine, che ritorna a Perugia da Caen per le celebrazioni del centenario. Un’opera che non smette di riservare novità, come la recente individuazione tra i personaggi che assistono al rito nuziale di due ritratti non identificati: gli unici due volti frontali distinti tra le vergini e i pretendenti che accompagnano Giuseppe e Maria. Perugino li colloca in un gruppo coeso di fronte al tempio ottagonale al centro di una piazza con prospettiva centrale perfetta.

È la rappresentazione dell’immaginario rinascimentale: un sistema che non prevede scossoni e fughe in avanti. Sarà forse proprio questa quiete a segnare l’arresto dell’ascesa del Perugino, che fino a quel momento non ha avuto rivali. Proprio Raffaello, che lo aveva ammirato e ne aveva imitato la maniera, ben presto attirerà su di sé gran parte dell’interesse dei committenti, provocando il tracollo del maestro umbro. Nel 1507, a quasi sessant’anni, Perugino avrebbe affermato nel più profondo sconforto: «Io ho messo in opera le figure altre volte lodate da voi e che vi sono infinitamente piaciute. Se ora vi dispiacciono e non le lodate, che ne posso io?».

Le sue figure non sorprendono più. Le sue composizioni eleganti sembrano ripetitive, fredde al confronto con le emozioni di cui è capace il pennello di Raffaello.

Ma questa è una parte della storia che a Perugia non viene raccontata; meglio concentrarsi sui capolavori eccezionali che hanno reso Vannucci un pittore di cui non si può fare a meno per capire il segreto della bellezza italiana a cavallo tra due secoli eccezionali.


M.P.F.


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