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Al Teatro dell’Orologio di Roma “Il caso Majorana” secondo Claudio Pallottini
11 Febbraio 2009
 

Il caso Majorana di Claudio Pallottini, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia e alla vicenda del grande fisico, è in scena fino al 15 febbraio alla Sala Grande del “Teatro dell’Orologio”. Lo stesso autore, nei panni dello storico, il regista Marco Simeoli, nei panni del pubblico mediatore, Sebastiano Colla, Andrea Giuliano, Stefano Messina, Cristina Pellegrino, Francesco Simon, Stefano Fresi, Carlotta Proietti ed Edoardo Bajetti narrano con bravura questa storia in modo decisamente inusuale.

La vita di Majorana viene analizzata in un fantasioso talk show televisivo dei nostri giorni che ha per ospiti Edoardo Amaldi, i coniugi Fermi, il senatore Arturo Bocchini, lo psichiatra di Majorana ed uno storico di quei fatti. Ne viene fuori una pièce singolare e piacevole, quando viene alleggerita dalle battute di Simeoli e dagli interventi canori della brava Carlotta Proietti.

Il lavoro farà storcere di certo il naso ai palati raffinati, ma ha il merito di rendere noto a generazioni ormai incolte il dramma serissimo del grande fisico catanese.

 

Le righe che seguono riaccennano agli eventi di quel tempo: il 25 marzo del 1938 l’ultima lettera del fisico catanese, spedita da Napoli prima di sparire, inizia così: «Ho preso una decisione che era ormai inevitabile». Tutto sembra far pensare, quindi, a un suicidio: allusioni in questo senso sono fatte nelle lettere indirizzate al direttore del Regio Istituto di Fisica Antonio Carrelli e alla famiglia.

Con la data del 26 marzo arriva, però, un’altra lettera da Palermo: «Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani», ma nessuno dei suoi amici o familiari lo vede più. Sembra quasi un «giallo», mistero reale della vita di uno dei più grandi geni della fisica italiana e mondiale. All’età di 32 anni, Majorana è il fisico più geniale della sua generazione, quella di Fermi, sotto la cui direzione ha studiato, di Amaldi, di Rasetti e di Segré: i ragazzi di via Panisperna.

 

Sciascia lo definisce un «siciliano buono»; e chiarisce che «come tutti i siciliani migliori non era portato a fare gruppo, a stabilire solidarietà e a stabilirvisi»; mentre sono quelli «peggiori», ad avere il gusto e il genio del gruppo, della cosca. Poi annota che tra Majorana e il resto del gruppo di via Panisperna, c'è una differenza profonda: quelli «cercano», lui «trova»; per gli altri la scienza é un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli l'amano, la scienza; vogliono raggiungerla, e possederla. Majorana, forse senza amarla, la «porta».

Usa proprio questa espressione: «la porta». Si “porta” qualcosa; e Sciascia lascia intendere che ad un certo punto Majorana non ha più voluto “portare”; come chi ha timore di farlo; e si ferma su una soglia al di là della quale non può, non vuole andare. Per Sciascia, Majorana è «il simbolo dell'uomo di scienza che rifiuta di mettersi in quella prospettiva di morte cui altri, con disinvoltura, a dir poco, si sono avviati».

I maggiori scienziati dell’epoca ammirano le straordinarie qualità speculative di questo catanese, che ha, a detta di tutti, le doti per arrivare a scoprire i segreti nascosti del nucleo degli atomi radioattivi. E forse, addirittura a scoprire come innescare quel processo inarrestabile e devastante che è la bomba atomica. Lo stesso Fermi, che lo ha come collaboratore, lo colloca un gradino più in alto degli altri e perfino di sé, affermando «poi ci sono i geni, come Galileo e Newton, ed Ettore Majorana è uno di questi!». In precedenza Fermi e la commissione che presiede, nell’assegnargli la cattedra di fisica teorica, si esprime riconoscendo «la posizione scientifica assolutamente eccezionale», dichiarandolo addirittura fuori concorso «per alta e meritata fama».

La straordinarietà della mente di Majorana risulta evidente quando si considera che i risultati da lui ottenuti nei pochi anni in cui si occupa di fisica sono ancora attuali e che tutte le sue predizioni fatte in via teorica si dimostrano vere alla prova dei fatti.

Essendo estremamente critico verso se stesso, il fisico catanese deve essere sempre certo dei risultati che ottiene, non permettendo altrimenti che i risultati vengano pubblicati. Per questo motivo molti dei suoi lavori sono rimasti ignoti. Per questa stessa ragione, forse, scompare, e qualcuno ritiene che la vicenda è legata al rifiuto delle armi nucleari, di cui ha previsto l’avvento. Ma alla vigilia di questa scoperta, o forse, immediatamente dopo - nessuno lo potrà mai dire con esattezza - Ettore Majorana, decide di farla finita, di scomparire dal mondo, di abbandonare la scienza. Meglio ancora, di abbandonare la strada che la scienza ha intrapreso e che lui stesso nel suo ultimo scritto definisce: «una brutta strada, senza ritorno».

Imbarcandosi sul postale o fingendo di imbarcarsi, Ettore Majorana si dilegua dalla storia, facendo perdere le sue tracce e lasciando dietro di sé uno dei misteri più appassionanti e avvincenti del Novecento. Una scomparsa o suicidio che fa sorgere allora, come ancora oggi, domande e interrogativi pressanti.

 

«Chi, sia pur sommariamente, conosce la storia dell'atomica», scrive ancora Sciascia, «è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero».

Majorana è il campione di questi schiavi-liberi: «gli schiavi ne ebbero preoccupazione, paura, angoscia. Mentre i liberi, senza alcuna remora, e persino con una punta di allegria, la proposero, vi lavorarono, la misero a punto, e senza porre condizioni o chiedere impegni, la consegnarono a politici e militari».

 

È un tema di scottante attualità questo della responsabilità morale dell'uomo di scienza; tema poco dibattuto in generale; e ancor meno dagli scrittori, e da quanti hanno la capacità, i mezzi, il tempo per tener desta la propria intelligenza; proprio coloro che più di altri dovrebbero e potrebbero farlo, sono i più assenti.

Conta poco se Majorana si sia suicidato, come vuole la versione ufficiale; o se il suicidio l'abbia simulato, volontariamente confinandosi in un convento, come ritiene Sciascia (il Vaticano potrebbe dire una parola chiarificatrice: impossibile che là qualcuno non sappia se Majorana si sia o no esiliato in un monastero). Conta che abbia intuito le spaventose conseguenze della fissione nucleare, e in preda ad angoscia e spavento abbia escogitato come unica via d'uscita lo scomparire: per non essere costretto a “portare” quella scienza che lo atterriva.

 

Teatro: Teatro dell’Orologio - Sala Grande

Città: Roma

Titolo: Il Caso Majorana

Autore: Claudio Pallottini

Regia: Marco Simeoli

Personaggi e interpreti:

Il segretario - Edoardo BAJETTI

Edoardo Amaldi - Sebastiano COLLA

Lo psichiatra - Andrea GIULIANO

Enrico Fermi - Stefano MESSINA

Lo storico - Claudio PALLOTTINI

Laura Fermi - Cristina PELLEGRINO

Il pubblico mediatore - Marco SIMEOLI

Sen. Arturo Bocchini - Francesco SIMON

Il pianista - Stefano FRESI

La cantante - Carlotta PROIETTI

Lo speaker - Massimiliano GIOVANETTI

Coreografie: Stefano Bontempi

Musiche: Stefano Fresi

Video: Rossella Romanio

Costumi: Mirtha Huaracan

Aiuto regia: Francesca Cioci

Tecnico video: Francesca Tagarelli

Periodo: fino al 15 febbraio 2009

 

Lucio De Angelis

(da Notizie radicali, 6 febbraio 2009)


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