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Barbarah Guglielmana. Il tema scottante di Valentina Ferri
28 Marzo 2014
 

 

Che poi non lo so mica come è fatto, il mio corpo. E non lo voglio sapere perché tanto non è il mio per davvero. Nessuno può prenderselo, perché io non esisto. Ma questo è un segreto.”

 

 

Ci sono certi libri la cui lettura preferiresti rimandare all’infinito, perché sai che una volta letti te li porti addosso, come una maglia intima in più, con il suo peso di piombo, non scollabile. È in questo elenco Il mare immobile (Gaalad Edizioni 2011) di Valentina Ferri, giornalista e attrice, al suo primo romanzo che affronta il tema della violenza sul minore, tema che si districa nella storia narrata nel silenzio soffocato e nel nasconderla da parte della vittima quasi anche a se stessa. Non riconoscendola sembra.

«Si parla di abuso sessuale quando un bambino/a è coinvolto in attività sessuali che non può comprendere, per le quali è psicologicamente impreparato e per le quali non può dare il proprio consenso e/o che violano le leggi e i tabù sociali. Le attività sessuali possono includere tutte le forme di contatto oro-genitale, genitale o anale con il minore, o abusi senza contatto diretto quali l’esibizionismo, il voyeurismo o il coinvolgimento del bambino/a nella produzione di materiale pornografico. L’abuso sessuale include uno spettro di attività che va dallo stupro all’abuso sessuale meno intrusivo». (American Academy of Pediatrics. Guidelines for the evaluation of sexual abuse of children)

Nel romanzo di Valentina Ferri c’è la storia di Lia, una bambina di 10 anni, nell’estate del 1974 con la sua vacanza al mare in Toscana, il suo ritorno a scuola, e il trauma dell’abuso. Fin dalle prime pagine avverti che qualche cosa scorre in modo ruvido nella sua vita, nella sua famiglia, nel rapporto con la madre e con le sorelle, con le amiche, con il padre assente, e inizialmente ti può risultare anche antipatica, per la sua ritrosia, per il suo essere scorbutica, una bambina apparentemente fortunata e irriconoscente, ma questo è perché Lia sta male, sta già male, e inconsciamente si colpevolizza e all’esterno manda sentimenti negativi perché questa sua sensazione interna venga confermata... quasi colpevolizzandosi fino ad ammalarsi, fino a quando sarà il suo fisico a cedere. E poi sarà sempre il suo fisico a partire da questo a doversi rimettere in piedi, dopo un grande urlo liberatorio della mente.

Lia vede il suo corpo in trasformazione, con i primi segni della pubertà, il suo umore altalenante, il suo rapporto conflittuale con la madre, che a tratti adora e in altri allontana e che per difficoltà sue non riesce ad accogliere la richiesta di affetto della figlia, l’antipatia per Giulianina la figlia della custode: «E io davvero non so, non capisco, perché è tanto difficile essere buoni o cattivi, forti o deboli, grandi o piccoli. Perché non si capisce mai, dentro, quello che si prova, e a un certo punto si confonde, si mescola, e sembra che ci sia solo il respiro, a guardare in uno specchio, che quando si va troppo vicino lo fa diventare tutto appannato». Il gioco con le due sorelline più piccole, il viaggio a Lisbona con i genitori e il suo scappare dall’albergo senza poi essere scoperta, il suo tempo di vacanza al mare fra la sabbia e le letture: «Io ho preso Piccole Donne nella biblioteca del paese e leggo. Leggere mi piace, mi sento un po’ come Jo, mentre la storia di Beth mi addolora e mi fa pensare troppo alla morte. Ma questo succede da un pezzo, ormai. Penso di morire, ci penso spesso, e quando ci penso mi pare di esser fatta d’aria, senza consistenza, rinchiusa in un brutto sogno». Il rapporto sicuro con i nonni e le poesie del Carducci, la ricerca di Stefania un’amica forte con cui confidarsi, la gita alla casa di Pascoli, La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio e nello scorrere dei giorni la sua perdita di appetito, per la vita e per il cibo. A tratti viene via via svelata la storia segreta, che sulla piccola Lia viene vissuta da un adulto – «E io ci tenevo a sentirmi la sua fidanzatina segreta, perché avevo un bisogno grande di amore, come la cagnolina che lo zio ci ha regalato a Natale e che scodinzola quando le dai le carezze, perché lo zio l’ha presa da un canile e ci ha detto che dobbiamo volerle molto bene». – e lì entri nel suo corpo offeso, nelle pieghe dei suoi pensieri, nella sua incapacità di capire e di rifiutare, provando una nausea viscerale per il suo dramma di bambina violata: «È stato da quel momento che ho iniziato ad andarmene in giro nel mondo che non esiste, e a sentirmi lontana. Nel momento in cui non ho più capito da che parte dovevo stare, e pian piano me ne sono andata via».

Finisci la lettura là dove deve iniziare la rinascita, quella del dirsi la verità almeno a se stessi e da cui ricominciare a riscriversi un’altra vita addosso... «Ci sono un mucchio di volte in cui vorrei urlare. Ho un urlo di rabbia e di spavento nascosto giù, un urlo serpentino che mi si attorciglia nello stomaco e che resta dentro e poi mi fa venire i dolori ... Io urlo di rabbia di spavento di paura, metto una a nel grido e la a si allunga poi si allarga e infine diventa roca, uno strillo di animale che si spegne in gola, con un colpo secco».

Non chiudiamo il libro della conoscenza di questo grave dramma della violenza al minore al termine di questa sofferta e necessaria lettura, ma apriamolo aiutando le vittime a urlare il loro grido di verità.

 

Barbarah Guglielmana


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