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Marisa Cecchetti. “Crepitio di Stelle” di Jón Kalman Stefánsson
10 Novembre 2020
 

Jón Kalman Stefánsson

Crepitio di Stelle

Traduzione di Silvia Cosimini

Iperborea, 2020, pp. 200, € 17,00

 

Anche questa volta si viene subito afferrati dalle parole dello scrittore islandese Jón Kalman Stefánsson. Di lui, grazie a Iperborea, conosciamo la trilogia Paradiso e inferno (2011), La tristezza degli angeli (2012), Luce d’estate, ed è subito notte (2013), senza dimenticare I pesci non hanno gambe (2015), Grande come l’universo (2015) e Storia di Asta (2018).

Un grande complesso condominiale a Reykjavik, un appartamento al primo piano a sinistra n. 54 nell’ultimo dei quattro palazzi, il negozio del panettiere, del barbiere, delle sarte, bambini che giocano e prepotenti che bullizzano in modo crudele. Crepitio di stelle si apre in un contesto decisamente diverso da quelli a cui Stefánsson ci ha abituato, finché non si scopre, sopra al negozio delle sarte, un paio di forbici sospese grandi quanto un’automobile, che incuriosiscono e mettono in moto l’immaginazione. Con quelle un quarantenne comincia a tagliare i ricordi.

Dai ricordi spunta un bambino che gioca con i soldatini, sono i compagni della sua solitudine, i suoi confidenti e consolatori. Il padre parte al mattino con una macchina rossa e bianca, la cazzuola sul sedile davanti, e va a fare il muratore.

C’è un grande silenzio in quella casa, padre e figlio non hanno parole per definire un’assenza, seduti zitti sul divano con gli oggetti stessi carichi di sofferenza.: “l’assenza di mia madre mi urla addosso da ogni angolo”. Il bambino è incapace di realizzare il significato della morte, allora rimane ad aspettare che la mamma torni e ne parla ai soldatini, mentre i giorni d’inverno passano lenti come lumache, corti “come un colpo di tosse”.

Come una poesia è stata quella donna all’interno della famiglia - aveva addirittura dei versi tatuati sulla pelle -; inizialmente combattuta tra la libertà e l’amore, alla fine era entrata in casa del suo uomo di notte spaccando i vetri della finestra. Una persona creativa, fantasiosa, giocosamente distratta, una donna per cui si può dire “sarò tutto quello che vuoi che io sia”; una madre che aveva “le mani calde, che erano un’estate intera”. Al suo posto spunterà un giorno una donna dallo “sguardo duro come una bestemmia”.

Il manifestarsi della vita agli occhi di un bambino che cerca di interpretarla da solo, con stupore e curiosità e paura, e la rappresentazione della realtà vista dai suoi occhi, portano ad una deformazione fantastica della realtà stessa, con un linguaggio che si fa leggero come una nuvola fino a diventare poesia.

Nel ritagliare i ricordi si ricostruiscono quattro generazioni, in un intreccio fitto di personaggi, di storie, di epoche. Riempie subito la scena il bisnonno che si distingue quando cammina per strada “alto e magro, con la finanziera, le mani fini e ben curate che dondolano il bastone con il manico d’argento, il pince-nez, i capelli scuri”. Amante dell’avventura, dell’alcool, delle donne, capace di concepire progetti di vita ai limiti dell’impossibile, soprattutto dopo eccessive bevute.

Non è meno forte la figura della bisnonna, quasi venti anni più giovane di lui. Nella loro soffitta esplode “una passione così ardente che la terra prendeva fuoco”. La bisnonna sarà sempre capace di perdonare - forse sono i difetti di lui che la affascinano - ma anche un giudice severo.

Con la vita avventurosa dei bisnonni Stefánsson torna ai vasti spazi disabitati della sua isola, nelle terre dei fiordi, dove un ghiacciaio sovrasta come una enorme montagna bianca e l’isolamento è assoluto.

Lì il bisnonno realizza il suo improvviso desiderio di fare il contadino, decidendo da solo, portando con sé la giovane moglie e tre figli. È proprio in un silenzio sovrumano, quando il cielo della notte è fitto di lumi, che si sentono crepitare le stelle. QQuel ritiro agreste non dura molto, per lui ogni situazione ha presto dei limiti, la sua vita un alternarsi di cadute e di risalite, con un susseguirsi di buoni propositi tutti destinanti a svanire. Lui sa convincere, “le parole sono la sua casa” ma non ha senso pratico, tuttavia è capace di grandi gesti di sacrificio e di altruismo, come durante la spagnola, nel 1918.

Che importanza ha avuto nella vita della bisnonna un capitano dai capelli rossi responsabile delle consegne via mare alla fattoria sul fiordo? Chi è la giovane sulla cui tomba lei va a portare un fiore? Perché mai la figlia più piccola ha sempre tenuto sotto il cuscino una strana conchiglia ed un sasso? Da che l’ha ricevuti? Trascorre tanta passione in tutte queste storie, e tanto amore.

Stefánsson ama lasciare il lettore a porsi domande, a ricostruire alberi genealogici con pazienza, e talvolta concede solo pochi elementi per intuire. Non cerca lettori frettolosi neppure in questo romanzo carico di magia, con troll e trollesse che animano la fantasia dei bambini, che ci fa sentire il “silenzio bianco, la quiete bianca dove si sentono crescere i ghiaccioli”; che ci apre ad un mondo di notti lunghe e di gelo, ma anche alla luce che torna come un regalo nella breve estate, con le notti chiare che mangiano le stelle.

 

Marisa Cecchetti


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