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“Tempo di uccidere” di Ennio Flaiano 
Ri-lettura di Maria Lanciotti
14 Settembre 2018
 

Ennio Flaiano nasce a Pescara nel 1910, ultimo di sette figli. A cinque anni viene mandato nelle Marche, a Camerino, presso una famiglia amica che si prende cura di lui per un paio d’anni, poi viene accolto in vari istituti finché, nel 1922, parte collegiale per Roma, dove diventa un pessimo studente. Arriva a stento alla facoltà di architettura, senza terminarla, preso dal servizio militare e dalle guerre alle quali viene chiamato a partecipare.

Roma è la sua città, la gira di notte col poeta Cardarelli e Guglielmo Santangelo, “maestri di indignazione e di vita” come egli li definisce; conosce i primi scrittori, i primi artisti, i giovani che facevano la fame e le loro donne. Tutte esperienze che poi riverserà nelle sue opere. Esordisce nel giornalismo come critico cinematografico e teatrale. La sua attività di sceneggiatore inizia nel 1942 con Pastor Angelicus di Romolo Marcellini e continua parallelamente alla sua carriera di scrittore.

Come narratore esordisce con il suo primo e unico romanzo Tempo di uccidere, vincitore del Premio Strega 1947, che s’ispira alla sua esperienza di sottotenente durante la Campagna d’Africa.

Mentre i suoi articoli di critica, cronaca e costume proseguono senza interruzione sulle pagine dei più quotati giornali, Flaiano lavora per il cinema come autore di soggetti e sceneggiature per registi come De Sica, Antonioni, Blasetti, Fellini.

Fra tanti titoli ricordiamo Ladri di biciclette, Roma città libera (1948), Guardie e ladri (1951), La Romana (1954), Peccato che sia una canaglia (1955), Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1960).

Il sodalizio con Fellini – che inizia nel 1951 con Luci del varietà e si conclude con Giulietta degli spiriti (1965) – sarà intenso e fruttuoso. Flaiano collabora in totale a otto film di Fellini.

L’ironia, lo sguardo lucido e impietoso del Flaiano si riverserà con eccezionali risultati in tante pellicole del regista riminese, da Lo sceicco bianco a I vitelloni, da La strada a Il Bidone, fino a quel capolavoro assoluto che è Otto e mezzo (1963).

Oltre al suo unico romanzo, pubblica con Bompiani i due volumi di racconti e satira Diario notturno (1956) e Una e una notte (1959), cui seguono Il gioco e il massacro (1970, Premio Campiello). Per il teatro ha scritto La Donna nell’armadio, Il caso Papaleo e il tanto discusso Un marziano a Roma (1971).

Tempo di uccidere, benché vincitore del Premio Strega, fu accolto tiepidamente dalla critica. Un critico scrisse che aspettava lo scrittore alla seconda prova (e lo sta ancora aspettando), un altro critico scrisse che il libro era “troppo leggibile” facendo, senza volerlo, il più grosso complimento che si possa fare a uno scrittore. Ma c’è da dire che si sta parlando del periodo a cavallo fra la letteratura diversionistica ed ermetica e il neorealismo, mentre il romanzo di Flaiano è un apologo della “sua” Africa, una sorta di favola con morale in cui narra la storia grottesca e bizzarra di un nostro ufficiale che non vorrebbe né uccidere né morire. Una storia che si svolge in 41 giorni in totale, che passa a fotogrammi come una pellicola cinematografica, che arriva dritta come una cronaca e ti porta nel luoghi della scena e dentro la situazione emotiva del protagonista. Sette capitoli di cui l’ultimo s’intitola Punti oscuri. Perché Flaiano non rinuncia in nessun caso a indagare il potere della casualità e i movimenti dell’animo umano, pur nella consapevolezza di una sfida perduta in partenza: «Come tutte le storie di questo mondo, anche la tua sfugge ad una indagine. A meno che non si voglia ammettere che le “disgraziate circostanze” ti seguivano, perché facevano parte della tua persona».

Una serie di situazioni che vanno a infilarsi l’una nell’altra in un sottile gioco a incastro, simile a scatole cinesi. Un camion dell’esercito che si rovescia, un brutto mal di denti, quattro giorni concessi per trovare un dentista, l’altipiano oltre il fiume dove si trovano i depositi, il bivio nascosto da una carogna, la sosta al torrente, un incontro fatale, una bestia vagante nella notte, una pietra che devia il colpo, la paura. Insomma, una partita estrema dove tutto è affidato al caso. Nulla è certo, sembra voler dire il protagonista della vicenda, se non l’incertezza.

Con questo libro straordinario, tradotto in tutte le lingue del mondo, Ennio Flaiano dimostra come si scrive un romanzo. Una narrazione ampia, complessa e avventurosa, fondata su temi sociali e ideologici, sullo studio dei costumi, dei caratteri e dei sentimenti, resa con un’avvincente mescolanza di stili e toni narrativi.

Dal libro – quasi una sceneggiatura – è stata tratta nel 1989, 17 anni dopo la scomparsa di Flaiano, una versione per il cinema diretta da Giuliano Montaldo.


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