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Gianfranco Cordì: Gli scritti di logica di Leibniz.
Leibniz
Leibniz 
23 Maggio 2007
 

A.

Gli Scritti di logica di Leibniz sono la Dissertatio de arte combinatoria (1666), la Nota sulla Dissertatio dei arte combinatoria (1691), la Dissertatio praeliminaris de alienorum operum edizione, de scopo operis, de philosophica dictione, de de lapsibus Nizolii (1670), il saggio Quod Ens perfectissimumum existit (1676), lo scritto Dialogus (1676), il frammento non datato intitolato Guilielmi Pcidii Lubentiani Aurora, seu Inizia scientiae generalis a divina luce ad humanam felicitatem, i frammenti (anch’essi non datati) dal titolo Inizia et specimina scientiae generalis, il frammento privo di data dal titolo Introductio ad encyclopaeddiam arcanam, sive inizia et specimina scientiae generalis da instauratione et augumentis scientiarum, <deque perficienda mente et rerum inventionibus ad publicam felicitatem>, il frammento non datato De la sapesse, l’altro frammento non datato De organo sive arte magna cigitandi [ubi agitur de vera characteristica, cabbala vera, algebra, arte combinatoria, lingua mnaturae, scirptura universali], lo scritto non datato (ma che può essere fatto risalire agli anni 1679-80) dal titolo De synthesi et analisi universali, seu arte inveniendi et judicandi, le Meditationes de cognizione, veritate et ideis (1684), lo scritto non datato De scientia universali seu calculo philosophico, il saggio senza titolo conservato nei manoscritti della Biblioteca di Hannover e pubblicato da Couturat col titolo Primae veritates ed anch’esso non datato, le note sulle prime due parti dei Principia philosophiae di Cartesio (redatte nel 1692 dal Leibniz, il quale avrebbe voluto fossero pubblicate in Olanda col titolo Statera Cartesianismi seu Principiorum Cartesii Pars Generalis cum animadversionibus G.G.L. suo loco subjectis, ut post tantas lites tandem aliquando intelligi possit, quantum doctrinae cartesianae sit tribuendum), il saggio Intitia rerum mathematicarum metaphysica composto dopo il 1714, il frammento non datato De formis syllogismorum mathematice definendis, i tre brani del 1679 trovati dal Couturat nei manoscritti della Biblioteca di Hannover e pubblicati coi titoli I: Elementa Characteristicae Universalis, II: Elementa calculi, III: Calculi Universalis Elementa, il saggio Specimen calculi universalis egli Addenda ad Specimen Calculi universalis (entrambi non datati), le Generales inquisitiones de analisi notionum et veritatum del 1686, il saggio originariamente privo di titolo ma indicato dal Couturat in base alla frase iniziale come De formae logicae comprobatione per linearum dutus (non datato), lo scritto indicato col numero XX nella raccolta dello Gerhardt della Scientia Generalis. Characteristica (anch’esso non datato).

La raccolta degli Scritti di logica edita da Zanichelli nel 1968 all’interno della “Collana di filosofi moderni” diretta da Luigi Pareyson comprende infine alcuni estratti dall’epistolario del Leibniz; e precisamente alcune lettere indirizzate al duca Giovanni Federico di Braunschweig-Lüneburg, a Magnus Wedderkopf, allo Oldenburg, ad Herman Conring, al Tsichirnhaus, allo Huygens, a Gabriel Wagner ed a Nicolas Remond.

Anche queste lettere hanno naturalmente per argomento alcune questioni di logica.

 

B.

Per quel che riguarda, dunque, tutto il complesso degli Scritti logici di Leibniz, come osserva Allessandro Barone nella sua Introduzione al volume della Zanichelli, è subito da mettere in evidenza che «si tratta innanzi tutto, dei tentativi di calcolo logico e geometrico, cioè di abbozzi – per lo più incompiuti e non pubblicati dall’autore – miranti a dar forma di calcolo simbolico ad argomentazioni deduttive sia di natura strettamente logica sia di natura geometrica» (p. 10). All’interno di questi «tentativi», in realtà, continua Barone «se si ricerca la loro idea direttrice, ci si accorge… che essa sta nella concezione di un calcolo combinatorio esteso a tutto l’ambito concettuale, già formulata dal Leibniz ventenne nella Dissertatio de arte combinatoria, pubblicata nel 1666, e poi sviluppata, dopo l’approfondimento dei suoi studi matematici, nella concezione di una “matematica universale” che desse il rigore deduttivo del calcolo non solo alle quantità, bensì a tutte le “forme” e strutture gnoseologiche» (p.10-11). A questo punto si possono subito fare due considerazioni.

 

Due considerazioni.

Nicolas Remond, cortigiano e «Chef des Conseils» del duca di Oorléans nonché ammiratore della filosofia platonica, entrò in corrispondenza con Leibniz (tramite Pierre Coste) nel 1713. In una lettera del 10 gennaio 1714, Leibniz scrive al Remond: «… Oltre ad aver avuto cura di tutto dirigere verso l’edificazione, mi sono proposto di dissotterrare e riunire la verità sepolta e sparsa nelle opinioni delle diverse sette dei filosofi e credo di avervi aggiunto qualcosa di mio per procedere di qualche passo. Le occasioni dei miei studi, sin dalla prima giovinezza, mi hanno facilitato. Ancora ragazzo imparai a conoscere Aristotele, ed anche gli Scolastici non mi disgustavano affatto; ed anche ora non ne sono punto dispiaciuto. Tuttavia, già allora pure Platone e Plotino mi davano qualche soddisfazione, per non parlare di altri antichi che conobbi più tardi. Finiti gli studi del Trivio, mi buttai sui moderni, e mi ricordo che all’età di quindici anni me ne passeggiavo tutto solo per un bosco vicino a Lipsia, chiamato il Rosental, mentre andavo dibattendo tra me se conservare le forme sostanziali. Prevalse infine il meccanicismo, e mi portò ad applicarmi alle matematiche. È vero che penetrai nella matematica più profonda solo dopo aver avuto colloqui a Parigi con il signor Huygens. Ma quando cercai le ragioni ultime del meccanicismo e delle leggi stesse del movimento, fui del tutto sorpreso di vedere ch’era impossibile trovarle nelle matematiche, e che bisognava ritornare alla metafisica» (p. 513-514).

È dunque lo stesso Leibniz a raccontare il suo itinerario intellettuale e, con esso, le radici e le linee guida della stessa filosofia di cui egli si sarebbe fatto interprete e portavoce con la sua esperienza di pensiero. Ovvero, come spiega ancora Francesco Baroni, Leibniz «a partire dal ’65… opterà, in contrasto con le dottrine delle “forme sostanziali”, per una filosofia naturale atomistico-meccanicistica che si svilupperà, poi, dopo lo studio della teoria hobbesiana del conatus e delle leggi dell’urto del Wren e dello Huygens, in una concezione matematico-legale della fisica, congiunta tuttavia ad un’interpretazione metafisica per il significato spirituale dato al conatus: ma a tale opinione egli è già preparato dalla conoscenza della scolastica aristotelica e nominalistica – che gli viene dai suoi maestri di Liscia, il Thomasius e lo Scherzer – e, d’altro canto, dalla profonda impressione suscitata in lui, specie attraverso il Weigel, suo maestro di matematica a Jena, e attraverso le opere del Bisterfeld, da una concezione platonico-pitagorica della matematica, che è strumento di penetrazione dei lineamenti più intimi della realtà in quanto è costituita onticamente della sua struttura» (p. 24).

Da un lato, perciò, l’aristotelismo e la Scolastica e «dall’altro lato… egli incontrava nelle dottrine platonico-pitagorihe della matematica – ricollegatesi certo alla metafisica kepleriana dell’armonia, ma aventi tuttavia anche fuori della Germania una più ampia tradizione di pensiero, che risale agli ideali di pansofia, ed attraverso le arti mnemotecniche e le riforme rinascimentali della logica, sino alla combinatoria ed alla cabalistica lulliana – alcuni temi fondamentali che meglio permettevano di precisare il senso del realismo moderato, in quanto indicavano nella struttura matematica e nelle proposizione dei rapporti il fondamento ideale insito nel reale e la giustificazione del procedimento astrattivo e discorsivo» (p.25).

Ecco perché questi «tentativi» conducono nella direzione di «un calcolo combinatorio esteso a tutto l’ambito concettuale».

Al fondo del quale sta «quell’ideale invano perseguito, ma di cui tuttavia il Leibniz non dispera e che non è quindi per lui un semplice “sogno”… una caratteristica delle caratteristiche, la quale non si riduca a stabilire di volta in volta le regole sintattiche e semantiche del simbolismo, ma bensì fissi una volta per tutte le “proporzioni tra caratteri e cose” che è il “fondamento della verità”» (p. 54).

Una volta che tale ideale si sia realizzato, afferma lo stesso Leibniz «quando sorgeranno delle controversie, non ci sarà maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne sia tra due calcolatori - sarà sufficiente, infatti, che essi prendano la penna in mano, si siedano a tavolino,e si dicano reciprocamente (chiamato, se loro piace, un amico): “calcoliamo” (p. 237)».

Questo per quanto riguarda la nostra prima considerazione.

Inoltre: la nozione di «un calcolo combinatorio esteso a tutto l’ambito concettuale», il che è come dire l’«assiomatizzazione della logica» (Barone, p. 38) reca con sé una conseguenza.

La creazione di un vero e proprio «alfabeto dei pensieri umani» (p. 204).

Cioè di un «catalogo di quei concetti che si concepiscono per se stessi e dalla combinazione dei quali si ottengono tutte le altre nostre idee» (p. 204).

In sostanza se ad ogni cosa si fa corrispondere un numero, l’insieme finito di questi numeri fa si che da esso si possa trarre per deduzione tutta quanta la rimanente realtà.

Cioè tutta la nostra vita!

 

C.

Occorre osservare adesso che, in realtà, il percorso seguito da Leibniz nei suoi Scritti logici è quello dei «tentativi» di proposta di una «Scienza generale».

Nelle parole, prima di Francesco Barone e dopo dello stesso Leibniz, nel caso tipico di tale «Scienza generale» si tratta della «stessa enciclopedia del sapere, che contiene i principi di tutte le altre scienze ed il modo di servirsi dei principi… e deve trattare sia del modo di pensar bene, cioè di trovare, di giudicare, di governare gli affetti, di ritenere e di ricordare, sia degli elementi di tutta l’enciclopedia, e dell’investigazione del sommo bene, a causa del quale si intraprende ogni meditazione; la sapienza non è infatti che la scienza della felicità» (p. 49), ovvero «la scienza generale non è altro che scienza [del pensare] <del pensabile in generale in quanto è tale>, la quale <comprende> non soltanto la logica accolta sino ad ora, bensì anche l’arte dello scoprire, e il metodo o modo di disporre, e in più la sintesi e l’analisi, e la didattica, o scienza dell’insegnare; la gnoseologia (gnoseologia), che chiamiamo nosologia, l’arte del ricordare o mnemonica, l’arte caratteristica o simbolica, l’arte combinatoria, l’arte delle acutezze (Argutiarum), la grammatica filosofica: l’arte lulliana, la cabbala dei sapienti, la magna naturale, casualmente anche l’ontologia, o scienza del qualcosa o del nulla, dell’ente e del non ente, delle cose e dei loro modi, della sostanza e dell’accidente» (p. 192).

Lo strumento di questa «Scienza generale» sarà dunque quella «caratteristica universale» di cui si diceva.

Attraverso tale mezzo sarà raggiunto l’«alfabeto dei pensieri umani» che consentirà di dare accesso al meccanismo di funzionamento del mondo, alla regola fondamentale della realtà.

Non a caso infatti Leibniz dichiara che la sua logica «è… la suprema elevazione e l’uso più compendioso della ragione umana mediante simboli o segni» (p. 237), che «non vi è nulla di più grande che l’uomo possa compiere» (p. 474) e che «la somma felicità dell’uomo consiste nella sua perfezione accresciuta quanto più è possibile» (p. 202).

Fine della logica dunque per Leibniz è la contemplazione del meccanismo umano della vita e del mondo (oltre che dalla vita del mondo e del mondo della vita) finalmente messo a nudo in maniera definitiva.

Leibniz nei suoi Scritti logici ricerca il principio che sovrintende al Tutto.

 

Il Tutto.

Viene sviluppato ed organizzato dal Leibniz attraverso alcune determinazioni.

Per prima cosa egli ci informa che «il tutto (è così il numero o totalità) può venir diviso in parti intese come totalità minori» (p. 88).

Ad un certo punto però ci si arresta con la divisione o «scomposizione» (p. 350).

Leibniz allora osserva che «è verissimo che non v’è cosa che non si possa esprimere con termini popolari, per lo meno usandone molti» (p. 142).

Ed inoltre ci avverte che «il pensabile in generale… è l’oggetto di questa scienza» (p.192).

Una volta ammesso inoltre che (e sono le radici, insieme aristoteliche e meccanicistiche, del pensiero di Leibniz) «tutto, nei fenomeni della natura, avviene al tempo stesso meccanicamente e metafisicamente, ma che la fonte della meccanica è nella metafisica» (p.514) il passaggio effettuato dalla logica leibniziana è del tutto realizzato.

La divisione del Tutto viene arrestata alle verità primarie che possono essere di fatto o di ragione. Ad ogni cosa viene associato un numero, che a quel punto sarà un ente tout court metafisico.

E questa equiparazione condurrà all’«alfabeto dei pensieri umani» e quindi allo scioglimento di tutta la logica di Leibniz dentro al meccanismo che sovrintende a  tutte le cose, al Tutto.

 

D.

«Qual è dunque la ragione ultima della volontà divina? L’intelletto divino. Infatti Dio vuole le cose che comprende esser le migliori e al contempo le più armoniche [harminicotata], e le sceglie, per così dire, dal numero infinito di tutte le cose possibili. Qual è dunque la ragione ultima dell’intelletto divino? L’armonia delle cose. Qual è la ragione ultima dell’armonia delle cose? Nulla. Per esempio, del fatto che il rapporto di 2 a 4 sia eguale a quello di 4 a 8, non si può dare ragione alcuna, nemmeno ricercandola nella volontà divina. Ciò dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Infatti, le essenze delle cose sono numeri e contengono la stessa possibilità degli enti, la quale non è creata da Dio, che invece ne crea l’esistenza, dal momento che quelle stesse possibilità, ossia le idee delle cose, coincidono piuttosto con Dio stesso. Ma essendo Dio la mente più perfetta, è impossibile che Egli non si affetto dall’armonia più perfetta e non venga, per conseguenza, necessitato dalla stessa idealità delle cose a volere il meglio» (p. 446).

 

 

«I filosofi, dunque, spesso non percepiscono

se non le cose che anche gli altri uomini

percepiscono; percepiscono tuttavia con

attenzione quello che gli altri trascurano».

 

GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ

Dissertazione preliminare sull’edizione di opere altrui,

sullo scopo dell’opera, sul discorso filosofico e sugli errori del Nizolio

 

 Gianfranco Cordì

 

 

NdA. Tutte le citazioni fra parentesi sono tratte da Gottfried Wilhelm Leibniz, Scritti di logica (a cura di Francesco Barone), Zanichelli, Bologna, 1968.


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