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Scuola e Diritti. Riforma Gelmini (D.l. 137): dallo spezzatino della Moratti ora siamo alla... “frutta” 
Con "lettera aperta" di Simonetta Salacone
04 Ottobre 2008
 

Il decreto legge 137 c'è. È una realtà. Abbiamo nelle orecchie ancora l'eco di chi, poco più di due anni fa, affermava che non era possibile ad ogni governo mettere mano sulla scuola: cambiare sempre cambiare... insomma! Ecco, appunto, ora si è semplicemente cancellato. Si sono cancellati, per esempio, decenni di progresso e di approfondimento di una modalità di lavoro, quello del team, che semplice non era e non è, ma che forse, permetteva approcci diversificati alla complessità del mondo e non riconduceva lo scibile della conoscenza allo scrivere, leggere e far di conto.

Ma procediamo con ordine.

Le 24 ore di quarant'anni fa. Così si lavorava nei decenni '50 e '60. Quattro ore al giorno per sei giorni, una sola maestra. Solo le scuole cattoliche offrivano il doposcuola mentre in quelle statali era poco diffuso. In quel periodo, prima della media unificata (1963), oltre l'80% dei bambini che terminavano le scuole elementari proseguivano gli studi nelle scuole di avviamento professionale.

La rivoluzione delle 40 ore. Nel settembre del 1971, il tempo pieno diventa una realtà possibile. Prevede due docenti per classe è l'orario è di 40 ore settimanali compresa la mensa con 8 ore di compresenza. Uno degli obiettivi era di consentire la realizzazione di un progetto didattico integrato, senza differenziare fra maestra del mattino e dopo scuola pomeridiano. Nell' 84 parte il tempo prolungato anche alle scuole medie.

La scuola degli anni '90. Con la legge 148 del 1990 viene confermato il tempo pieno e vengono introdotti i moduli ovvero 3 insegnanti di ambito disciplinare ogni due classi. Questo modello organizzativo definiva anche una corrispondenza diretta con l'assegnazione di posti docenti in organico. Con la riforma Moratti, tale correlazione si è spezzata.

Il tempo si riduce nel 2003. Il ministro Moratti inizia un opera di riduzione del tempo scuola, inserendo ore facoltative al pomeriggio, togliendo le compresenze. Il tempo pieno viene sostituito con una organizzazione che prevede la somma fra le 27 ore curriculari, le 10 ore di mensa e le 3 ore opzionali gestite anche da insegnanti diverse.

Settembre 2008. Dopo il vuoto assordante del governo di centro sinistra in tema di politiche scolastiche (non solo), l'evidente continuità ideologica con la Moratti del ministro Fioroni, più un dipendente del Vaticano che ministro della pubblica istruzione, Gelmini riporta l'orologio della scuola elementare indietro di 40 anni. La ripercussione sarà pesante.

Innanzitutto si torna al maestro tuttologo, colui che sa tutto (è possibile?), si torna al docente solo di fronte alla classe, alla didattica, alle problematiche psicologiche ed educative dei bambini senza garantire la possibilità di confronto. Anche il bambino ed i genitori si troveranno ad interloquire con un'unica figura, onnisciente...

L'insegnante unico significa meno tempo d'ascolto ai bambini, che non sono gli stessi di 40 anni fa. Significa uno svantaggio soprattutto per coloro che vivono situazioni di difficoltà e che non avranno più la possibilità di trovare rispondenze diverse e diversificate. Il maestro unico significa fine del confronto e della dialettica fra docenti e fra alunni, significa più rischio di isolamento e meno consapevolezza del mondo.

Non essendo più possibile le compresenze, ciò significherà l'impossibilità di organizzare attività a piccoli gruppi, di potenziamento, di recupero e di integrazione. Significherà la fine delle attività di laboratorio indirizzate a gruppi mirati, come ad esempio le attività scientifiche o espressive.

Significherà la difficoltà nell'organizzare uscite esterne, le visite ai musei, le rassegne teatrali, le esperienze didattiche sul territorio...

Chi rimarrà poi con i bambini durante il tempo mensa? Chi farà uscire dal cappello, la ministra Gelmini? Se si riduce l'orario e il tempo scuola nonché l'organico (meno 132 ore all'anno) non è che finiranno per essere servizi a pagamento affidati a cooperative?

Si ritorna al voto numerico, al voto di condotta. Lo spauracchio del voto in condotta non ha mai funzionato per contenere fenomeni complessi come il bullismo o comportamenti sociali difficili. Il ritorno al voto numerico significa un ritorno alla scuola che da un giudizio di quantità e non di qualità, di una scuola che misura, che giudica che esclude e che a volte, condanna. Fornire elementi di comprensione attraverso il raggiungimento di un risultato, di un obiettivo (buono, distinto, ecc) significava superare la mera misurazione e sottolineare il processo educativo.

Scuole medie: nessuna valutazione globale. Alla Gelmini non sembra importante che i docenti osservino i livelli di partecipazione, interesse ed autonomia, collaborazione... tanto c'è il voto di condotta!

Con un solo 5 in pagella non si supera l'anno.

Perchè se una scuola boccia di più è una scuola seria? Forse è solamente ingiusta! E' una scuola che ha scelto di arrendersi di fronte all'insuccesso scolastico, è una scuola che non si interroga, che non cresce.

In conclusione. Il nuovo decreto significa abolizione delle compresenze, significa annullare esperienze fondate sui laboratori e sulle competenze acquisite dagli ingegnanti negli anni (costate, tra l’altro, fior di quattrini). Uno dei primi risultati di questa riforma, venduta come tutelante verso i bambini, sarà quello di diminuire il tempo scuola, di aumentare (come minimo 87.000 esuberi) l'orario di lavoro dell'insegnante onnisciente e tuttologo e ritornare ai “bei tempi” della maestra unica, con tassi di abbandono scolastico molto più alti e con un livello qualitativo decisamente più basso.

Il bambino al centro?

Forse se osservassero il centro, noterebbero che il bambino se ne è andato, e lì c'è rimasto solo Tremonti e il bisogno di tagliare fondi ad un ministero che meno produce cultura e sapere più lascia spazio ai privati che con Costituzione e Cittadinanza poco hanno in comune.

La scuola ha visto negli anni un calo complessivo di investimenti e risorse, un etichettamento negativo da parte di alcune forze politiche della classe insegnante, una squalifica a livello sociale della figura docente, ed è questo il motivo principale che ha contribuito alla sua crisi: la mancanza di investimenti economici e la caduta di rilevanza politico-culturale.

Solo in un caso l'investimento è stato forte e coeso nonché accettato da quasi tutte le forze politiche: l'assunzione di più di 20.000 insegnanti di Religione Cattolica!

Domanda 1: anche loro verranno ridotti? Si vedrà un'auspicata riforma che introduca l'insegnamento di storia, filosofia e religioni del mondo da parte dell'ormai noto docente unico?

Domanda 2: gli 8 miliardi di euro all'anno come contributi diretti ed agevolazioni allo stato del Vaticano, pari all'equivalente di tre anni di tagli nella scuola, verranno ripensati?

Nonostante i tagli e ritagli, la scuola elementare pubblica italiana è stata valutata fra le migliori al mondo (recente rapporto OCSE 2008), al sesto posto al mondo secondo il rapporto TIMMS-PIRLS.

Grazie a chi? Agli insegnanti e famiglie che, nonostante i continui tagli e la perdita di riconoscimento, nonostante il dirottamento dei fondi alle scuole private (TRA LE PEGGIORI AL MONDO), hanno tenuto anche rispetto a verifiche internazionali.

Nel 2004 la riforma Moratti non è stata applicata, nel 2009 si può fare altrettanto!!!

L'Associazione Scuola e Diritti sarà presente nel mese di ottobre sulle piazze di Morbegno (sabato 18,  h 10-13, in Piazza Sant'Antonio) e Sondrio (sabato 25, h 10-13, Piazza Campello) per sensibilizzare la popolazione e raccogliere firme contro questa riforma.

Vi aspettiamo.

 

Segreteria di Scuola e Diritti*

(per 'l Gazetin, ottobre 2008)

 

 

* Alcuni passaggi dell'articolo fanno riferimento al volantino di Rete Scuole.

 

 

 

LETTERA APERTA AL MINISTRO GELMINI

 

Di seguito una lettera scritta da una dirigente scolastica al ministro che ci pare ulteriormente chiarisca i rischi di questo decreto.

 

Roma, 23 settembre 2008

Gentile Ministro,

sono la Dirigente scolastica di una Scuola Primaria di Roma, la “Iqbal Masih”, ormai vicina all’età della pensione.

Assisto con vera angoscia alla morte annunciata della scuola del Modulo e del Tempo Pieno.

Questa scuola Elementare riformata noi “anziani” maestri l’abbiamo costruita giorno per giorno.

Partivamo, è vero, da una scuola che già funzionava con buoni risultati, ma che si trovava a far fronte, per prima fra tutti gli ordini, a nuove sfide e problemi: l’inserimento dei disabili, l’integrazione in tempi brevi di massicce quote di alunni immigrati, la progressiva crisi delle famiglie e dei contesti sociali, l’emergere di nuove forme di povertà e marginalità.

Contemporaneamente eravamo chiamati a sostenere l’impatto con la società multimediale, dove, intorno agli alunni, un grande e vorticoso rumore mediatico proveniente da un orizzonte globalizzato sostituiva la calma lenta del fluire del tempo e il ricorso rassicurante degli eventi familiari.

Sono entrati, fra gli alfabeti in cui istruire gli alunni, quelli delle immagini, dei suoni, del movimento.

Si sono dilatati gli spazi geografici e gli orizzonti storici, mitologie di popoli lontani si sono aggiunte a quelli a noi consuete; abitudini e culture diverse sono improvvisamente diventate contigue, prima attraverso il telecomando TV, poi con la presenza fra noi di nuovi cittadini, di colore diverso e che parlavano tante lingue e portavano fra noi storie di viaggi, gioie e fatiche, speranze e sogni da realizzare insieme a noi e ai piccoli compagni italiani.

La scuola è diventata fucina di nuova cittadinanza e presidio prioritario per prevenire razzismi, egoismi, separazioni, emarginazioni.

Per fare tutto questo occorreva tempo, tempo, tempo….

Tempo per ascoltare tutti i bambini, accogliere le loro ansie e le loro curiosità, aiutarli a “raffreddare” le esperienze e a mettere ordine e dare senso all’enorme quantità di nuove conoscenze ed esperienze che quotidianamente andavano facendo.

Tempo di ascolto dei genitori.

Tempo per lo scambio comunicativo fra gli alunni, perché potessero apprezzare le diversità di pensiero e di atteggiamenti presenti nelle classi e crescere attraverso il confronto.

Per fare tutto questo occorrevano anche tante competenze diverse, che non potevano essere patrimonio di un unico maestro, per quanto colto e dotato di buon afflato pedagogico.

Ma questi maestri, a cui si chiedeva di intervenire per educare ed istruire bambini diversi e più curiosi, dovevano essere capaci di lavorare insieme e di affinare le loro capacità di riflessione adulta, per non disorientare gli alunni con interventi divergenti.

A questi maestri del team veniva affidato il compito di far affiorare lentamente e sempre più consapevolmente i diversi quadri disciplinari, come punti di vista molteplici attraverso i quali i bambini avrebbero potuto osservare e riorganizzare la realtà.

Tutto questo abbiamo sperimentato e realizzato in questi ultimi trent’anni, quasi sempre con risultati eccellenti.

Non abbiamo ampliato il tempo scuola per venire incontro alla crisi occupazionale...

Non abbiamo sperimentato la pluralità docente per lavorare di meno e in più persone.

Fa molto male sentir dire dal nostro Ministro, come ieri è avvenuto nella trasmissione “Porta a Porta” che «…se un docente sta in classe, altri due stanno fuori a non fare niente».

Non possiamo permetterci una scuola di eccellenza, ma costosa?

Diciamolo: non inventiamo altri motivi.

Il “pedagogista” di riferimento per il nostro Ministro è il Ministro delle Finanze.

Stupisce la leggerezza, il pressappochismo, l’ignoranza di quanti, senza la minima competenza professionale, si esprimono sull’educazione delle nuove generazioni e sulla scuola.

Tornare indietro significherà umiliare la cultura dei docenti della scuola primaria, ma, soprattutto, far regredire il Paese.

Tagliare sulla Scuola di tutti è grave per la coesione sociale del nostro Paese, per la sua cultura e per il futuro dei nostri figli.

Nella nostra scuola è iniziato un movimento di protesta e mobilitazione fra docenti e genitori.

Mi auguro che esso cresca e apra la riflessione nella società.

Mi auguro che lei voglia ascoltare chi la scuola la fa tutti i giorni, con passione e serietà.

Le chiedo, a nome di tanti docenti di ritirare il decreto e di presentare un disegno di legge che permetta, senza l’ansia dei tempi brevi e il ricatto del voto di fiducia, di aprire un ampio dibattito in Parlamento e nel Paese tutto.

 

Con tanta amarezza, ma anche con la speranza che voglia accogliere il mio appello, la saluto

 

Simonetta Salacone


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