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“L’Italia di Magnum. Da Robert Capa a Paolo Pellegrin” e “Mi­che­lan­ge­lo. Divino artista” 
A Genova con Alberto Figliolia
26 Giugno 2021
 

Come può esser ch’io non sia più mio?
O Dio, o Dio, o Dio,
chi m’ha tolto a me stesso,
c’a me fusse più presso
o più di me potessi che poss’io?
O Dio, o Dio, o Dio,
come mi passa el core
chi non par che mi tocchi?
Che cosa è questo, Amore,
c’al core entra per gli occhi,
per poco spazio dentro par che cresca?
E s’avvien che trabocchi?

 

 

L’incomparabile bellezza del Centro Storico di Genova: un groviglio di vicoli, case medioevali e palazzi nobiliari. Un mosaico di Storia e storie. Lì si erge anche il Palazzo Ducale: imponente architettura che oggi ospita anche mostre temporanee di raro interesse. Fra quelle attualmente in corso “L’Italia di Magnum. Da Robert Capa a Paolo Pellegrin” (sino al 18 luglio nella Loggia degli Abati, curatela di Walter Guadagnini con Arianna Visani) e “Michelangelo. Divino artista” (sino all’11 luglio nell’Appartamento del Doge, a cura di Cristina Acidini con Alessandro Cecchi ed Elena Capretti).

L’Italia di Magnum” è una splendida galleria di oltre duecento immagini scattate dai fotografi della celebre agenzia, a partire dai fondatori Henri Cartier-Bresson, Robert Capa e David Seymour, sino a Ferdinando Scianna, Elliot Erwitt, Paolo Pellegrin e un prestigioso corteo di altri nomi. Un viaggio nel Bel Paese che copre i suoi innumerevoli aspetti: paesaggistico, sociale e storico, di costume: dai guasti e dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale alle spiagge degli anni Sessanta nell’era del Boom; dalle feste popolari e religiose ai monumenti che hanno reso celebre la nazione; dai grandi eventi che hanno segnato importanti svolte, spaccando l’opinione pubblica in due netti schieramenti, come il referendum sul divorzio, alle allucinate visioni degli ospedali psichiatrici, alias manicomi; dai fatti, personaggi e vittime della camorra nell’arco di una banale e triste quotidianità, con il sottile spietato inestirpabile filo della violenza, ai lustrini della neo-televisione privata; per concludersi con la tragedia contemporanea del Covid. Un itinerario di scoperta, una ricerca sia estetica che antropologica, memoria e lettura del presente, cronaca e previsione.

«Venti sono gli autori chiamati a raccontare eventi grandi e piccoli, personaggi e luoghi dell’Italia dal dopoguerra a oggi, in un affascinante intreccio di fotografie celeberrime e di altre meno note, di luoghi conosciuti in tutto il mondo e di semplici cittadini, che compongono il tessuto sociale e visivo del nostro paese. Introdotta da un omaggio a Henri Cartier-Bresson e al suo viaggio in Italia negli anni Trenta, la mostra prende avvio con due serie strepitose, una di Robert Capa, dedicata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, che mostra un paese in rovina, distrutto da cinque anni di conflitto, e una di David Seymour, che nel 1947 riprende invece i turisti che tornano a visitare la Cappella Sistina: l’eterna bellezza dell’arte italiana che appare come il segno della rinascita di un’intera nazione».

La mostra è suddivisa per decenni e, come detto, riesce a coprire i più svariati campi: dalla visione di Roma, con la sua venustà eterna e le contraddizioni legate a un prossimo caotico sviluppo, alla mostra di Picasso del 1953 al Palazzo Reale di Milano e ai fondali e scenari della leggendaria Cinecittà, nostrana e meravigliosa macchina dei sogni. Thomas Hoepker racconta le imprese di Cassius Clay-Muhammad Ali alle Olimpiadi del 1960; Bruno Barbey narra i funerali di Palmiro Togliatti; Martin Parr descrive il contrasto, con effetti anche comici, fra gli incantevoli luoghi della cultura e un certo cattivo gisto del turismo di massa.

«Alla fine del percorso si arriva alla contemporaneità: gli anni Novanta e Duemila sono come un viaggio tra i nostri ricordi più recenti e le nostre vicende attuali: Alex Majoli racconta le discoteche romagnole di allora e di oggi, in un lavoro concepito appositamente per questa occasione; Thomas Dworzak ci riporta alle drammatiche giornate del G8 di Genova, Peter Marlow all’ancor più tragica vicenda della guerra nella ex Jugoslavia, narrata dagli occhi dei soldati americani su una portaerei al largo delle coste italiane; Chris Steele-Perkins torna invece in Vaticano – presenza costante nella mostra in quanto presenza costante nella storia e nella cronaca d’Italia – per raccontare questa volta un aspetto letteralmente giocoso, il torneo di calcio tra religiosi “Clericus Cup”, quasi un’anticipazione delle immagini surreali di “The Young Pope”. Paolo Pellegrin chiude il decennio, con le immagini della folla assiepata in Piazza San Pietro nella veglia per la morte di Papa Giovanni Paolo II e con quelle di un’altra folla, quella dei migranti su un barcone, tragico segnale dell’attualità».

Dalla storia recente veicolata dal mezzo fotografico si compie un balzo indietro nei secoli per giungere a un personaggio d’eccezione in un’epoca sì convulsa, ma portatrice di fermenti culturali e artistici oltremodo fecondi e sedimentati nell’immaginario di ciascuno di noi. Stiamo parlando di un genio non certo inferiore a quello di Leonardo da Vinci. Scultore, pittore, architetto, poeta, uomo di pensiero e dalla febbrile capacità lavorativa, Michelangelo Buonarroti fu il creatore di opere degne dell’immortalità “per tensione morale, energia della forma, complessità dei concetti espressi”.

La mostra dedicata a Michelangelo dal Palazzo Ducale ne documenta non solo la biografia artistica, ma anche quella relazionale, con la molteplicità di incontri che ne costellarono la lunga esistenza. Insieme con disegni e schizzi sono esposte numerose lettere autografe, e quella grafia precisa, armoniosa, non manca di toccare nel profondo l’animo del visitatore.

«Nella sua vita prodigiosamente lunga e operosa l’artista fin dalla prima adolescenza fu in contatto, grazie al suo talento e, in seguito, alla sua fama, con personaggi d’alto rango dell’età rinascimentale, in posizioni chiave nella politica, nella religione, nella cultura. Nessun altro artista ha mai potuto vantare, né può oggi vantare, d’aver frequentato sotto il loro stesso tetto due futuri pontefici da giovinetti (Leone X e Clemente VII, di stirpe medicea), o di aver servito ben sette papi, o di aver intrattenuto rapporti diretti con mecenati della grandezza di Lorenzo il Magnifico e dei reali di Francia, Francesco I di Valois e la nuora Caterina de’ Medici».

La mostra, ricca ed esaustiva e dal raffinato e intelligente allestimento, indaga la complessa personalità del Buonarroti... «Generoso e sospettoso, schietto e prudente, amabile e brusco, Michelangelo è uomo dalle mille contraddizioni, che emerge più affascinante e carismatico ogni volta che si riprende in considerazione l’immensa mole dei capolavori da lui creati e dei documenti che ci guidano a ricostruirne la vita, l’opera, le relazioni e gli affetti. I rapporti intessuti da Buonarroti con famigliari, committenti e amici conoscono molteplici registri e variabili corrispondenze. Mai si sposò né ebbe figli, ma ebbe rapporti stretti con la famiglia d’origine. Per sua scelta visse modestamente, così da assistere i parenti fiorentini, lasciando però agli eredi grandi ricchezze. A Roma si legò con affetto sincero ad amici come Tommaso Cavalieri, giovane di “incomparabile” bellezza e di raffinata cultura, e Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, che si fece interprete delle inquietudini religiose del suo tempo».

E mentre il nostro sommo “fabbro” sceglieva personalmente il marmo nelle cave e dipingeva o scolpiva l’Europa si muoveva in preda a mille rivolgimenti (o sconvolgimenti), dalla Firenze di Lorenzo il Magnifico alla incendiaria e pauperistica predicazione del Savonarola, dai grandi papati al Sacco di Roma per opera dei Lanzichenecchi, agli scismi della Chiesa e al sorgere della Controriforma.

Davvero eccezionale la presenza in mostra di due eccelse sculture in marmo di Michelangelo: la Madonna della Scala (1490 circa), un capolavoro giovanile proveniente da Casa Buonarroti a Firenze; un’opera delicata e, nel contempo, intensa, “monumentale a dispetto delle dimensioni ridotte, punto di arrivo di una profonda rivisitazione di modelli antichi e moderni (Donatello) in chiave molto personale”. Di incommensurabile suggestione ed effetto il Cristo redentore (1514-1516), conservato nella chiesa di San Vincenzo Martire a Bassano Romano (Viterbo). Una statua di 250 cm di altezza che era stata abbandonata dal Buonarroti per via di una venatura del marmo ben visibile sulla guancia del Cristo.

Oltre alla sopraccitate sculture sono esposti una sessantina di disegni autografi e fogli del carteggio di Michelangelo, delle rime e di altri suoi scritti originali. E fra i disegni citiamo la Cleopatra (1535), eseguita per Tommaso Cavalieri, “uno di quei fogli (rari e straordinari al tempo stesso) realizzati dall’artista come opere grafiche in sé compiute e di superba qualità, concepite come doni privati ad amici (i presentation drawings, secondo una celebre definizione coniata da Johannes Wilde)”.

Il percorso espositivo (con gli apparati multimediali di sostegno) è strutturato in sezioni dedicate ai diversi periodi della vita di Michelangelo e comprende non solo opere originali di Michelangelo, ma anche quelle di diretti collaboratori, a lui o da lui stesso ispirate, ritratti di Michelangelo e dei personaggi storici a lui collegati, medaglie, rime, lettere, testimonianze documentarie e opere d’arte di svariati altri autori.

Un viaggio a Genova non può prescindere in questi giorni da una visita a queste mostre. Dulcis in fundo, alla fine dell’itinerario troverete, improvvisa e con effetto stendhaliano, la stupenda e magnificente Cappella del Doge. Anche questa vale il viaggio.

 

Alberto Figliolia

 

 

Orari: da martedì a giovedì 14:30-19:30, venerdì 14:30-21:00, sabato e domenica 11:00-19:00. La biglietteria chiude un’ora prima.

Biglietti: intero € 10, ridotto € 8, ridotto under 27 anni € 5.

Prenotazione e vendita biglietti: www.vivaticket.it

Info: www.palazzoducale.genova.it


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