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Damien Hirst. Treasures from the Wreck of the Unbelievable 
A Venezia, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, con Maria Paola Forlani
09 Giugno 2017
 

Damien Hirst (Bristol, 7 giugno 1965) è noto soprattutto per una serie di opere contraddittorie e provocanti, tra cui corpi di animali (come squali tigre, pecore e mucche) imbalsamati e immersi in formaldeide, vetrine con pillole o strumenti chirurgici o “mandala” costituiti da farfalle multicolori, o il celebre teschio ricoperto di diamanti. La morte è il tema centrale delle sue opere.

Manifesto della sua poetica è The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living (ovvero, L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo), consistente in uno squalo tigre di oltre 4 metri posto in formaldeide dentro una vetrina. Quell’opera divenne il simbolo dell’arte britannica degli anni novanta.

La vendita dell’opera nel 2004 ha reso Hirst l’artista vivente più caro dopo Jasper Johns. Intimamente legato non solo all’informale, ma anche all’action painting e alla pop art, è noto pure per le sue tecniche definite spin paintings, realizzate dipingendo su una superficie circolare in rotazione come un vinile sul giradischi, e spot paintings, consistenti in righe di cerchi colorati, spesso imitate dalla grafica pubblicitaria degli ultimi anni.

Rivoluzionario è anche il suo approccio alla clientela spesso bypassando i canali tradizionali delle gallerie e vendendo direttamente al pubblico attraverso aste milionarie o art-shop dedicati, per cui la prolifica produzione seriale degli spot-paintings o degli spin-paintings ed i lavori di più modeste dimensioni permettono a molti galleristi, ma soprattutto privati, di possedere un pezzo “prêt-à-porter” di Damien Hirst. Collaborazioni di Hirst con maison di moda si incanalano all’interno di una tendenza di commistione sempre più frequente tra il mondo artistico e quello dello stile, talvolta confondendo e i confini (il motivo del “teschio” o degli spot colorati saranno mainstream nell’abbigliamento e nel deisign).

Oggi che ha cinquantuno anni, Hirst si presenta con una grande personale in Italia, a Venezia, dopo la retrospettiva del 2004 al Museo archeologico nazionale di Napoli.

L’artista britannico è il titolare della quarta monografica in casa François Pinoult con una mostra che copre, contemporaneamente, le due sedi veneziane della raccolta del magnate del lusso francese, Palazzo Grassi e Punta della Dogana.

Il progetto espositivo Treasures from the Wreck of the Unbelievable” (fino al 3 dicembre), curato da Elena Geuna, è il frutto di un lavoro durato dieci anni e rappresenta il culmine dello stretto rapporto, nato diversi anni fa, tra l’artista e il mecenate e collezionista Pinault. L’opera di Hirst, artista imprescindibile della collezione, è già stata presentata nelle precedenti mostre collettive di Palazzo Grassi.

L’attuale esposizione nasce da un’idea complessa e ambiziosa, un po’ folle. Anche nelle dimensioni. Racconta una storia che assume i connotati leggendari di un antico naufragio, quello di una grande nave greca, la Apistos (Incredibile: la Ubelievable che sta nel titolo della mostra), e ne propone i preziosi carichi riportati in superficie (e in realtà tutti ripensati da Hirst) nei 5.000 metri quadrati esposti delle due sedi lagunari. La collezione sarebbe appartenuta al libero Aulus Calidius Amotan, conosciuto come Cif Amotan II, originario di Antiochia e vissuto tra il I e il II secolo d.C., che l’avrebbe destinata a un leggendario tempio dedicato al dio Sole in Oriente.

Insomma, un bel rebus per il visitatore, che deve interrogarsi su che cosa possa essere considerato vero, o anche solo finzione storica e archeologica, e che cosa, invece, è semplicemente il parto dell’incontenibile fantasia di Hirst, che si sarebbe ispirato a un fatto vero, il ritrovamento nel 1999 fatto dall’archeologo subacqueo Franck Goddio nella baia di Aboukir, in Egitto, ma ci ha poi giocato su col suo ben noto dissacrante. Risultato: centosettantanove opere ispirate all’antichità, idealmente collocabili tra il Delta del Nilo e l’Africa occidentale, l’India e il Messico dei Maya, la Grecia classica e la Roma imperiale.

Il diabolico Damien ha “truccato” le opere come se fossero appena state ripescate dalle acque. Ogni cosa è incrostata di alghe e coralli, dalle sirene alle meduse, ai budda, ai mostri marini ricoperti di conchiglie giganti, alle sculture di marmo, bronzo, cristallo di rocca e preziosa giada ricamata d’oro, argento e lapislazzuli.

E tra le belle cose ecco la zampata dell’artista (e dei cento artigiani che operano nel suo atelier) che si diverte a inserire tra i reperti i suoi Pippo, Topolino e altri amati eroi dineyani a loro volta incrostati di conchiglie.

Mentre ci si interroga sull’autenticità del genio Damien Hirst, il presidente di Palazzo Grassi e Punta della Dogana se ne dichiara fan assoluto, affascinato dall’energia inesauribile del suo artista. «Quella di Damien Hirts è un’avventura singolare e audace che mi ha appassionato, nella consapevolezza che poche istituzioni al mondo avrebbero avuto la possibilità di consegnarsi al sogno folle di un artista», dichiara con entusiasmo François Pinaut.

 

Maria Paola Forlani


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