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“Dal tetto del Duomo”. Alberto Figliolia intervista Mauro Raimondi
26 Marzo 2008
 

La prima fotografia di Milano è del IV secolo dopo Cristo e fu “scattata” da Ausonio Decimo Magno. Città opulenta e bella.

Bella è un aggettivo che molti, pregiudizialmente e categoricamente, rifiutano per Milano: lo trovano poco pertinente. La sfida di Mauro Raimondi, docente di Geografia e Storia di Milano, scrittore, è quella di dimostrare il contrario. Come farlo per non incorrere nell'accusa di faziosità che potrebbe essergli rivolta, in quanto milanese purosangue? Niente di meglio che raccogliere le testimonianze lasciate nel corso dei secoli da chi è passato per Milano. Comprese, s'intende, quelle negative o critiche (non tantissime, a dire il vero), lo scrupolo e il rigore dello storico sempre prevalendo. Da quest'indagine e da lunghissime e approfondite ricerche il Professor Raimondi ha fatto scaturire uno splendido libro, Dal tetto del Duomo (Touring Club Italiano). Una maniera assolutamente originale per raccontarci la città, con le sue storie, tesori, segreti, misteri, bellezze, monumenti, abitanti, vizi e virtù.

La nostalgia c'è, trasuda dalle pagine del volume, si scorge nitidamente, si afferra, ma ha un segno fecondo, non si aggroviglia su se stessa: è, semplicemente, consapevolezza e amore. Oltre alla serena analisi dello storico di professione e alle domande che si pone e ci vengono poste sul presente e immediati dintorni.

Matteo Bandello. Michel Eyquem de Montaigne. Andrea Scoto. Montesquieu. Joseph J. de Lalande, astronomo francese affascinato dai Navigli, in una città che si poteva definire, senza tema di smentita, d'acque, attraversata e solcata da canali, rogge, fiumi. Stendhal, innamorato perduto di Milano... «Milano è la città d'Europa con le strade più comode e i cortili più belli all'interno delle case. Cortili quadrati, cinti, come presso i Greci antichi, da un portico, formato da colonne di granito assai belle. Ci devono essere a Milano ventimila colonne di granito; le estraggono da Baveno, sul lago Maggiore. Arrivano qui attraverso il famoso canale che congiunge l'Adda al Ticino. Leonardo da Vinci lavorò a questo canale nel 1496; noi eravamo ancora soltanto dei barbari, come tutto il Nord». Compris? Capito? E se non basta... «Ritorno attraverso piazza del Duomo, alla Corsia dei Servi, dove è inconcepibile non incontrare, verso mezzogiorno, una o più delle dodici più belle donne di Milano». Un elenco di nomi gloriosi che hanno visto Milano con occhi liberi da prevenzioni di sorta.

E ancora ci parlano François-René de Chateuabriand, Elisabeth Vigée-Lebrun, Lord Byron e Percy Bysshe Shelley, Heinrich Heine, Hans Christian Andersen, Charles Dickens, Théophile Gautier, Herman Melville, Mark Twain, Gogol, Henry James, Sigmund Freud, affascinato dall'Ultima Cena leonardesca, Edith Warton, Le Corbusier, Rainer Maria Rilke, Jean Giono.

Mauro, perché il titolo Dal tetto del Duomo?

«Il libro descrive le impressioni sulla nostra città dei viaggiatori stranieri, dall’epoca romana agli anni Cinquanta. Via via che leggevo i loro resoconti, mi sono accorto che quasi tutti, per avere un quadro generale di Milano, salivano sul luogo più alto della città, quindi sul Duomo. Da qui il titolo. Del resto, salire sul Duomo è sempre stata una tradizione milanese: i bambini ci venivano portati il giorno della Prima Comunione, e i nostri concittadini, di domenica, andavano a farci un picnic».

E che cosa vedevano i viaggiatori di cui racconti?

«In genere, esaltavano la magnificenza del panorama, come il londinese John Ruskin che rimase affascinato dalle Alpi e che riguardo al Duomo scriveva in una lettera al padre: “.... è davvero l'opera più maestosa del mondo”. Jacob Burkhardt, uno dei più grandi storici dell'arte di tutti i tempi, ci ha lasciato una descrizione della Milano del XIX secolo con i suoi splendidi monumenti. Kafka, invece, si è soffermato sulle persone che affollavano la piazza sottostante, immortalando un controllore che sale di corsa sul tram. Herman Hesse salì sul Duomo insieme alla sua futura moglie, e si divertì a immaginare una statua che saliva in cielo e la gara di tutte le altre per raggiungere il pinnacolo rimasto sguarnito».

Quali erano i monumenti più visitati?

«Una cosa molto interessante, che si scopre leggendo il libro, è che esiste una geografia dei monumenti milanesi che cambia durante i secoli. Nel 1500, ad esempio, il tour del centro città prevedeva il Castello, piazza del Duomo, la Ca’ Granda e, a partire dal secolo successivo, l’Ambrosiana. Nell’Ottocento, invece, nessuno può partire da Milano senza aver visto il Cenacolo e Brera. Oltre, ovviamente, ad una puntata alla Scala e l'ascesa in cima al Duomo…».

Dove hai cercato queste testimonianze?

«Essenzialmente tra libri di viaggio e lettere. In qualche caso, come Hemingway o Madame de Stael, addirittura romanzi. Il mio obiettivo, tuttavia, non è stato quello di creare un’altra antologia, ma di provare a trovare, tra tutte queste testimonianze, un’immagine comune di Milano attraverso tutte queste epoche».

E le hai trovate?

«Secondo me, esiste davvero un genius loci in ogni città. Ad esempio, la prima testimonianza su Milano, risalente al IV secolo d.C, inizia dicendo... “Tutto è meraviglioso a Milano”, passando poi ad esaltare quella ricchezza che i viaggiatori stranieri ribadiranno persino nell’epoca spagnola. La Milano capitale economica, dunque, ha radici molto lontane. Ma anche l’attaccamento al lavoro e ai danee. Persino la Milano della moda non è una caratteristica solo moderna. C’è un pellegrino tedesco, Arnold von Arff, che giunge a Milano a fine Quattrocento e resta stupito dalla bellezza delle nostre donne: un’opinione che molti altri ribadiranno, nei secoli».

Quali sono le testimonianze che ti hanno maggiormente colpito?

«Ce ne sono di molto divertenti. C’è quella di un tedesco, Seume, che viaggia a piedi per tutta l’Europa e, quando giunge a Milano con il suo sacco, è guardato con sospetto dal gestore dell’albergo. Poi, però, paga regolarmente i suoi conti, incontra gente importante, e tutti gli sorridono. C’è Charles Dickens che parla di un'impenetrabile nebbione. Thomas Jefferson, il futuro presidente degli Stati Uniti d'America, che ruba del riso per portarlo al di là dell'Oceano (c’era la pena di morte, per questo). C’è Hemingway che va a San Siro, alle corse dei cavalli. E c’è addirittura Kafka che narra di una sua visita a un bordello milanese!»

La tua è davvero una carrellata di grandi personaggi...

«Bellissima è l’immagine di Shelley che legge la Commedia di Dante all'interno del Duomo. Dal punto di vista umano, poi, Dostoevskij mi ha davvero commosso. L’ho trovato grazie a Franco Loi: è lui che mi ha detto che era passato da Milano. Alla fine, dopo molte ricerche, ho scovato delle sue lettere in un polveroso volume alla Sormani. Diceva che lui e la moglie si sentivano soli, oppressi dai debiti e dalla tristezza per la recente morte della figlia. Diceva che la città era troppo cara, che non riusciva a finire L’idiota, a cui lavorò durante il suo breve periodo milanese. C’è poi la descrizione di un’esecuzione capitale, narrata nei minimi particolari, da parte del padre di Goethe, Caspar, che fa veramente rabbrividire».

Il libro è stato realizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo, al Marketing territoriale e all’Identità del Comune di Milano...

«Avevo già collaborato con l’assessore Massimiliano Orsatti in occasione del ciclo sulla Milano dei poeti. E “CentoMilano”, l’interessantissimo ciclo di incontri sulla città che l’assessorato sta organizzando insieme a Mario Migliara, prende proprio il titolo dal mio precedente libro. Visto che si parlava di viaggi, e dunque di turismo, quando ho terminato di redigere il testo si è creata una sinergia tra TCI e assessorato che ha permesso la realizzazione di un libro che si avvale anche delle bellissime fotografie di Annalisa Cimmino e Lorenzo Jucker».

E se volessimo sentirti parlare di Dal tetto del Duomo?

«Il 15 aprile sarò ospite dell’Antica Credenza di Sant'Ambrogio, in via Rivoli. In maggio, poi, il volume sarà inserito nel ciclo “Milano dei Cortili”, incontri organizzati dall’assessorato nell’ambito di “CentoMilano”. E in giugno sicuramente andrò a presentarlo alla Biblioteca del Parco Sempione, un luogo molto bello, anche se poco conosciuto».


Alberto Figliolia


Foto allegate

Il professor Raimondi da Milano. In trasferta indiana
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