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Giuseppina Rando. Le parole che aiutano a vivere  
Nota a margine al "Parlarsi" di Eugenio Borgna
12 Dicembre 2015
 

Eugenio Borgna

Parlarsi

La comunicazione perduta

Einaudi, Torino, 2015, pp. 92, € 11

 

... un parlare e un ascoltare

in una continua circolarità di esperienze

che nascono

dalla nostra capacità di emozionarci.

Eugenio Borgna

 

Eugenio Borgna, emerito psichiatra dell’Ospedale Maggiore di Novara e libero docente delle malattie nervose dell’Università di Milano – con la capacità comunicativa che gli è propria – nel breve saggio Parlarsi, affronta un problema di grande interesse, quello della “comunicazione perduta”.

Comunicazione, “parola-valigia” di cui, oggi, nel mondo globalizzato si fa un gran discutere, necessita di un approccio nuovo, più articolato e profondo e Borgna, con singolare professionalità, dopo le riflessioni iniziali (intrinseche di una analisi sociologica, oltre che personale e una breve premessa etimologica – comunicare significa “rendere comune” dal latino munus, dono – e quindi dialogo e relazione) ci dice che noi entriamo in comunicazione, e quindi in relazione con gli altri, in modo tanto più intenso e terapeutico quanta più passione è in noi, quante più passioni siamo in grado di provare e di vivere.

Analizza e congiunge i pensieri che attraversano il tessuto della vita fatto di salute e di malattia, di solitudine e convivenza, di parole e di non detto.

Non a caso, credo che il libro non abbia un indice strutturato e i pensieri si incastrano l’uno nell’altro, si intrecciano, dialogano con la poesia e le scienze umane; brevi testi che finiscono per attrarre e convincere proprio grazie al nesso logico che le articola.

Come comunicare? si chiede l’autore: si comunica con il linguaggio delle parole, con quello del silenzio, e con quello del corpo vivente. Le parole sono portatrici di comunicazione e di cura solo quando sono parole leggere e profonde, interiorizzate e calde d’emozione, sincere e pulsanti di vita; ma gli orizzonti di senso delle parole cambiano nella misura in cui si accompagnano al linguaggio del silenzio e a quello della voce, degli sguardi, dei volti e dei gesti, che contrassegnano i modi di essere del corpo vivente.

Parlarsi non è parlare, perché la chiave di una comunicazione autentica è la capacità di armonizzare la nostra esperienza del tempo con quella degli altri: comunicare è uscire da se stessi e immedesimarsi nella vita interiore di un altro da noi… entrare in empatia.

La comunicazione razionale da sola non riesce a essere strumento di rinascita interiore, di crescita e in ciò, continua Borgna, l’arte, e in particolare la Poesia, da sempre, è stata una preziosa alleata nell’esprimere ciò che la scienza fatica a rendere comprensibile.

La psichiatria, quella fenomenologica già agli inizi della sua storia, si è richiamata alla poesia al fine di rendere dicibili il dolore e la tristezza, la gioia e la tenerezza che fanno parte della sofferenza psichica.

Quando le parole non vengono ci sono i silenzi, i gesti del corpo vivente, cioè le carezze, gli abbracci, l’espressione del volto, i sorrisi e le lacrime. Parole e silenzio s’intrecciano e diventano la base per la vera comunicazione che ci allontani dalle chiacchiere quotidiane e si avvicini alle esperienze fondamentali della vita come l’attesa, la speranza, il dolore, i vivere e il morire.

Parlarsi, un libro che invita alla riflessione e alla meditazione sul senso delle cose e sul senso della vita, un testo ove si mette nella giusta luce il valore della parola e del silenzio, quello del volto e dello sguardo, della solitudine e delle lacrime.

Il saggio si conclude con un passo tratto da una bellissima lettera che Rainer Maria Rilke scrisse ad un giovane poeta, sulle parole che aiutano a vivere: «…non crediate che colui che tenta di confortarvi, viva senza fatica in mezzo alle parole semplici e calme, che qualche volta vi fanno bene. La sua vita reca molta fatica e tristezza e resta lontana dietro a loro. Ma, fosse altrimenti, egli non avrebbe potuto trovare queste parole».

Parole che si possono pronunciare – come diceva Simone Weil – solo se nella vita si sia conosciuta la sofferenza.

 

Giuseppina Rando


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