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Michele Corti. Il distretto agroalimentare valtellinese: agenzia politica per gestire i flussi di finanziamenti 
Approvati dalla Regione i distretti agrolimentari di Mantova e Sondrio. A Sondrio il Multiconsorzio delle DOP e IGP si metamorfosa in 'Distretto'
Emilio Rigamonti, Presidente, e Patrizio Del Nero, Direttore, del Multiconsorzio
Emilio Rigamonti, Presidente, e Patrizio Del Nero, Direttore, del Multiconsorzio 
10 Gennaio 2011
 

Istituiti con la finalità di raccordare 'dal basso' le imprese i distretti agroalimentari rischiano di divenire un nuovo livello paraistituzionale specie in Valtellina dove la politica e le imprese più grosse, non lasciano spazio agli interessi diffusi e alle piccole imprese. Così si rafforza una governance che penalizza ancora di più i prodotti di eccellenza e le esperienze di autentica ruralità

Questa 'analisi' di Michele Corti, che qui riproponiamo integralmente per l'interesse che riveste, è stata pubblicata ieri sul sito Ruralpini

 

 

L'attuale Multiconsorzio 'Valtellina che gusto' comprende i consorzi delle Dop e IGP (Formaggi Bitto e Casera Dop, I Vini DOP e DOCG, la Bresaola IGP, le Mele IGP) più il miele e i pizzoccheri industriali (questi ultimi non riconosciuti IGP per via della querelle in atto con un produttore bergamasco). Il 'Multiconsorzio', grazie all'approvazione della relativa domanda da parte della Regione si è trasformato in 'Distretto agroalimentare' formalizzando il 4 gennaio questa nuova veste (il nome resta lo stesso).

 

Spirito di 'distretto'?

 

I requisiti per trasformare il Multiconsorzio in 'Distretto' c'erano di sicuro perché il D.Lgs. istitutivo (228 del 2001) pone come condizione la presenza significativa di una o più produzioni certificate e tutelate ai sensi della vigente normativa comunitaria o nazionale. Non pare, invece, che sia molto presente lo spirito del Distretto, definito anche nella legge regionale (1/2007): «libera aggregazione di imprese volta allo sviluppo collaborativo di azioni volte alla condivisione di risorse e conoscenze, all’innovazione, all’internazionalizzazione, alla logistica». Ma ci vuole poco per capire che, al di là della lettera delle leggi lo spirito che le ha promosse era quello di sviluppare nell'ambito agricolo gli aspetti positivi del distretto industriale.

La forza dei distretti è stata quella del loro carattere anticipatore di 'reti' che valorizzavano al massimo il capitale sociale accumulato in ambito locale. Hanno rappresentato l'affermazione di un modello di flessibilità basato sull'interdipendenza non gerarchica basato sulla fiducia, su un idem sentire. Ènoto come, sin dagli anni '80, gli studiosi del fenomeno dell'industrializzazione diffusa abbiamo ricondotto il successo dei distretti alla presenza di un tessuto rurale molecolare di aziende contadine indipendenti o semi-indipendenti (mezzadria), di una solida cultura di solidarietà famigliare e comunitaria. Un modello dal basso favorito dalla presenza di piccoli centri urbani e di esperienze di industrializzazione pregressa ma, soprattutto, da questo humus rurale.

 

Distretto più industriale che 'agri'

 

Che le leggi e le istituzioni incentivino la costituzione di reti locali, la capacità di 'fare sistema' è non solo auspicabile ma doveroso. Il problema è che il distretto agroalimentare non solo non valorizza la specificità della ruralità valtellinese (unica provincia classificata 'rurale' con i parametri europei in forza della bassa densità demografica) ma consolida una governance di tutto il comparto agroalimentare che conferma il ruolo gerarchico delle imprese agroindustriali e di quelle aggregazioni istituzionalizzate sindacati agricoli, cooperative, consorzi al cui interno la rappresentatività dei piccoli produttori è fortemente penalizzata a vantaggio delle imprese più grosse, del management, dei funzionari che rappresentano nel loro insieme un milieu legato da molti interessi reciproci (politici, personali, economici) e nel suo insieme collegato agli 'interessi forti' locali (banche, GDO, industriali).

 

Dop confermate un'arma a doppio taglio

contro i produttori rurali

 

Ancora una volta le Dop si rivelano come arma a doppio taglio. Il distretto agroalimentare è stato approvato dalla regione grazie alla presenza in provincia di Sondrio di diverse Dop e Igp. In assenza di queste la Valtellina e la Valchiavenna avrebbero avuto tutte le carte in regola per chiedere di costituirsi in distretto rurale. Che punta sull'identità storica e territoriale, sulla presenza di beni o servizi coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e territoriali. Che valorizza la piccola produzione alimentare artigianale e le interrelazioni tra essa e l'attività agricola ma che al tempo stesso sottolinea la necessità di rafforzare le sinergie tra l'agroalimentare, il turismo e la cultura, le sagre autentiche, le microfiliere gestite a livello locale (sia pure nell'ottica di distretto in grado di fare rete e presentarsi all'esterno con un'offerta riconoscibile e coerente). Ma in un distretto rurale la bresaola industriale della Rigamonti non c'entra nulla; idem i Pizzoccheri della Moro ecc. In un distretto rurale un gioiello da mettere in mostra sarebbe il Bitto storico, quello dei 'ribelli del Bitto' che Slow Food sta facendo conoscere in tutto il mondo come esempio di 'resistenza casearia'. Essi, però, proprio dalle parti del Multiconsorzio, sono considerati una spina nel fianco, un'anomalia da eliminare al più presto (ricordiamo che il Consorzio 'alternativo' legato alla tradizione che mantiene i metodi  originali di produzione del Bitto nell'area storica ha appena dovuto pagare una sanzione per aver 'usurpato la Dop 'Bitto').

 

Distretto indipendente dalla politica:

le barzellette del sciur Rigamonti

 

Emilio Rigamonti, patron della bresaola industriale, sostiene che il Distretto «ha garantita la massima indipendenza ed autonomia rispetto al mondo della politica onde evitare ingerenze che mal si sposano con il business». Già, però oltre che restare egli stesso Presidente è stato confermato anche il Direttore, ovvero Patrizio Del Nero, uno dei principali esponenti politici valtellinesi. A parte la lunga carriera politica e di amministratore pubblico di questo personaggio (che è tanto di 'lungo corso' da essere stato segretario delle federazione provinciale del Partito Comunista) la cosa che più stride (e che fa persino ridere) è che attualmente, tra le varie cadreghe, occupa anche quella di Presidente del Consiglio Provinciale. Un fatto che contrasta un tantino con la presenza tra i promotori del Distretto della stessa Provincia oltre che della Camera di Commercio, delle associazioni di agricoltori, artigiani, commercianti e industriali, della Confcooperative, delle due banche locali, della Società di Sviluppo Locale Provincia, Comunità montane, Camera di Commercio, CGIL, CISL, Confindustria ecc.), Provinea (produttori ma anche Provincia, camera di Commercio, Comuni. Comunità Montane, Ersaf), Ersaf (ente strumentale della Regione), Parco delle Orobie Valtellinesi, il Consorzio Turistico Provinciale, Vivi le Valli (marchio della GDO e di alcuni industriali sempre i soliti), Sev, Degustibus, l’Accademia del Pizzocchero, la Strada dei Vini e dei Sapori, Fondazione Fojanini (Provincia, Comunità montane), Politec e Università di Pavia. Uno schieramento più pubblico e para-pubblico che privato dove dietro molte sigle i soggetti sono spesso gli stessi (a partire dalla Provincia). Nella 'stanza dei bottoni' non ci saranno le istituzioni direttamente, in quanto il capitale sociale sarà al 51% dei Consorzi Dop e IGP e il resto di altri produttori associati o singoli con la precisazione, sempre di Rigamonti, che si vuole aprire ad altri 'trasformatori' che di materia prima valtellinese o lombarda non vedono un grammo (funghi conservati e confetture). Ma il Distretto opererà con convenzioni con le istituzioni e farà girare molte risorse pubbliche divenendo un potente collettore e gestore di spesa pubblica. Altro che 'raccordo tra le imprese'.

Ma poi i Consorzi delle Dop sono poi un soggetto genuinamente privato? Sulla carta sì, ma nella pratica - specie quando fa comodo - sono un soggetto con statuto e attribuzioni para-istituzionali. Un'ambiguità che in Italia è diffusissima e spiega: 1) perché ci sono tante posizioni acquisite che si precostituiscono titoli per succhiare alla spesa pubblica; 2) perché la spesa pubblica stessa è poco produttiva in quanto 'deviata' dagli apparati autoreferenziali delle troppe agenzie-parapubbliche con finalità spesso diverse e discordanti rispetto a quelle dei soggetti che dovrebbero, sulla carta, rappresentare.

 

Perché non c'è un manager?

 

Il tutto potrebbe avere un po' più di credibilità se a dirigere la baracca non ci fosse un politico di professione ma un manager estraneo alla politica (e agli interessi) locali. Il Distretto ha già in cantiere progetti per 18 milioni e si candida a diventare lo Sportello della montagna lombarda per l'Expo 2015. Gestire il Distretto e mantenere al tempo stesso posizioni di controllo nelle amministrazioni pubbliche conferisce di certo un bel po' di potere politico. Ma, a parte questo, quello che ci preme sottolineare è che le realtà come il Bitto storico, i produttori di grano saraceno, i 'piccoli', i 'biologici' dentro questo schema di governance molto dall'alto e molto sotto il controllo della politica (e dell'industria) o saranno ulteriormente penalizzati o saranno ammessi alle briciole. Se fanno i bravi col cappello in mano.

 

Michele Corti

(da Ruralpini, 9 gennaio 2011)


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