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Clandestinità. Un reato criminogeno che deve essere eliminato dall'ordinamento 
Un contributo alla Corte Costituzionale
14 Ottobre 2009
 

A seguire un nostro contributo alla Corte Costituzionale perché', dopo i distinguo tra l'uso del reato di clandestinità come aggravante e il reato in sé, faccia partire l'analisi di quei ricorsi che rimettono in discussione che la clandestinità debba essere considerato un reato penale.

Il contributo è di Emmanuela Bertucci, legale Aduc e responsabile di Aduc-Immigrazione.

 

 

Il reato di clandestinità, a pochi mesi dalla sua introduzione, inizia a “scricchiolare”. La Corte Costituzionale è stata infatti già chiamata a verificare se la sua introduzione sia irragionevole e discriminatoria.

La funzione di questo reato è deterrente, finalizzata a scoraggiare l'ingresso clandestino, nonché ad ottenere l'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio italiano. Può un simile fine essere ottenuto introducendo un reato? Quando un comportamento può (e deve) essere punito con una sanzione penale?

Consideriamo in primo luogo che, secondo un principio di diritto penale, è meritevole di sanzione quel comportamento che offende un bene giuridico tutelato dalla Costituzione. Esistono, ad esempio, i reati contro la persona (violenza, minaccia, omicidio, lesioni, ecc.) e i reati contro il patrimonio (furto, rapina, truffa, ecc.); in questi casi i beni giuridici tutelati dalla norma sono l'integrità psico-fisica della persona e dei propri beni, che poi a loro volta sono oggetto di tutela costituzionale. Quale sarebbe il bene giuridico di rilevanza costituzionale per tutelare il quale è stato introdotto il reato di clandestinità?

Se lo chiedono anche i giudici e i pubblici ministeri che hanno richiesto e sollevato la questione di costituzionalità. Dalla lettura della legge, il bene giuridico tutelato consiste nella tutela della sicurezza pubblica. Ma un irregolare non è per definizione socialmente pericoloso. Ci sono irregolari che tali rimangono per anni e che vivono onestamente, lavorano (a nero, a vantaggio dei datori di lavoro) e rispettano le leggi; ci sono stranieri regolari che per qualsiasi motivo perdono il permesso di soggiorno e si ritrovano immediatamente autori di un reato; ci sono turisti o altri “soggiornanti di breve periodo” che, per contingenze della vita, rimangono in Italia anche un solo giorno oltre la scadenza del visto, e sono automaticamente perseguibili. E la norma non comprende alcun “giustificato motivo” che esima dalla commissione del reato. Come chiaramente evidenzia il giudice di pace di Torino che ha sollevato l'eccezione di costituzionalità, i casi appena citati sono ben diversi dalla situazione di chi, entrato clandestinamente in Italia, vive di attività criminosa; eppure tutte le situazioni citate sono punite allo stesso titolo, e con le stesse sanzioni.

Altro principio cardine del nostro ordinamento è che la tutela penale di un bene giuridico, mediante l'introduzione di un reato, sia giustificata solo come extrema ratio, cioè quando tutti i rimedi “minori” sono stati ritenuti inidonei allo scopo.

Posto che il fine di questa norma è ottenere l'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio italiano (tanto che se lo straniero se ne va -spontaneamente o coattivamente- prima della conclusione del processo, quest'ultimo si chiude senza condanna), la norma è perfettamente inutile perché le leggi italiane già prevedono l'espulsione coattiva dello straniero irregolare, che però non viene attuata per mancanza di fondi o di personale.

Ancora, la struttura di un reato deve prevedere la consapevolezza, colposa o dolosa, della propria condotta criminale; condotta che «consiste in una azione (o una omissione) che sia riconducibile al soggetto consapevole. Ma il reato di clandestinità non punisce una “condotta” quanto invece una “condizione”, di uno status nel quale, peraltro, versano moltissime persone; condizione costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che è poi la condizione tipica del migrante economico e, dunque, anche una condizione sociale, cioè propria di una categoria di persone.

Una situazione [...] difficilmente riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dello straniero migrante, essendo costui costretto, di regola, a fuggire dal proprio Stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire la sottrazione dei propri documenti (ove esistenti) da parte delle compagini criminali che organizzano i viaggi della speranza e si 'prendono cura' di lui nel luogo di destinazione?» (richiesta del PM presso il tribunale di Torino del 15 settembre 2009).

Sarà ora la Corte Costituzionale a misurare sul metro della Carta fondamentale -che tutela dalla discriminazione e dalla disparità di trattamento, proclama la dignità umana, la ragionevolezza e proporzionalità degli interventi legislativi- il reato di clandestinità. Reato figlio del fallimento dell'amministrazione pubblica nell'organizzazione economica e logistica delle espulsioni coattive; e padre, a sua volta, di un sistema criminale e criminogeno di sfruttamento delle situazioni di clandestinità.

L'introduzione di questo reato non rafforza la “sicurezza dei cittadini” (rigorosamente italiani), ma le organizzazioni criminali che sulla condizione di irregolarità ci lucrano illegalmente, forti del fatto che la propria vittima non potrà mai rivolgersi alle forze dell'ordine per sporgere una denuncia. Si pensi alla recente regolarizzazione delle colf e alle truffe organizzate in diverse aree di Italia sulle quali le Procure della Repubblica stanno indagando: moltissimi stranieri hanno pagato a fantomatiche agenzie circa 6.000,00 euro per la regolarizzazione da parte di un datore di lavoro inesistente, e proprio perché questo datore di lavoro non esiste non otterranno il permesso di soggiorno, dunque rimarranno clandestini e se volessero denunciare l'accaduto dovrebbero inevitabilmente “autodenunciarsi” per immigrazione clandestina.


Emmanuela Bertucci, legale Aduc


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