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Mauro Del Barba. Una provincia da salvare 
Come la vede il senatore PD della provincia di Sondrio
22 Giugno 2013
 

Il tema della chiusura delle province sta giustamente preoccupando e interessando l'opinione pubblica. Ciascuno è bene dica la propria, partiti e istituzioni.

 

Vale forse la pena esprimere in maniera schematica il pensiero che ho pubblicamente condiviso in due recenti convegni e che mi vede da tempo attivo presso il ministro Del Rio a Roma.

1. Negli ultimi anni si è sviluppata nell'opinione pubblica la convinzione che il sistema istituzionale di cui siamo dotati sia inadeguato e che occorra riformarlo partendo dall'eliminazione delle province.

2. Gli ultimi governi hanno optato, con un po' di confusione, per questa opzione, confermata e rafforzata dal governo in carica.

3. La recente nascita di province nuove, di cui i giornali hanno raccontato inutilità e spreco, ha reso praticamente irreversibile questa scelta e rafforzato la volontà popolare a procedere in tal senso. Immaginare la difesa della nostra provincia accomunandola in ciò ad analoghi soggetti recentemente nati sarebbe un oltraggio alla nostra specificità.

4. È evidente per motivi storici, culturali, geografici, economici, organizzativi che il territorio della provincia di Sondrio non è una mera realtà amministrativa fittizia, ma necessita di una sua forma locale di governo e pianificazione, in grado di pensare che sviluppo dare alle proprie aziende, di orientare le vocazioni produttive più adatte a vincere le sfide competitive, di rispettare e accogliere i propri abitanti e i visitatori.

5. È purtroppo difficile far passare la necessità del punto precedente, anche per l'assenza da troppo tempo di un buongoverno locale, di cui oggi possiamo leggere le conseguenze sia osservando il territorio che i numeri che ci fornisce la camera di commercio. Inoltre la gestione centralistica della Regione Lombardia ha reso ancora più difficile e inefficace il compito delle province lombarde e non consentito quella possibile maggiore partecipazione alle scelte che avrebbe oggi reso più forte l'attuale assetto.

6. Permane l'impellente necessità di dare politiche e forma di governo a questo territorio montano che subisce svantaggi competitivi, ma nel contempo potrebbe avere risorse locali per un migliore e potenziato autogoverno.

7. La riforma che verrà attuata ci deve vedere protagonisti positivi e propositivi nell'ottenere uno spazio nostro, mettendo sul tavolo con convinzione una completa ridefinizione delle istituzioni attuali che non sembrano più garantire i benefici che si vorrebbero per sé.

8. Se lo status quo ci sta impoverendo; non si capisce perché lottare per mantenerlo e non per migliorare. Le riforme si fanno per stare meglio di come si stava prima. Il vero rischio che corriamo è di non partecipare attivamente dentro una riforma della nostra Repubblica, finendo per venirne penalizzati.

 

Concludendo:

A. Non sono per la chiusura delle province. Prendo atto che questo è un processo in corso nel paese, che altri territori hanno già iniziato a recepire, e non intendo propormi ai miei convalligiani come un soggetto che li voglia illudere cercando di guadagnarne un consenso personale. Sono convinto che ogni processo di cambiamento ispirato da ragioni di progresso abbia in sé la potenzialità di miglioramento, che però va fatta cogliere senza subire gli accadimenti, ma approfittando delle opportunità.

Non mi aspetto grandi miglioramenti da questa semplice soppressione che al contrario ci deve vedere pronti a costruire una alternativa che abbia la forza di un riordino complessivo vantaggioso e irrinunciabile.

B. Ad un recente convegno della SEV lo stesso presidente della provincia ha avuto modo di dire che con la Regione Lombardia prepareranno una proposta complessiva di riordino. Mi pare una bella idea e deve diventare occasione di partecipazione, allargamento, condivisione. Non vorrei che invece fosse usata come una battaglia politica di parte: una proposta tardiva, fatta per non essere recepita dagli altri Italiani, funzionale a risollevare il consenso locale. Una sconfitta rigenerante, ma non per la provincia.

 

Due importanti note di lettura:

N1. Quando penso che non abbiamo saputo in questi anni valorizzare l'istituzione provincia (capannoni, pgt, economia, turismo...) non posso semplicemente fare una critica a chi l'ha governata, PDL e Lega. Purtroppo ritengo che sia il sistema complessivo politico-produttivo locale, la “classe dirigente” di cui anche io faccio parte, ad avere nel complesso queste responsabilità. Esprimiamo una cultura delle istituzioni non più adeguata, riduttiva. Ho iniziato a pensarlo qualche anno fa, quando alcuni amministratori di un'altra parte d'Italia mi chiamarono, in qualità di presidente di A2020, per un loro aggiornamento professionale su sostenibilità e governo locale. Mi colpì molto che sindaci e presidente di comunità montana quando parlavano della propria azione amministrativa e dei loro problemi, citavano le aziende del territorio e ne conoscevano le problematiche come fossero gli amministratori delegati, con una piena convinzione di non essere semplicemente amministratori di un ente e di alcuni servizi, ma responsabili del complesso di azioni che su quel suolo avevano forma.

Altro episodio che mi ha recentemente colpito è stata l'opportunità avuta di “suggerire” al governo degli interventi sul decreto del fare per le aziende. In pochi minuti ho scritto ai rappresentanti provinciali chiedendo di avere il loro contributo. Avevo 36 ore e nessuno mi ha risposto in tempo. Cosa significa? Che il sistema parlamentare/territorio in provincia di Sondrio è meno collaudato di quanto lo sia altrove (in verità, per non deprimerci troppo, tutte le categorie e presidente cciaa avevano pochi giorni prima avuto un colloquio con me di cui ho potuto comunque fare tesoro e successivamente ho pure ricevuto i loro contributi scritti). Resta comunque il fatto che se mi confronto con le eccellenze del nostro paese abbiamo molti margini di miglioramento in termini di rivendicazione e costruzione dei nostri interessi peculiari, a partire dalla loro costruzione culturale, politica, operativa in casa nostra. Dobbiamo migliorare in dialogo, proposta concreta, coraggio, intraprendenza collettiva.

N2. Il tacchino non anticipa il Natale. Matteo Renzi ha definito i “suoi” senatori dei tacchini, perché hanno il coraggio di sostenere la riforma istituzionale che prevede la soppressione del Senato. Pensare di chiudere il Senato non significa, lo dice un Senatore, pensare che il Senato ora sia inutile e dunque i senatori inutili. Se non ci fossero buoni senatori in questo momento non potremmo avere buone leggi o sostenere buoni governi. Ciò non deve esimere anche i Senatori dall'osare di più. Il bicameralismo perfetto è oggi inadeguato ai bisogni del paese. Una delle due camere va chiusa e trasformata in senato delle regioni, semplificando il processo legislativo e realizzando un migliore apporto “federale”. Sento spesso una giusta difesa dell'operato delle province e dei loro amministratori. Non è in discussione la loro capacità e l'utilità che ricoprono, ma l'efficacia del sistema nel suo complesso. La debolezza del momento che attraversiamo è che la nostra società ritiene inefficace l'attuale sistema, ma è incapace di produrne uno differente e migliore. Sono convinto che ciò non avverrà al primo tentativo, ma anche che non sia più tollerabile e non sarebbe capito il permanere nella situazione data.

 

Mauro Del Barba

(dalla sua pagina facebook)


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