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La pillola abortiva deve essere disponibile in tutti gli ospedali piemontesi 
E non solo al S. Anna di Torino. Grazie alla giornalista Flavia Amabile per aver dimostrato che l’aborto “fai da te” è oggi in Italia alla portata di tutte e praticato da molte
16 Aprile 2010
 

La notizia che da lunedì le donne potranno accedere all’aborto farmacologico presso l’Ospedale S. Anna di Torino è una buona notizia. Come riportiamo nel libretto che l’Associazione Aglietta ha dedicato alla vicenda della RU486, tutto partì da lì: il 29 gennaio 2001 il ginecologo radicale Silvio Viale (foto) presentò all’Ospedale S. Anna di Torino – dove lavorava e dove lavora tutt’oggi con la qualifica di Responsabile delle IVG – e alla Regione la richiesta di attivazione dell’aborto farmacologico; l’8 settembre 2005 fu al S. Anna di Torino che la prima cittadina italiana poté accedere alla pillola abortiva, allora in regime di sperimentazione; fino al luglio 2006, quando l’Assessore regionale di Rifondazione Comunista Mario Valpreda sospenderà tale sperimentazione, saranno 362 gli aborti farmacologici. Quindi, l’équipe medica del S. Anna ha alle spalle tutto il know how necessario per assicurare alle donne un’assistenza sanitaria adeguata.

Ma non basta. Quanto fatto presso l’Ospedale S. Anna in questi dieci anni deve permettere a tutti gli ospedali di Torino e dell’intero Piemonte che già praticano IVG di assicurare l’accesso all’aborto farmacologico nel giro di pochi giorni. Dopo aver lottato per così lungo tempo, non siamo disponibili a tollerare ulteriori ritardi, ulteriori ostruzionismi; lo ripetiamo, gli avvocati radicali sono a disposizione delle donne a cui sarà negata la pillola abortiva.

 

Dobbiamo, infine, ringraziare la giornalista Flavia Amabile per aver denunciato concretamente l’ipocrisia che pervade tutta la discussione sulla RU486; mentre la sottosegretaria Eugenia Roccella si scaglia ogni giorno contro «il rischio dell’aborto a domicilio», l’Amabile ha dimostrato che l’aborto “fai da te” è una realtà in Italia alla portata di ogni donna, tramite gli acquisti di un farmaco anti-ulcera tramite Internet, o direttamente in strada... o addirittura presso le farmacie della Città del Vaticano, addirittura a un prezzo minore di quello praticato in Italia.

E l’“aborto fai-da-te”, pericoloso per le donne, è incentivato dal fatto che l’operazione medica dell’interruzione di gravidanza è, in Italia, monopolio del servizio pubblico e dal fatto che nei reparti di ginecologia ed ostetricia il 70,5% dei ginecologi è obiettore di coscienza (ma in cinque regioni siamo oltre l’80%, dati del Ministero della Salute). Ricordiamo che nel 1981 i radicali promossero un referendum per consentire anche ai medici privati di praticare gli aborti e che da cinque anni giace nei cassetti della Camera dei Deputati una proposta di legge (prima firmataria Maria Antonietta Farina Coscioni, C. 276), predisposta dal Dr Viale, che prevede la presenza nei reparti di ginecologia di almeno il 50% di personale non obiettore.

 

Ci pare che come radicali quello che potevamo e possiamo fare l’abbiamo fatto e lo facciamo; ma dov’è il movimento delle donne? E il PD dirà e soprattutto farà, finalmente, qualcosa?

 

Nathalie Pisano (Comitato nazionale Radicali Italiani)

Caterina Simiand (giunta segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta, Torino)


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