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Testamento biologico. Cronaca di una settimana parlamentare 
Forzature delle regole, spartizione partitocratica dei principi, mancata occasione di dibattito sulla morte dignitosa
06 Marzo 2009
 

Il lunedì

Anche per i parlamentari della Commissione Sanità, oltre a quelli che più si sono appassionati alla materia del testamento biologico, questa settimana è iniziata di lunedì. Dalle 20 alle 24 del 2 marzo: interventi per illustrare articoli ed emendamenti e per chiedere alla politica di non entrare dentro il corpo delle persone, per chiedere con le argomentazioni più diverse di tornare a parlare di testamento biologico e quindi di normare un diritto a rifiutare una cura anche per chi si trovasse nell'impossibilità pratica di poter esprimere il consenso, ma avendolo detto e scritto precedentemente.

Tornare a parlare di questo perché, dopo la presentazione del testo base Calabrò, tutto si è spostato sul principio dell'indisponibilità della vita -per se stessi, ma non per lo Stato e il suo tramite, il medico- e sull'obbligo delle cure salvavita anche per i soggetti capaci di esprimersi. Mai, si scrive in quel testo della maggioranza, mai -e in nessun caso- l'esercizio dell'attività medica può produrre, o più semplicemente consentire, la morte del paziente. Medicina miracolistica o trattamenti sanitari obbligatori? Una norma così avrebbe impedito a Piergiorgio Welby di vedersi staccato il respiratore, alla donna di non amputarsi la gamba in cancrena e ai testimoni di Geova di non fare le trasfusioni di sangue.

Il dibattito sul testamento biologico e su quali terapie si possono precedentemente scrivere di rifiutare, su quali condizioni di non-vita non volersi trovare, aveva visto il Partito Democratico su posizioni molto diversificate al suo interno, tanto da dover inventarsi le formule magiche dell'orientamento prevalente su testi molto complicati nella sintassi, nella logica e nella politica. Il dibattito sul consenso informato l'ha ricompattato mentre aveva frantumato quello della maggioranza. Prima si sfila Giuseppe Pisanu, ieri appare Umberto Bossi, segnali che su Eluana Englaro non erano apparsi. Su quella vicenda singola si poteva fare anche qualche strappo alle regole e alle istituzioni per la piega demagogica e populista imposta dal presidente del Consiglio, ma ora la legge dovrebbe evitare di andare palesemente contro l'articolo 32 della Costituzione e il principio della libertà di cura.

Il relatore preannuncia di voler favorire il dialogo e un clima più sereno e annuncia emendamenti che potrebbero fare una nuova maggioranza più ampia rispetto a quella che sostiene il Governo.


Il martedì

Martedì 3 marzo si prosegue nell'illustrazione degli emendamenti. Salta la notturna per il clima sereno che si cerca di riacquistare.


Il mercoledì

Mercoledì mattina la replica del relatore, lo segue il capogruppo del Pdl Michele Saccomanno, e poi a seduta conclusa la consegna materiale dei due emendamenti del relatore. Termine per i sub-emendamenti, ore 20. Dalla mattina seguente alle 8:30 si può iniziare votare.

Con il primo si riscrivono i primi tre articoli della legge (il principio dell'indisponibilità della vita, il divieto di eutanasia e le cure obbligatorie, il divieto di accanimento terapeutico): semplicemente si concentrano in un unico articolo, scritto con un italiano più scorrevole ma lasciandone intatto il contenuto anticostituzionale. Con il secondo emendamento si riscrive l'ultimo articolo, quello delle disposizioni finali, e si modifica in parte quello su come e dove fare la Dat (dichiarazione anticipata di trattamento) eliminando la follia del notaio e demandando ad un successivo provvedimento del Governo.

Una mossa anti-ostruzionistica più che di dialogo: riscrivere 5 articoli su una legge composta da 10, faceva decadere i rispettivi emendamenti. Ma grazie ai sub-emendamenti, dai 487 emendamenti che erano, siamo passati a 553. Risultato: 75 emendamenti in più, e quindi, più votazioni di prima. Complimenti!

Nel primo emendamento un comma promuoveva il diritto alle cure palliative. Bene! Peccato che tutti gli emendamenti presentati dagli altri senatori che scrivevano "cure palliative" venivano dichiarati inammissibili per materia concorrente affrontata dall'altro ramo parlamentare, la Camera dei Deputati. A nulla era valso ricordare che per dichiarare inammissibili emendamenti altro era il regolamento, a nulla era valso ricordare i tanti precedenti anche della scorsa legislatura che, dalla Class Action alle cellule staminali del cordone ombelicale, avevano fatto simili sgambetti istituzionali: una delle due Camere discuteva una legge, e l'altra con un emendamento in Finanziaria o nel Milleproroghe faceva la legge. Evidentemente tutto ciò era sfuggito al relatore Calabrò.

Forse, per evitare la brutta figura di dichiarare inammissibile quel comma in corso di seduta della commissione, è stato tentato l'uso del bianchetto, poi ufficialmente definito «un problema tecnico al sistema informatico del Senato». L'emendamento, infatti, viene consegnato in forma cartacea ai senatori in Commissione Sanità alle 9:30 della mattina. Alle 12:38 arriva un'email dalla commissione con un nuovo testo corretto -quello sbianchettato, senza il comma delle cure palliative-, email preceduta da una telefonata della commissione: attenzione vi sta arrivando il nuovo testo dell'emendamento a cui fare sub-emendamenti entro le ore 20 della sera stessa. Passano circa due ore e giunge nuova telefonata: contrordine compagni, il testo da sub-emendare è il primo, quello con il comma sulle cure palliative. È chiaro che il bianchetto non era il modo piu' corretto di risolvere un errore politico.

Come segretaria della Commissione chiedo conto dell'accaduto prima informalmente, poi con lettera al presidente Antonio Tomassini: chi ha autorizzato quell'invio dell'emendamento epurato dall'errore? Informalmente il presidente mi spiega che lui non risponde dell'operato degli uffici della commissione e che potrebbe perfino essere avvenuto l'inverosimile: la mia assistente che si infila in un computer e usando l'email della commissione realizzare l'operazione.

Formalmente il giorno seguente è costretto a dichiarare l'inverosimile storia del guasto informatico. E le telefonate? Evitiamo la storia del guasto al centralino...


Il giovedì

Siamo a giovedì mattina, la commissione si riunisce per iniziare a votare. I componenti della commissione illustrano i sub-emendamenti, siamo alle 9:30, inizia l'aula, la commissione deve terminare, non c'è tempo neppure per i pareri del relatore, nessun voto. Siamo allo stesso punto di lunedì sera. La settimana parlamentare finiscedi giovedì, come tutte le settimane parlamentari.

Alle 14:30 è però convocato l'ufficio di presidenza della commissione (presidente, vicepresidenti e segretari, allargato ai capigruppo). All'ordine del giorno: il calendario dei lavori della prossima settimana. Dopo un tira e molla sulla prima notturna lunedì o martedì, si respira clima di apertura, di fiducia e la prima seduta è fissata per il martedì 10 alle ore 14:30, poi segue con notturne di martedì, di mercoledì, di giovedì e termina il venerdì alle ore 13. Strano calendario -faccio notare- visto che abbiamo fissato per venerdì alle ore 12 il termine per presentare emendamenti in aula al testo votato dalla commissione. Se questo testo non esce almeno 24 ore prima, come è possibile scrivere degli emendamenti? Pensare che il venerdì ancora si voti dopo le 12, ha dell'assurdo.

Poi la proposta del presidente su cui chiede l'approvazione: martedì alle 9 della mattina una riunione "informale" nella sede "formale" della commissione tra i capigruppo, il relatore e il presidente della commissione per sbloccare la situazione e cercare l'accordo politico. Mi dichiaro contraria, non certo ad una riunione informale che chiunque organizza nei luoghi e nei modi che preferisce, ma non credo che sia opportuno che venga riconosciuta formalmente dall'ufficio di presidenza. Esiste un luogo istituzionale che è proprio quell'ufficio di presidenza con i capigruppo, rispetto alla proposta di Tommasini avrebbe visto in più solo due vicepresidenti e i due segretari -quindi anche io. Ma se non è un luogo istituzionale che deve decidere, i gruppi parlamentari si spartiscano poltrone, commi e principi costituzionali senza avvalli formali, per cortesia!

Occorre alzare la voce per chiarire che la decisione del calendario, con quella riunione informale è stata assunta a maggioranza e non all'unanimità. Unanimità dei gruppi e dei rispettivi capigruppo, ma non dell'ufficio di presidenza, essendomi io opposta. Dopo poche ore mi giunge comunicazione ufficiale dalla presidenza: il regolamento stabilisce che il calendario e le decisioni le prendono i capigruppo. Resta la curiosità, visto che alle 14:30 la convocazione era per l'ufficio di presidenza, e non per i capigruppo. Ma anche per questo si potrà sempre invocare un disguido dei sistemi informatici del Senato...


Due domane, per finire, per ora...

- Sarà possibile che queste ore servano a sgombrare il campo da quel macigno incostituzionale dei trattamenti sanitari obbligatori per i soggetti capaci di esprimersi, ed entrare nel vivo dell'articolo 5 e degli altri trattamenti obbligatori -idratazione e nutrizione- per i soggetti incapaci di esprimersi ma che potrebbero avere lasciato scritto il loro rifiuto?

- Sarà possibile entrare nel vivo dell'unico dibattito che coinvolge tutti noi cittadini, e cioè di voler morire dignitosamente e anche di scegliere quando e come è per noi giunto il momento del commiato?


Donatella Poretti


(... segue)


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