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Iran, la scelta delle armi?
25 Settembre 2007
 

Il libro si chiama Iran, la choix des armes (facile, la traduzione: “Iran, la scelta delle armi”), e il suo autore, François Heisbourg, è persona di indubbia competenza: presidente dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici di Londra, e consigliere della Fondazione strategica di Parigi. Heisbourg, con la tranquillità di un dottor Stranamore, dice cose da far tremare le vene ai polsi. «Ci sono momenti nei quali la rinuncia all’uso della forza rischia di avere conseguenze peggiori dell’intervento armato». L’intervento armato è quello contro l’Iran: «Bisogna fare tutto il possibile per evitare lo scontro», dice chissà fino a che punto convinto Heisbourg, che poi aggiunge: «Un raid aereo sulla repubblica islamica sarebbe meno nefasto dell’eventualità che l’Iran entri in possesso della bomba atomica». Tombola. Appena qualche giorno fa il ministro degli Esteri francesi Bernard Kouchner ha detto che «Il mondo si deve preparare alla guerra con l’Iran».

 

Heisbourg stima che l’Iran potrà disporre della “bomba” entro il 2010; in questi tre anni, gli scenari possibili prospettati sono tre: a) L’Iran collabora con la comunità internazionale per la soluzione del problema; b) si realizza quello che viene definito un “compromesso-catastrofe”; c) l’attacco vero e proprio, da parte degli Stati Uniti, o di Israele; o di entrambi.

È credibile che l’Iran si accontenti di poter “dimostrare” di essere in grado di costruire la “bomba” senza però realizzarla? È una possibilità, ma questo significherebbe che si è realizzato un accordo di fatto tra Stati Uniti e Iran; e il “prezzo” non potrebbe essere che il riconoscimento di una posizione egemone di Teheran su tutta l’area. È credibile? Americani a parte, chi è in grado, a Teheran, di garantire che il “patto” sia rispettato? Il regime non è un blocco monolitico, troppe le “anime” che lo compongono, e in competizione tra loro.

Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad il 3 settembre scorso ha detto di disporre, già ora, di tremila centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Scatta qui il secondo scenario: lasciare che l’Iran realizzi la “bomba” avrebbe conseguenze imprevedibili. È infatti possibile che l’Arabia Saudita abbia già ottenuto, dal Pakistan, la tecnologia nucleare, “ripagando” in petrolio. Altri due paesi chiave dell’area, l’Egitto da una parte, la Turchia dall’altra, potrebbero essere tentati di lanciarsi nell’avventura dell’arricchimento nucleare. Possiamo dunque immaginare lo scenario da brivido che si delineerebbe intorno al 2020: Israele da una parte, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Turchia dall’altra; e non lontano, il Pakistan; tutti con ordigni nucleari.

 

Il terzo scenario, ora: gli Stati Uniti non attendono di eleggere il prossimo presidente, quel giorno potrebbe essere troppo tardi; Bush assume questa tremenda responsabilità, e ordina il bombardamento del sito nucleare di Natanz, dove, secondo l’intelligence, si trovano le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, e il resto della tecnologia iraniana. Per quanto il blitz possa essere rapido, non impedirebbe una reazione. La risposta, facilmente prevedibile, sarebbe il bombardamento delle installazioni petrolifere in Arabia Saudita e Israele; verrebbe inoltre bloccato lo stretto di Hormuz. Heisbourg la fa facile: «Il prezzo del greggio si infiammerebbe, arrivando a toccare i duecento dollari al barile; ma entro un paio di settimane i mercati si calmerebbero e la marina americana riprenderebbe il controllo del Golfo», e comunque non lascia spazio a speranze: «Nei prossimi mesi l’irreparabile accadrà. Il 2008 sarà l’anno del bivio: o andare alla guerra o accettare la deriva nucleare in Medio Oriente».

Heisbourg aggiunge che l’Europa non deve considerare l’ipotesi dell’attacco all’Iran come la rischiosa avventura irachena: «Qui non siamo di fronte a una minaccia gonfiata. La politica dell’Europa deve ispirarsi ai suoi valori e ai suoi interessi vitali. La non proliferazione delle armi nucleari è al cuore di entrambi».

 

Si può stare alla finestra è attendere che Stati Uniti e Israele facciano quello che molti ritengono inevitabile e comunque un prezzo da pagare; oppure cercare di offrire alternative che non comportino il pagamento di quei prezzi. Per quanto riguarda l’Irak siamo stati sconfitti. Non è comunque un buon motivo per non provarci.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 24 settembre 2007)


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