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Francesco Pullia. Quelle scomode verità su Cuba
(foto Stefano Pacini)
(foto Stefano Pacini) 
22 Giugno 2007
 

Il conformismo comunista ha i suoi miti e i suoi tabù, guai ad infrangerli. Guai, per esempio, a smentire, con la drammatica realtà, la favola che vuole Cuba un paradiso terrestre benedetto dall’aldilà dal sant’Ernesto Che Guevara e protetto nell’aldiqua dalla cortina fumogena dei sigari del magnanimo Fidel e di suo fratello Raoul.

Scherzate? Le nostre belle teste pensanti, quelle, per intenderci, che con la scusa che “un altro mondo è possibile” si guardano bene dal tentare di cambiare questo in cui si vive, dal lottare per affermare diritto e diritti ovunque ci siano barbarie e brutalità, potrebbero indispettirsi e di brutto. Conosciamo molto bene questi geni della politica. Hanno pronta una ricetta facile facile per ogni complessa situazione internazionale: assicurare la creazione di uno stato per la Palestina (e, infatti, proprio in queste ore abbiamo avuto conferma di quanto questa splendida intuizione sia valida e opportuna…), cacciare la Nato dall’Europa, mandare a casa “le truppe di occupazione” in missione nei territori afghani e iracheni (considerato che in fin dei conti sono ancora troppo poche le operazioni di bassa macelleria che hanno dovuto e devono affrontare le popolazioni locali…), esprimere solidarietà alle eroiche forze che, illuminate dai raggi dell’intramontabile sole marxista-leninista, non esitano a seminare morte e terrore nel corso dell’implacabile guerra al mostro imperialista a stelle e strisce.

Insomma, un consiglio: guardatevi bene dall’offendere questi signori, non provate neanche a sfiorali nel loro intimo.

È emblematico quello che è accaduto alla povera Angela Nocioni, inviata a Cuba dal quotidiano Liberazione, sì, avete sentito bene, Liberazione, per mettere in pratica l’elementare dovere di ogni serio corrispondente: scrivere in presa diretta, senza cioè lasciarsi mai condizionare da alcun pregiudizio, dopo avere ascoltato la gente, recepito gli umori, acquisito elementi oggettivi, osservato la vita quotidiana.

È la regola inderogabile del giornalismo e deve valere in qualsiasi situazione a meno che si voglia fare propaganda faziosa deturpando, in tal modo, vergognosamente la verità.

Che a Cuba non siano rose e fiori, anzi che delle rose si trovino solo le spine, è risaputo, così come che il popolo sia costretto dalla dittatura castrista a subire la repressione più dura e ad arrabattarsi nella miseria più nera.

Non sono un mistero le continue e rocambolesche fughe dall’isola caraibica, tra cui quella a Miami della stessa Alina, figlia di Fidel, che ha chiesto recentemente la condanna internazionale della satrapia e, dopo avere, tra l’altro, ricordato gli ingenti affari dell’Italia con il locale settore della telefonia (valga, tra tutte, la società italo-cubana dell’Ectesa, utilizzata per incarcerare i dissidenti), non ha esitato ad invitare il mondo intero a non dimenticare che il padre è un assassino, responsabile in quasi cinquant’anni di potere della condanna alla pena capitale di più di diciottomila persone.

Molte di queste fughe sono state pagate, purtroppo, a carissimo prezzo. Gli ultimi, in ordine di tempo, ad essere riusciti ad evadere dall’inferno sono stati Raydel Poey e Yasser Portuondo, due assi della nazionale del pallavolo che, è proprio il caso di dirlo, hanno colto la palla al balzo di una trasferta in Bulgaria per scappare e chiedere asilo politico in Italia, paese dove, nonostante nella maggioranza al governo ci sia anche gente come Diliberto, sembra che tutto sommato si stia meglio della terra castrista…

Qualche mese prima dell’eclatante defezione, e precisamente il 18 marzo, giornata in cui le Damas De Blanco (come vengono chiamate le madri, le mogli, le figlie dei numerosi detenuti politici) osano silenziosamente sfilare e sfidare il regime lungo la quinta strada dell’Avana, era toccato, come sappiamo, a cinque esponenti radicali italiani, Marco Cappato, Matteo Mecacci, Maria Fida Moro, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti, richiamare l’attenzione pubblica internazionale sulla detenzione, dal 1994, del leader dell’opposizione Francisco Chiavano, sulle libertà negate (tra cui quella sindacale), sullo sprezzante razzismo nei confronti degli omosessuali.

Va, inoltre, ricordato che lo scorso maggio nella sede romana del Partito Radicale Transnazionale si è svolta la terza conferenza internazionale sui diritti sindacali e sulla responsabilità sociale delle imprese a Cuba conclusasi con l’approvazione della “Dichiarazione di Roma” in cui viene per la prima volta sottolineata la scelta di un’opposizione pacifica quale unica strategia per garantire un governo democratico duraturo.

Ma torniamo alla giovane Nocioni. Che ha combinato di tanto grave? Ha semplicemente scritto sul quotidiano bertinottiano che a Cuba i giovani coltivano soltanto un sogno, quello di fuggire al più presto e in qualsiasi modo, che le case sono fatiscenti, che non c’è abbastanza cibo né acqua, che un insegnante guadagna al mese cinquecento pesos, pari ai nostri venti euro (qualcuno, per favore, glielo dica a Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas), con cui si possono acquistare due pacchi di assorbenti igienici e un succo di frutta, che imbarcarsi su un motoscafo per Miami può costare fino a diecimila dollari a cranio, che dall’ottobre 2002 alla fine del 2006 si è duplicato il numero dei cubani che hanno tentato di raggiungere la Florida e Puerto Rico raggiungendo la cifra di ben settemila e ventisette.

Sarebbe stato lecito attendersi un serio ripensamento delle loro teorie da parte dei nostri terzomondisti. Macché! Lettere ed email ingiuriose hanno tempestato il direttore di Liberazione. “Ma come? Dove siamo arrivati?” dicono i compagni con il basco in testa, la kefiah al collo e la suv parcheggiata dietro l’angolo.

Divertitevi a navigare in internet e ne leggerete delle belle come le accuse, rivolte alla giornalista, di “denigrazione malintenzionata”, “sicariato informativo”, “beceraggine destrorsa”, “ignoranza crassa”, “pregiudizio rabbioso”e chi più ne ha ne metta. Non si sa se ridere o piangere disperatamente.

Ebbene, vogliamo accontentare i rivoluzionari duri e puri di casa nostra dicendo loro qualcosa veramente di sinistra: se proprio vi piace tanto andare in quel paese, andateci e di corsa…

 

Francesco Pullia

(da Notizie radicali, 22 giugno 2007)


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