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Maria G. Di Rienzo. Motivi passionali 
Mary Barry sul piano australiano di prevenzione della violenza di genere
24 Aprile 2016
 

Il 20 aprile scorso, The Guardian pubblica un articolo di Mary Barry (foto) che riguarda il piano australiano di prevenzione della violenza di genere. Mary è la presidente di Our Watch, l’organizzazione nazionale stabilita allo scopo di monitorare e contrastare la violenza contro le donne e i loro bambini.

La campagna, lanciata in questo fine settimana con uno stanziamento di 30 milioni di dollari australiani (20 milioni e 640mila euro) «fa parte di una strategia più ampia, che mette la diseguaglianza di genere al centro del programma di prevenzione della violenza».

«Per molti anni», continua l’articolo, «gli esperti hanno insistito sulla necessità di affrontare la diseguaglianza di genere come motivatore chiave della violenza contro le donne (…) Invece, miti e concetti errati – ad esempio che sia la gelosia incontrollabile a dirigere la violenza degli uomini contro le donne – sono regolarmente strombazzati in giro. (…) Per parecchie persone, la violenza sembra essere un problema individuale ed essere perpetrata solo da pochi uomini “cattivi”, il cui comportamento si discosta grandemente dalla norma sociale. Il suggerimento che le attitudini irrispettose verso le donne siano in effetti il sostrato di visioni popolari, dominanti e socialmente “normali” della mascolinità nella nostra cultura è stato “troppo sconvolgente” per molti. Ma ora, finalmente, australiani di tutti i tipi – inclusi molti dei nostri politici – stanno dando uno sguardo al contesto sociale e culturale in cui questa violenza sorge con occhi snebbiati. Collettivamente, stiamo tracciando le connessioni fra le più ampie condizioni di diseguaglianza di genere, evidenti nelle attitudini, nei comportamenti e nelle strutture sociali, e gli allarmanti livelli di violenza contro le donne in questo paese».

Mary Barry dettaglia poi le varie iniziative e i relativi stanziamenti per ognuna di esse (che superano nettamente la cifra destinata alla campagna citata), in quella che si configura come una «strategia di prevenzione a lungo termine che richiede una nuova cornice mentale per ottenere cambiamenti generazionali e duraturi: un approccio che si concentra sul rafforzare le donne, stimolare il cambiamento fra gli uomini, sfidare le consuetudini comunitarie che sostengono la violenza e migliorare l’eguaglianza di genere».

La campagna iniziale consiste nell’incoraggiare pubblicamente genitori, familiari, insegnanti, istruttori, colleghi a dare un’occhiata alle loro attitudini e ai loro comportamenti in relazione all’eguaglianza di genere e a relazioni basate sul rispetto, poiché anche inavvertitamente ciò influenza le attitudini e i comportamenti dei più giovani.

«La ricerca in merito è solida» dice ancora Mary Barry «e il messaggio è chiaro e detto a voce alta: non possiamo arrestare il flagello della violenza contro le donne senza affrontare direttamente la diseguaglianza di genere. Ovviamente, ogni sfida allo status quo genera resistenza. Questo è vero in special modo quando si fa luce su qualcosa di così profondamente radicato come le norme su genere e mascolinità e sul posto, sullo status e sul ruolo di uomini e donne nella società. Ma quando si vive con tali livelli estremi di violenza, qualcosa deve cambiare».

In Italia, invece, siamo fermamente decisi a non cambiare niente; i livelli di violenza di genere, che sono assai alti anche da noi, ci stanno proprio bene, ci piacciono, si ripetono con una rassicurante familiarità. Infatti, lo stesso 20 aprile in cui ho letto l’articolo citato sopra, ho letto anche queste profondissime analisi riferite a femminicidi sui quotidiani del mio paese (l’enfasi è mia):

1. «Motivi passionali all’origine di un omicidio in serata alla periferia di Roma. Un uomo, Augusto Nuccetelli, 51 anni, ha seguito la moglie in un bar e l’ha freddata con quattro colpi di pistola, davanti agli occhi increduli di clienti e passanti (…) Stando alle testimonianze di chi li conosceva, i due erano spesso protagonisti di litigi e probabilmente si stavano lasciando, forse per una relazione extraconiugale dell’uomo».

Dunque, fatemi capire. La situazione data come più probabile è che i due si stessero lasciando perché LUI aveva un’altra relazione… e la razionalizzazione dell’omicidio è fatta con i “motivi passionali”: quali sarebbero, la frustrazione del poligamo negato o la rabbia del furbetto per l’altarino scoperto? Come di certo gli insigni giornalisti autori di pezzi simili sapranno, i “motivi passionali” non derubricano il reato di omicidio volontario a qualcosa d’altro, ma costituiscono ancora un’attenuante. E per quanto ribrezzo ciò mi faccia, spetta comunque ai tribunali stabilirla come tale, NON a chi scrive sui quotidiani. NON siete obbligati, esimi professionisti, a trovare immediatamente scusanti per gli uomini che uccidono le donne, NON siete i loro avvocati.

2. «Un uomo di 44 anni ha aggredito la convivente con un martello ferendola gravemente alla testa (Nda: l’ha colpita con una mazzetta da muratore, alla nuca, numerose volte. La donna, 39 anni, è in coma, gravissima) e poi si è tolto la vita gettandosi da un ponte a Briosco (Monza). Secondo i primi accertamenti la coppia (Nda: con due figli piccoli) era in via di separazione. L’uomo, Christian Radaelli di 44 anni, imprenditore brianzolo non aveva accettato la fine della sua relazione con la compagna e avrebbe perso la testa forse al culmine dell’ennesima discussione con la sua convivente.

I familiari dell’uomo hanno riferito di essere a conoscenza della separazione in corso, ma di non aver mai avuto sentore di violenze o aggressioni pregresse da parte del quarantaquattrenne.

Cristian Radaelli nel pomeriggio era al lavoro come sempre. “Tranquillo, come al solito”, dice un collega».

Ripeto: signori giornalisti, fate per favore il vostro mestiere. “Non aveva accettato la fine della relazione” reiterata all’infinito come giustificazione e scusa non è nemmeno una frase razionale. Equivale a dire: “Non aveva accettato la valanga che gli ha sepolto il villino in montagna.” oppure “Non aveva accettato che un fulmine avesse abbattuto il suo pero preferito.” E allora cosa fa? Spara al primo meteorologo che incontra? Bastona il cielo? Se qualcuno in una relazione, uomo o donna che sia, dice: “È finita” la cosa è finita che all’altro/a piaccia o no. Per stare insieme bisogna volerlo in due, se la volontà di uno solo manca la relazione non esiste, punto. È doloroso, è difficile da gestire, quel che volete, ma è così e rispondere a una situazione simile con la violenza NON è automatico, NON ripristina la relazione e NON è una scusante. BASTAAAAAAAA!!!

Poi: i familiari e i colleghi dell’aggressore non hanno mai avuto sentore di violenze e lo giudicano tranquillo come sempre? Be’, allora è tutto a posto. Avrà avuto un raptus, giusto? Anzi, andate a chiedere di lui anche alla sua maestra delle elementari, vi confermerà che era tenero come un pasticcino.

Ma se proprio invece della cronaca volete fare lo scavo psicologico: familiari, amici/amiche, colleghe/i della vittima li avete sentiti? Fate di tutto per presentarci in una luce amichevole o quantomeno di sconcertata simpatia l’assalitore (un uomo così tranquillo, mai violento, come avrà potuto?, deve aver perso la testa…), ma perché della vittima non ve frega una beata mazza? Chi è la donna macellata a mazzate che potrebbe morire nelle prossime ore?

Lo so, lo so. Lei è intercambiabile. Lei è la “figura immota adagiata nel lago di sangue”. Lei è un numero in una lista infinita. Potrebbe avere qualsiasi volto, qualsiasi storia. Era una donna – è per questo che le è capitato quel che capita alle donne, cosa potete farci voi miserabili? Magari imparare dall’Australia?

 

Maria G. Di Rienzo

(da Lunanuvola's Blog, 23 aprile 2016)


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