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Lidia Menapace. Le migrazioni di popoli
26 Gennaio 2014
 

Ho già detto che cosa indico con questo nome, e rielenco i fatti storici ai quali mi riferisco: all'imponente migrazione che accompagnò e seguì la caduta dell'impero romano, a quella che portò africani e africane come schiavi nel Nuovo mondo, a quella che Hitler organizzò contro le razze “inferiori” anche per avere manodopera a costo quasi zero, a quella che è componente essenziale della crisi capitalistica in corso e che è per conto mio da tenere come riferimento generale sempre.

Ci si può collocare in molti modi rispetto ad essa, ma a mio parere essenziale è prima di tutto riconoscere che si tratta di un fenomeno non coercibile se non con una violenza militare e una crisi politica pazzesca dell'Europa.

Sono comunque convinta che molte iniziative per poter soccorrere chi ne è vittima e protagonista ci sono, e bisogna percorrerle, ma resta essenziale e necessario lavorare per la costruzione di una alternativa di sistema, sennò la barbarie resta inevitabile e rovinosa, nel senso che non risolve la crisi. Né ovviamente ferma le migrazioni.

Mi pare giusto raccontare una vicenda che mi ha vista partecipe e che appartiene a quelle iniziative che è bene prendere in grande quantità, conoscendone i limiti e le ambiguità e che bisogna percorrere, ma sapendo che sono necessarie e non sufficienti, che possono mitigare o risolvere gli scoppi di violenza che il rinascente razzismo incuba, mentre la cosa risolutiva è cominciare a pensare e trascrivere in termini di teoria politica che fisionomia potrà avere una alternativa che includa le migrazioni e chissà quali integrazioni libere ecc. ecc. potrà avere. Le iniziative che definisco necessarie e non sufficienti hanno il rischio di essere “assistenziali” e/o “caritatevoli” e quindi di far arretrare la cultura politica dal piano dei diritti che il capitalismo ha sopportato nella fase del Welfare verso forme di beneficenza, verso i bisogni ecc.

La storia comincia da qui: ogniqualvolta incontro un o una emigrata/o che fa la questua per strada mi vergogno, sia che do un obolo, sia che non do nulla. Ma siccome chi chiede preferisce prendere qualcosa anche da chi si vergogna, vergognandomi per la virtuosa inutilità del gesto, do qualcosa, anzi quando esco di casa quasi ogni mattina per spese e incombenze varie metto in tasca quel po' di moneta che posso destinare ogni giorno alla bisogna e do ai/alle primi/e tre che incontro. E perché capiscano che li considero persone e non oggetti smarriti, saluto e chiedo da dove vengono, scambio tre parole. Così un marocchino che sotto i portici di casa mia vende calzini e asciugamani, finisce per conoscermi bene, perché se mi servono calzini o asciugamani il compro da lui, e dopo un po' mi dice che molti a Bolzano sanno chi sono e molti di quelli che si fermano a parlare con lui mi hanno anche votata. Col tempo Mohamed (lui non si chiama così, ma per noi sono tutti Mohamed) mi dice che al suo paese che si trova vicino alla “città imperiale” di Fez ci sarebbe l'acqua, però manca un pozzo. Dalle parole ai fatti, da quel momento tutti i soldini che posso raccogliere per lui vanno per lo scavo del pozzo, e alla fine è stato scavato e poi completato: a questo punto ricevo dal marocchino il più bel complimento della mia vita, e cioè: “Dottoressa, al mio paese anche gli asini ti vogliono bene!” dato che anche gli asini hanno sete e beneficiano del pozzo. E quando viene a casa per ricevere gli ultimi denari raccolti, si ferma a raccontare come questa operazione abbia influito sulla cultura del suo paese, le persone cambiano mentalità, la moglie riunisce le sue amiche e discutono ecc. Al che io, un po' esagerando, gli chiedo se sa che tutto ciò si può chiamare rivoluzione. Conveniamo che è almeno l'inizio.

Di iniziative così per mandare bambini e bambine a scuola, per costruire un parco giochi, per far ricoverare all'ospedale una persona anziana che ha bisogno di cure, per riparare una strada sconnessa, per rimettere in piedi un portone cadente ecc. ecc. ecc., se ne possono fare un numero esorbitante ed è bene farle con semplicità, con allegria, senza spocchia, senza esibizioni di buon cuore o di cristianesimo. Anzi bisogna: è un vero dovere internazionalistico, ma non basta, non possono prendere il posto di una politica e di prassi e programmi politici conseguenti ecc.

Perciò bisogna stabilire le priorità. E individuare gli avversari e le azioni contro cui lottare. Ad esempio, per essere chiari, lottare contro l'operazione “Mare nostrum” e simili, le decisioni di intervenire non solo a raccattare i naufraghi e rimandarli nel loro paese, non solo attenuare lo scempio giuridico del reato di clandestinità ecc. ecc. Andrò per questo avanti indicando le priorità, almeno secondo me, e aspetto integrazioni e obiezioni e discussione ecc. ecc.

 

Lidia Menapace


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