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Alberto Figliolia. L'elefànt di Paola Franzini
03 Aprile 2010
 

Nel panorama metropolitano non sono tante le cantautrici che sanno esprimersi in milanese. A dire il vero, Paola Franzini (foto) canta sia in milanese sia in italiano. Con la medesima efficacia, sapienza e passione. Intimista quanto basta e acuta osservatrice della realtà, sensibilità per parole e musica, la Franzini ha un repertorio quanto mai vasto e interessante amando spaziare dall'interpretazione dell'amato Giorgio Scerbanenco - una delle icone di Milano, al quale lei aveva in passato già dedicato uno spettacolo - alle visioni d'interni e strade, dall'immaginario mitologico all'umile quotidiano e ritorno al surreale o al felicemente stralunato, in una cifra artistica d'assoluta originalità.

Dopo tanto esibirsi in locali e piazze, è giunto ora il suo primo CD, L'elefànt, che è stato presentato in un apposito concerto-spettacolo, nell'ambito della rassegna "La musica e l'autore", sabato 27 marzo, alle ore 21, presso lo Spazio Teatro 89. Una pronta replica si è avuta giovedì 1° aprile alla mitica Casa 139 di via Ripamonti.

«Ho scelto un filo di pensieri che partendo dal mio vissuto e andando verso la città poi ritornavano, quindi ho scelto alcune canzoni a prescindere dal linguaggio», racconta l'artista. Difatti le canzoni in lingua si alternano a quelle in dialetto: dalla bellissima "Vento" che apre il CD - «Vento che brucia tutto più in fretta/ vento che asciuga vento che secca/ vento che squassa tutte le porte/ stacca dai rami le foglie morte/... Carte e cappelli vento scompiglia/ vento racconta vento bisbiglia/ liscia la pietra non conta i mesi/ sbattono al vento i panni stesi// Vento guarisce la delusione/ vento che scopre una visione/ quando in un autunno non te lo aspetti/ vedi montagne al posto dei tetti...» - a "I mur" (I muri), da "Babel" - «Infine tolto di tasca lo zindoq me lo legai attorno alla fronte/ nel pallore di un'alba d'aprile riemersi dall'oscurità/ Ed insieme tornammo a fluire lasciando i nostri vicoli angusti/ l'unico posto che ci apparteneva, in fondo era questa città// Muratori, schiavi stranieri, abbandonammo deserti e pensieri/ varcammo mari su fragili navi di filibustieri/ Disertori di guerre non nostre, pellegrini su falsi sentieri/ giocatori d'azzardo di vite, le nostre, peccatori di ieri// Eppure al mattino quando il vento d'oriente/ separa la luna dal suo amplesso col sole/ su vertiginosi ponteggi con le gambe sciolte/ il mondo là sotto ora è nostro...» - a "La pulver" (La polvere) e "Futugrafii" (Fotografie), sino alle canzoni nate, come detto, dalla lettura di Scerbanenco.

«Sono in bilico usando il milanese come una lingua “astratta”, nel senso che non c'è il colore, non c'è la nostalgia, non c'è la Milano che c'era, ma c'è una lingua riscoperta per la sua bellezza e c'è la città come mio specchio: io sono la città, la amo e la odio, e la amo, perché ci vivo dentro. Mi sembra che in tutte le canzoni venga fuori un po' questo discorso di riappropriarsi del luogo in cui si vive», spiega ancora. Molto milanese. Nessuno forse, come i milanesi, ha questo “odioamore” per la propria città, quest'ambivalenza sentimentale, che pure dà frutti fecondissimi e superbi, nei confronti del suo luogo esistenziale. Milano è uno splendido ossimoro. Anche se talora appare “appestata” dalle scelte di certa politica o irriconoscibile suscitando disaffezione (ma creativa). Poi camminando nei suoi labirinti viari, scorrendo nelle piazze o nelle sue più segrete viscere, scrutandone la gente, scopri di poter fare continue scoperte su di essa e su te stesso.

Tornando da queste riflessioni a latere a L'elefànt, l'alternanza dei due linguaggi non disturba affatto, anzi coinvolge “costringendo” a passaggi psicologici e culturali molto stimolanti: un po' come navigare e volare insieme, sulle onde celesti della musica e fra un'umanità dolente e partecipe. A proposito di musica, oltre all'eredità della canzone d'autore chiara è la lezione jazzistica assimilata e rivista dalla Franzini, la quale ha scritto tutti i testi («Nessuna cover: avevo così tanto materiale mio!») dei dodici brani e le musiche di undici di essi (solo "La pulver" è stata musicata da Frank Chieraschi). Gli arrangiamenti, eccellenti, sono di Pierluigi Ferrari.

Fra gli strumenti la cui voce si ode: chitarra classica, chitarra acustica e chitarra elettrica, darabouka, glockenspiel, clarinetto, sax, flauto bansouri, duduk, n'goni, contrabbasso, daf, cajòn, violoncello. Un'affascinante miscellanea con la voce di Paola.

 

Alberto Figliolia


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