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Maschile plurale e la violenza contro le donne
26 Novembre 2009
 

Dopo un'acme di rara nausea, dolore e rabbia che dura da un po', sembra che la giornata mondiale sulla violenza maschile contro le donne dia luogo qui da noi alla possibilità di qualcosa di nuovo.

Per certi versi qualcosa di funesto: ci sono casi non infrequenti di bullismo tra le ragazze e nella cronaca rispunta il luttuoso infanticidio da depressione post partum. Quanto alla violenza sessuale, riparte la proposta di innalzare le pene e l'idea della castrazione chimica, guai a non finire dunque, e tutti sotto un vistoso segno di destra: infatti i primi sono forme tardive di emancipazione imitativa e le seconde segni di un atteggiamento solo punitivo che produce solo escalation di violenza.

Però un fatto a me pare di grande portata e segnala che qualche tanto attesa crepa si disegna nell'universo maschile e nella cultura patriarcale. Da anni ogni volta che dico di sperare in ciò, consiglio subito di non avere troppe speranze perché i maschi che si interrogano su di sé e sulla loro storica (non naturale!) sessualità violenta, sono così pochi che li conosco tutti a uno a uno: il gruppo Uomini in cammino di Pinerolo, Sergio Bellassai di Bologna, Stefano Ciccone di Roma, gli Uomini vergognosi di Macerata, gli Uomini in nero di Bari.

 

Ma adesso c'è una associazione nazionale Maschile plurale presieduta da Stefano Ciccone, il quale ha appena licenziato per Rosenberg & Sellier un libro intitolato Essere maschi tra potere e libertà, un bel libro che ora non recensisco, ma saluto con affetto e gioia.

Adesso il conflitto o la contraddizione “uomo/donna” che Engels chiama “originaria”, mentre chiama “principale” quella “capitale/lavoro” (e dunque non si possono mettere in gerarchia, sono displanari, per così dire), quella contraddizione può essere gestita civilmente e propriamente, dato che il suo andamento non ha come fine l'abolizione del maschio, né quella del maschile (tutta da definire, come del resto il femminile), mentre quella principale ha come fine l'abolizione del capitalismo. Ne può nascere, qualcosa d'altro, probabilmente un disegno di tenaci confronti conflitti accordi mediazioni e separazioni, insomma il tessuto della vita reso umano e ricco, non carcerario né di dominio. Si vedrà, o chi vivrà vedrà. 

Comunque d'ora in avanti quando un uomo dirà che lui non si interessa di tutto ciò, perché lui non stupra, ci sarà da consigliargli una lettura che viene dal suo genere (come augurare uno straordinario successo editoriale a Stefano!). E io avrò la possibilità di ricordare che, dopo il delitto del Circeo, quando incominciammo a raccogliere le firme per una legge di iniziativa popolare sulla violenza sessuale, molti uomini di legge giuristi e costituzionalisti democratici erano molto scettici e freddi perché l'autore del codice Rocco «era sì fascista, ma come uomo di legge, straordinario»(!).

 

In ordine di tempo: dopo che le donne presenti alla Costituente ebbero dato inizio alle prime affermazioni di eguaglianza e di possibile parità e promozione della stessa relazionando sull'articolo 3, e donne socialiste e comuniste e anche dc si furono battute per il diritto al lavoro e la parità nei luoghi di lavoro, nelle carriere e nei salari, e per vietare il licenziamento per matrimonio (obiettivi non ancora raggiunti stabilmente e sempre in bilico e a rischio), negli anni settanta (e prima ancora a proposito di prostituzione con la senatrice Merlin socialista e la Dal Canton dc) vi fu una pressione di donne del Pci, Psi, Dc, Udi e anche Cif, che raccogliendo segnali molto forti delle femministe lavorarono sui temi del lavoro (si diceva), famiglia, libertà sessuale, violenza. La riforma del diritto di famiglia è del 1975, di quegli anni sono divorzio aborto legge contro la violenza sessuale. Nel codice Rocco, il codice di questo “straordinario” giurista c'era il delitto d'onore, il divieto di abortire se non per aborto terapeutico su decisione del marito e di tre medici, la violenza sessuale si chiamava “carnale” ed era un reato contro la morale, non contro la persona, le donne erano convinte che il marito poteva picchiarle e avevano ragione: il marito aveva il diritto di “correggerle” anche a suon di botte, non doveva solo “abusare” dei mezzi di correzione, cioè non doveva mandarle all'ospedale per una prognosi di più di 20 giorni. Il suo adulterio doveva avere il carattere di relazione ostentata che offendeva la moglie, mentre una donna era subito sospettabile se riceveva in casa un uomo, anche l'idraulico. L'incesto era reato non se era violento, ma solo se dava pubblico scandalo, se avveniva in famiglia al chiuso (“i panni sporchi si lavano in famiglia” diceva il proverbio) no, anche se era il padre o il fratello che violentava figlie o sorelle. Del resto era già nella saggezza degli antichi romani (e Rocco era un famoso cultore di Diritto romano) il detto che mentre “maxima debetur puero reverentia” (bisogna avere il massimo rispetto per un bambino), “vis grata puellae” (la violenza è gradita alla bambina) perché le svela il piacere che altrimenti non conoscerebbe mai. Comunque, se una veniva violentata “il matrimonio riparatore estingueva il reato”. E la prima che si rifiutò di sposare il suo violentatore (una ragazza di Siracusa, Viola) dovette cambiare città.

Ci dedicammo a raccogliere le firme per una legge di iniziativa popolare e dopo ben due legislature di rifiuti, il parlamento italiano approvò quasi tutto ciò che avevamo proposto. Noi siamo ancora orgogliose di non aver voluto nessun aumento delle pene e di aver contato su un profondo mutamento culturale nei rapporti tra donne e uomini. Speravamo che il processo potesse essere un po' più veloce, ma infine forse si parte. Se ci davano ascolto prima, era meglio, ma si sa che noi donne di diritto non capiamo nulla e che addirittura le professioni forensi ci sono estranee: capitò persino che una, avendo presentati i documenti per fare il concorso in magistratura, se li sia visti restituire con la dicitura «perché mancanti del requisito del sesso» (non che fosse asessuata, non aveva il sesso giusto). Le donne infatti non potevano accedere alla magistratura, perché -avendo le mestruazioni- erano “lunatiche”. Gli uomini invece sono “marziali” e questo va sempre bene, volete mettere?


Lidia Menapace


 
 
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