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Manconi: «Non ho votato il decreto migranti: è una norma etnica» 
Intervista rilasciata a “Il Dubbio”
30 Marzo 2017
 

Luigi Manconi, insieme a Walter Tocci, è stato l’unico senatore dem a non votare la fiducia al governo sul decreto Minniti-Orlando. «A mio avviso si introduce nell’ordinamento giuridico italiano un diritto diseguale»

 

 

Insieme a Walter Tocci, Luigi Manconi è stato l’unico senatore dem a non votare la fiducia al governo sul decreto Minniti-Orlando sui migranti. Il motivo? «Perché a mio avviso si introduce nell’ordinamento giuridico italiano un diritto diseguale», spiega.

Si riferisce all’eliminazione dell’appello per un richiedente che si vede negare l’asilo dalla commissione territoriale competente?

Esatto. Si tratta di una sorta di normativa etnica che deroga a uno dei principi fondamentali del nostro stato di diritto: i tre gradi di giudizio. È particolarmente iniquo che la deroga la si applichi nei confronti di una categoria particolarmente vulnerabile, i richiedenti asilo, e a proposito di un diritto inviolabile della persona, come il diritto d’asilo, tutelato dalla Costituzione oltre che dalle convenzioni internazionali.

I proponenti dicono che il provvedimento non presenta elementi di incostituzionalità, visto che la Carta non prescrive tassativamente il doppio grado di giudizio…

Io infatti non penso sia incostituzionale eliminare un grado di giudizio, il problema però si potrebbe porre sotto il profilo dell’eguaglianza. Cioè della parità di tutti di fronte alla legge. Perché se l’abolizione di un grado di giudizio non è contraddetto dalla Carta costituzionale, resta il fatto che questo decreto introduce un trattamento speciale.

Anche il primo grado di giudizio viene “semplificato”, sostituendo l’udienza con una videoregistrazione. Era indispensabile per snellire le procedure?

Questa decisione aggrava in maniera rilevantissima la situazione. Di fatto viene annullato, di norma, il contraddittorio e la conseguente oralità.

Il contraddittorio è però previsto in alcuni casi eccezionali…

Appunto. Io mi riferivo alla norma: la regola vuole che non vi sia contraddittorio. Poi, se il giudice lo decidesse, può essere prevista l’audizione. È stato recepito un nostro emendamento che proponeva che il contraddittorio avvenisse anche su richiesta del soggetto interessato, ma resta sempre il giudice a decidere se accogliere la domanda o no. Siamo davanti a una compressione del diritto alla difesa, diritto inviolabile della persona.

Vengono istituite anche 26 sezioni specializzate sulle richieste d’asilo. Per i detrattori del provvedimento, così si violerebbe l’articolo 102 della Costituzione secondo cui «non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali». È d’accordo?

Qui il discorso è più incerto perché una specializzazione è stata più volte prevista nella nostra storia. Secondo me si tratta di una specializzazione che può risultare anche utile per la complessità della materia.

E poi ci sono i Cpr, i Centri di permanenza per il rimpatrio, che prenderanno il posto dei Cie. Come cambieranno queste strutture?

Prima Cpt, poi Cie e in futuro Cpr. Dal 1998 ho visitato decine di queste strutture. Marco Minniti, audito dalla nostra commissione, ha detto che i Cpr saranno tutt’altra cosa. Io ho stima per il ministro, ma per ora non sono state in alcun modo indicate le condizioni che davvero potranno rendere tutt’altra cosa i centri.

Perché dal 1998 a oggi nessuno è stato in grado di pensare a un modello alternativo rispetto a una struttura sostanzialmente detentiva come i Cie?

Perché quella struttura di “detenzione amministrativa” risponde in primo luogo a un’esigenza di natura politica. Nell’ultima visita fatta al Cie di Pontegaleria, nel febbraio scorso, abbiamo trovato 92 donne. Con l’eccezione di una, 91 non presentavano, a detta degli operatori dei responsabili dell’ente gestione e, oso dire, degli stessi funzionari i polizia, alcun tratto di pericolosità per la sicurezza dello Stato. Nella pressoché totalità si trattava di marginalità sociale dovuta a irregolarità amministrativa. La metà di loro era costituita da nigeriane, presumibilmente vittime di tratta. Dunque eravamo davanti a persone che richiedono assistenza, tutela e in qualche caso vera e propria protezione. Non si capisce perché queste persone debbano stare in un luogo di detenzione amministrativa, tenuto conto che l’irregolarità è spesso il prodotto esclusivo di condizioni di difficoltà sociale.

Come si potrebbero superare i centri?

La mia è una proposta molto semplice: creiamo finalmente la possibilità di ingressi legali nel nostro Paese per ricerca di posto di lavoro. La più grande sanatoria sul tema è stata messa in atto dal governo Berlusconi che portò alla regolarizzazione di circa 300 mila persone impiegate nel settore dell’assistenza domiciliare.

 

(da Il Dubbio, 30 marzo 2017)

 

 

» Si veda anche il commento di Leonardo Bianchi,
in Vice, 30 marzo 2017


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