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Carlo Forin. Melammu
06 Agosto 2015
 

Spero che i curatori del Melammu project, mi perdonino se non ho aderito al progetto (con la convinzione che la loro ricerca sia fuoristrada, anche se hanno già inserito un mio contributo).

La fonte del sintagma melammu è sumera, mentre il loro quadro di immagini si disperde in tutto il Vicino Oriente, che i Sumeri toccarono. L’origine spiega.

Tre sillabe -me.lam.mu- uniscono il lampo della creazione, lam, fonte e fine, me, l’atto presente, mu [che viene descritto: eme in eme.gir, lingua].

Zumer è ‘cammino er (del) ME -MU da UM-, cioè della parola creatrice della Luna, Zu’ in ZU-UM-ME-ER.

Il cielo stellato notturno è melammu (zag-mu [-gaz] re.: Halloran 316, vel zalag letto galaz: 311 di galaz-zia). Lo è dal punto di vista sumero, di eterno-presente uruburu (noi abbiamo il Big Bang, con passato presente, futuro). Fuori dall’equilibrio eterno-presente è il caos, ka.uz, ‘anima.fine’. Fu stato o sarà se l’equilibrio bil.ki.lib.ba, ‘doppio circolo di fuoco del cielo e della terra’, si rompe. Ciò può accadere a fine anno, se il dio-demone della morte non si unisce alla dea della vita con la nascita dell’anno nuovo, nel Capodanno.

L’omissione di una sola sillaba delle tre segnala l’incomprensione del fenomeno. Così, Halloran:

me-lam2/lem4 [NE]; me-lem3

[LAM] terrifying glance; splendor, radiance; awesome nimbus, halo, aura, light (myth.); healthy glow, sheen (of a person)  (‘divine power’ + awe-inspiring quality; to shine’).1

me-lam2…su3-su3

to deck with splendor (‘splendor’+’to strew’; cf., hi-li…su3 (-su3)).2

vede lo sguardo terrificante, ma omette il mu, che invece tiene a fondamento della nominazione che dà nome a tutti i nomi:

mu

n., name; word; year -where the words that follow could be a year-formula; line on a tablet, entry; oath; renown, reputation, fame (cf., gu10) [MU archaic frequency].

v., to name, speak (cf., mug).

prep., because; to; toward; in.

Emesal dialect form for gis2, 3/ges2, 3/us, man, male, penis.3

Sbaglia lui e sbagliano i sumerologhi. Uniscano il me ed il mu!

L’antico archetipo (primo modello esemplare di modo di vedere) è il DA DUE UNO, ovvero la realtà viene descritta da due elementi, mentre l’archetipo moderno è il DA UNO DUE. Per stare ai numeri, noi vediamo l’uno, che gli antichi vedono nell’uno della seconda mano, cioè nel sei = Ash, Uno d’origine.

Le due mani unite come le due mani tese con le braccia dall’orante sono la rappresentazione della preghiera, da due uno. Il ME ed il MU fanno essere.

Il sette, cioè il due della seconda mano,4 è il massimo assoluto e sono le sette divinità dotate del me, ovvero del potere divino di far essere ciò che nominano.

Elemire Zolla – Gli archètipi, Venezia, Marsilio, 1988 – ha orientato questo concetto di archetipo.

Le tre sillabe me.lam.mu devono assolutamente apparire insieme. In particolare il me fa essere il mu. È un idiotismo significare me = essere = non esistere. lam è il lam-po vel lam-bu (conoscenza di abbondanza). Lam è l’abbondanza prima di tutto di luce nel buio.

lam

n., abundance, luxuriance; almond tree; netherworld [LAM archaic frequency].

v., to grow luxuriantly, flourish; to make grow luxuriantly (la, ‘abundance’ + to be).5

dlamma, lama3 [KAL]

a female spirit of good fortune; guardian spirit; protective deity; tutelary genius (Akk. lamassatu(m) [lam, ‘to make grow luxuriantly’, + a, nominative suffix).6

Nel secondo è lam.a, ‘abbondanza di anima’. La coppia mu.a rivela

mu2-a

n., growth(s); vegetation (for verb, cf., mud6, mu2)  (‘to sprout, grow high’ + nominative).

adj., sprouted, germinated.7

a-mu, vel amo: l’azione di Dio -vel delle sette divinità creatrici- sul mondo.

A. Leo Oppenheim, in L’antica Mesopotamia, Grandi Tascabili Economici Newton,Roma, 1980: 159 mi ha dato un input:

A livello metafisico la divinità è percepita in Mesopotamia come un fenomeno terrificante e capace di incutere paura, un fenomeno dotato di una luminosità eccezionale, ultraterrena e spaventosa. La luminosità è considerata un attributo divino ed è distribuita con vari gradi di intensità da tutte le cose considerate divine e sante, quindi anche dallo stesso re. Un’imponente schiera di termini specifici è costantemente usata nelle preghiere e in altri testi per esprimere questa particolare percezione del divino.

Mi pare che il concetto della luminosità attributo del divino sia chiarito.

Oltretutto, buio è da lat. parl. buriu [lo Zingarelli’98], che rinvia ad uruburu, con la ‘i’ interna confusa nella pronuncia antica della ‘u’ alla francese. Ed è il serpente alchemico medievale, mai rapportato [incredibile dictu!] al serpente sumero avvoltolato [uruburu] o svolto [uruburus].

Non mancherò mai di imputare a Giovanni Pettinato – Angeli e demoni a Babilonia. Magia e mito nelle antiche civiltà mesopotamiche, A. Mondadori, Milano, 2001: 123 – il suo Antasubba ‘perdita della conoscenza’ visto come mal caduco, che ontologicamente è ba.bu.sat.an con una lettura circolare. Sarà una mia idea. Satan spazia sui 4000 anni con questa idea. Idea è ‘dioid Eaea’. Sposta la lettura del libro di Giobbe (C’era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe […]) nella terra della Luna Zu -retro del fonema Uz-. Così come Samuel Noah Kramer propose nel 1958 con I Sumeri agli esordi della civiltà a Milano dalla Carlo Martello editori, ma ignorato dal Giobbe di Gianfranco Ravasi, Roma, Borla, 2005.

Enea Sansi e la redazione di Tellusfolio mi perdoneranno se oggi, 5 agosto, vigilia della trasfigurazione di Gesù sul Tabòr, concludo con l’osservazione del paleonimo Tabor, sum. tabur.

Coniugo tab.ur, ‘partner base’ con gab.gir.tab, Antares gab Scorpione gir.tab. tab è il partner nella coppia gir.tab. Il partner del monaco laico che scrive è GESH.UB, albero. cielo, da osservare in GESH.BU, albero. conoscenza. Lui è tab-ba, partner. Lui stringe tab2 [GIR2] ed infiamma chi scrive. Auguro a chi legge di non aver il cuore duro.

 

Carlo Forin

 

 

1 John Alan Halloran, Sumerian Lexicon, Logogram Publishing, Los Angeles, 2006: 172.

2 Ibidem.

3 Ivi: 176.

4 Cinque pani e due pesci nella moltiplicazione del vangelo di oggi: Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 14, 13-21.

In quel tempo, quando udì della morte di Giovanni Battista, Gesù partì su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città.

Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare».

Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare».

Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!».

Ed egli disse: «Portatemeli qua».

E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla.

Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati.

Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

5 John Alan Halloran, op. cit.: 156.

6 Ivi: 157.

7 Ivi: 178.


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