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Il privo di limiti 
di Gianfranco Cordì
25 Febbraio 2017
 

Festa grande oggi all’Ápeiron, il nuovo locale del centro, che per la sua apertura ha invitato niente meno che Anassimandro, il filosofo di Mileto noto per le sue teorie relative all’archè delle cose. Mi faccio strada fra i tavolini e i camerieri con l’intenzione di offrire un aperitivo all’illustre presocratico e di scambiare due chiacchiere con lui.

GIANFRANCO: «Come va la vita a Mileto?»

ANASSIMANDRO: «Ci sono i soliti elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Che devo dirti? Io me ne sono inventato uno immateriale».

GIANFRANCO: «Sì. Lo so. L’indeterminato».

ANASSIMANDRO: «E come fai a saperlo?»

GIANFRANCO: «Ho fatto il doposcuola ad Antonio, il figlio della mia compagna, ed ho dovuto studiare la tua teoria».

ANASSIMANDRO: «Ma la mia è più che una teoria. Tutti quanti noi, tutte le cose che popolano questo mondo e questo mondo stesso e tutto quello che c’è e tutto quello che non c’è hanno un origine comune».

GIANFRANCO: «Questo lo hanno affermato, tanto per restare ai tuoi colleghi, gli altri due milesi: Talete e Anassimene».

ANASSIMANDRO: «Ma io ho detto di più. Tutto quanto è sconsideratamente indeterminato, non ha confini precisi, non ha spazi nei quali possa essere rinchiuso».

GIANFRANCO: «E queste cose e queste stesse persone che popolano il nostro mondo come nascono dall’indeterminato?»

ANASSIMANDRO: «Ah, beh…».

GIANFRANCO: «Lascia stare, Anassimandro. So che tu hai una buona risposta a questa domanda. Io ti voglio chiedere però che tracce ne abbiamo noi uomini determinati dell’indeterminato che ci ha generato?»

ANASSIMANDRO: «Questo è un po’ come chiedermi di Dio».

GIANFRANCO: «Non proprio. In fondo è come chiederti che traccia ne hanno i mortali di qualcosa che li trascende in quanto esseri finiti e pieni di limiti per essere questo qualcosa una messa in discussione di questi limiti stessi?»

ANASSIMANDRO: «La tua domanda mi ricorda un po’ Nietzsche. Andare oltre l’uomo. L’oltreuomo».

GIANFRANCO: «Lascia stare! Che mi dici del tuo frammento? Il primo consegnatoci dalla storia della filosofia in quanto scritto da un filosofo in linguaggio solenne e misterioso».

ANASSIMANDRO: «Ah ne sono molto fiero! Esso recita: “Anassimandro… ha detto… che principio degli esseri è l’infinito… da dove infatti essi hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”».

GIANFRANCO: «Dunque esiste un malessere. Una specie di grande malessere cosmico. Le cose che sono in quanto quello che sono pagano la pena e l’ingiustizia di questo malessere e così si generano?»

ANASSIMANDRO: «Sì».

GIANFRANCO: «Questo è il motore che fa andare il mondo: lo stato di indigenza, la mancanza, il dolore?»

ANASSIMANDRO: «Sì. Per le cose finite è proprio così. Per l’indeterminato le cose vanno in maniera diversa».

GIANFRANCO: «Dunque la traccia nell’uomo dell’indeterminato e dell’illimitato sta nel suo stato di dolore?»

ANASSIMANDRO: «Sì».

GIANFRANCO: «Com’è l’aperitivo?»

ANASSIMANDRO: «Ottimo e abbondante».

GIANFRANCO: «E le olive?»

ANASSIMANDRO: «Buone».

GIANFRANCO: «Dunque in questo momento tu stai bene?»

ANASSIMANDRO: «Sì. Non c’è traccia in me di indeterminato».

GIANFRANCO: «Mi hai chiarito molte cose, oggi. Voi antichi greci siete così pessimisti?»

ANASSIMANDRO: «Veramente Democrito è il filosofo sorridente».

GIANFRANCO: «Tu sei andato a cercare un elemento al di fuori dei quattro canonici e hai trovato lo sconfinato. Ma questo sconfinato, dal quale le cose nascono e nel quale le cose ritornano, ha bisogno dell’infelicità dell’uomo per essere…»

ANASSIMANDRO: «Qualcuno non ci ha detto che questa è una valle di lacrime?»

GIANFRANCO: «Per pensare l’indeterminato c’è bisogno del fio e dell’ingiustizia. Ma questa ingiustizia è nell’illimitato o nel limitato?»

ANASSIMANDRO: «È in questi salatini».

GIANFRANCO: «Sì. Nessuno ci ha mai detto che sarebbe stato facile vivere su questa Terra. Secondo l’ordine del tempo si pagano pena e ingiustizia riguardo al fatto che tutto non sia indeterminato, che esistano vincoli, limiti, orli, bordi».

ANASSIMANDRO: «Noi siamo esseri finiti. Come questo arancinetto. E questo stesso fatto costituisce un limite».

GIANFRANCO: «Ma se fossimo indeterminati saremmo più felici?»

ANASSIMANDRO: «Beh, non avremmo malattie …»

GIANFRANCO: «La vera ricchezza è nel nostro stesso avere dei limiti. Non poter conoscere tutte le donne del mondo. Non poter accumulare tutta la ricchezza del mondo. Avere limiti nella respirazione e nel battito cardiaco. Io sono felice di essere così tanto determinato nelle mie possibilità».

ANASSIMANDRO: «Io ho sognato lo sconfinato. La gente mi dovrebbe ricordare solo per questo. Ho dato a tutti la speranza in qualcosa di enorme al quale un giorno potremo arrivare».

Ci salutammo cordialmente, Anassimandro se ne tornò a Mileto. L’inaugurazione dell’Ápeiron era stata bellissima. E Anassimandro ci aveva anche regalato un sogno: andare oltre, andare al di là, correre via lontano. Come diceva quel personaggio televisivo: «I sogni aiutano a vivere meglio» anche se la realtà, per quanto dura essa sia, è sempre meglio: la realtà infatti non mente mai, essa dice sempre i nostri limiti che sono anche la nostra ricchezza.


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