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Afif Sarhan. Gli iracheni ridotti a vendere i figli
14 Gennaio 2008
 

Abu Muhammad, di Baghdad, ha trovato difficile lasciar andare la figlioletta che lo teneva per mano, ma si è già convinto che l’averla venduta ad una famiglia che vive fuori dall’Iraq le darà un futuro migliore: «La guerra ha distrutto la mia famiglia. Ho perso i miei parenti, inclusa mia moglie, fra le migliaia di vittime della violenza settaria e sono stato costretto a dar via mia figlia per dare agli altri bambini qualcosa da mangiare», ha detto ad Al Jazeera.

Nel 2006, Abu Muhammad e la sua famiglia furono costretti a lasciare la loro casa ad Adhamiya, un distretto di Baghdad, dopo che i combattimenti fra milizie avevano occupato le strade di un quartiere solitamente tranquillo. Cominciarono a vivere in un campo profughi fuori città, ma presto Abu perse il lavoro e i bambini, che non potevano più permettersi la scuola, smisero di andarci.

«Non c’erano abbastanza soldi per i libri, i vestiti e i trasporti», dice ancora Abu Muhammad. Sua figlia Fatima, la più piccola dei quattro bambini, aveva cominciato a mostrare i segni della denutrizione ed un medico locale aveva detto al padre che era diventata anemica.

A metà del 2007, le condizioni della famiglia erano ormai disperate ed i quattro bambini, che un tempo erano pieni di salute e di vita, divennero macilenti e letargici. Fu allora che un traduttore arrivò assieme ad una coppia svedese che affermava di far parte di un’ong internazionale.

«Avevano sentito parlare della mia situazione e la donna, che disse di non poter avere bambini, mi offrì del denaro per avere la mia figlia minore, di due anni. All’inizio rifiutai, ma il traduttore iracheno continuava a venire al campo e a insistere. Un giorno mi sono detto che tutti i miei figli sarebbero morti senza cibo e un ambiente sano, e la volta successiva in cui si presentò alla mia tenda gli dissi che accettavo».

Diede al traduttore tutti i suoi documenti personali e dopo una settimana la coppia svedese si presentò con nuovi documenti da firmare, quelli che autorizzavano l’adozione, e se ne andò con la bimba. Abu Muhammad, che ha ricevuto 10.000 dollari, crede ora che Dio lo abbia maledetto, ma dice che il suo tormento interiore è in qualche modo alleviato dal suo credere che Fatima avrà una vita migliore di molti che restano in Iraq: «Nello sguardo della donna ho visto l’amore, la prima volta che ha posato gli occhi sulla bambina», dice della madre adottiva.

Funzionari locali e assistenti sociali hanno espresso preoccupazione per l’allarmante crescita del numero di bambini che continuano a “scomparire” in Iraq. Omar Khalif, vice-presidente dell’Associazione famiglie irachene (AFI), un ong nata nel 2004 per contrastare la sparizione ed il traffico di bambini, dice che almeno due bimbi vengono venduti dai genitori ogni settimana. Altri quattro, ogni settimana scompaiono: «La cifra è allarmante. C’è un aumento del 20% nei casi denunciati di sparizioni rispetto all’anno scorso. Negli anni precedenti, si denunciavano le sparizioni dicendo che i bimbi erano scomparsi mentre tornavano da scuola o giocavano in strada con gli amici. Tuttavia, le indagini della polizia hanno rivelato che molti erano stati invece venduti dai genitori a coppie straniere o a gang specializzate nel traffico». Secondi i rapporti della polizia e lo studio indipendente dell’AFI, i bambini iracheni vengono venduti a famiglie europee (in special modo in Olanda e Svezia) e in Giordania, Libano e Siria. «Approfittando della situazione disperata di troppe famiglie irachene, gli stranieri offrono buone somme di denaro in cambio di bambini la cui età va da un mese a cinque anni», dice Khalif. Il suo timore è che i piccoli vengano trafficati per il commercio sessuale o il mercato nero degli organi da trapianto.

Hassan Alaa, funzionario del Ministero degli Interni, dice che sebbene sia difficile rintracciare con precisione i luoghi in cui vengono portati i bambini scomparsi, le forze governative hanno arrestato quindici trafficanti di vite umane negli ultimi nove mesi: «Parecchi avevano con loro documenti falsi per poter portare i bambini fuori dal paese. Nelle dichiarazioni che hanno reso, dicono che molti bambini vengono venduti per 3.000 dollari, ma quelli piccolissimi possono raggiungere i 30.000». Il Ministero ha inviato le sue forze di sicurezza ai checkpoint ed ai confini iracheni. Alaa dice che i trafficanti di bambini usano somministrare loro pesanti sedativi durante il viaggio: «Ai posti di blocco, alla polizia dicono che i bimbi stanno semplicemente dormendo. Adesso facciamo svegliare tutti i bambini in procinto di lasciare l’Iraq, a meno che non siano troppo piccoli per parlare, e gli facciamo porre delle domande dalla polizia o dai funzionari di confine».

Mahmoud Saeed, funzionario del Ministero Lavoro e Affari sociali, sostiene che l’estrema povertà e la disoccupazione hanno spinto genitori disperati a prendere decisioni un tempo inimmaginabili: «Vedendo le loro famiglie senza cibo, senza igiene, preferiscono dare i bambini in adozione, per salvare le loro vite». Saeed dice che il suo Ministero intende porre come istanza di crisi la questione del lavoro nel 2008. Spera che le agenzie umanitarie internazionali e le ong incrementeranno la loro partecipazione e gli investimenti nei progetti mirati ad aiutare l’infanzia. Ma per molti genitori, queste misure arriveranno troppo tardi.

Khalid Jabboury, 38enne, padre di sette figli e rifugiato alla periferia di Baghdad, dice che l’aver dato in adozione sua figlia ad una famiglia giordana non gli ha portato altro che tormento: «Dopo un anno, ho saputo da alcuni parenti che l’avevano vista che la mia bimba di sette anni lavorava come serva, per la sua supposta nuova famiglia, e anche che veniva picchiata per bene». Gli hanno dato 20.000 dollari, ma Khalid vuole restituirli, se un’ong locale lo assisterà nel tentativo di far rimpatriare sua figlia. Omar Khalif dell’IFA sostiene però che non c’è nulla che lo ong possano fare quando i bimbi sono fuori dall’Iraq.

Ruwaida Saleh, 31enne, madre di tre figli, sta incessantemente pregando per la salvezza della sua bambina di otto anni, Hala. Ruwaida dice che la piccola è scomparsa nel luglio 2007, e che da allora lei non ne ha più saputo nulla: «La polizia ci ha detto di arrenderci, ma io non posso. Ho incubi in cui vedo che la stuprano. Mi terrò stretta alle mani di Dio e lo implorerò di riportare Hala fra le mie braccia. È un dolore che non ha lenimento, e che mi porterò nella tomba se non riesco a trovarla».

 

Afif Sarhan

(per Al Jazeera, 04/01/2008 - trad. Maria G. Di Rienzo)


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