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Renato Pasqualetti. Sul saggio di Sandro Fancello 
“La lotta armata e la strategia della tensione in Italia da Valle Giulia al 1970”
26 Luglio 2014
 

Sandro Fancello, con un saggio breve ma informato, descrive due anni della storia italiana (dal 1968 al 1970), prendendo a riferimento quello che accadde nel profondo della politica e della società italiana, e soprattutto cercando di scorgere ciò che in quegli anni si sviluppò rispetto alla strategia della tensione e alla lotta armata.

Vorrei fare alcune riflessioni anche a commento, che personalmente ritengo indispensabili per interpretare la vera natura dei movimenti di lotta di quegli anni ed in particolare del movimento studentesco e giovanile.

Fancello nel suo scritto parte dalla fine degli anni ’60 e descrive un movimento già formato e impegnato nelle lotte di fabbrica o in quelle della scuola, cosa che ha un suo fondamento.

Ritengo, però, essenziale e necessario premettere che il movimento, che in quegli anni espresse una forte soggettività politica, aveva le sue origini e radici in un periodo molto precedente. Un Movimento trascorso da emozioni e speranze che all’inizio furono quelle della cultura che Kerouac nel 1947 chiamò beat. Beat come battito, pulsione di assoluta libertà, ma anche come battuto, sconfitto da incomprensioni e chiusure.

Emozioni e speranze che negli anni ’60 vissero nelle lotte antirazziali e anticapitaliste nelle Università americane, che presero la voce di Martin Luter King o di Jonn Fitgerald Kennedj, che vissero oltre cortina contro la cappa sovietica fino al sacrificio di Jan Palach a Praga, che caratterizzarono le espressioni libertarie nelle arti figurative, nel teatro e nella musica fino a Woodstock, che si unirono sotto la grande contestazione mondiale alla guerra imperialista degli USA in Viet Nam. Movimenti essenzialmente pacifisti e libertari.

Non è secondario partire da questa analisi, perché è così che si individua bene l’origine dell’identità politica con cui il cosiddetto “movimento del ‘68” si espresse sulla scena mondiale e in Italia.

Un’insieme di emozioni e speranze, che nei primi anni ’70 trovarono un’evoluzione nel sogno di una società di eguali che, liberando gli ultimi, i proletari, avrebbe liberato tutte le donne e gli uomini del mondo. E anche le lotte che caratterizzarono la vita del nostro Paese dal 1968 al 1970 anelavano ad un mondo nuovo, aperto ad un pensiero libero.

La cosa certa è che quel Movimento fu un rovesciamento speculare del modello politico e culturale dominante, che si era affermato dal dopoguerra nel mondo e determinò una dilatazione della sfera delle libertà individuali e collettive senza precedenti. Questo è il filo vero da tirare per capirlo, certamente non quello della “lotta armata”.

Un Movimento anche ideologico, fatto di certezze o di slogan come “è proibito proibire” o “la fantasia al potere”, che spesso addirittura tendeva ad escludere chiunque non ne accettasse le idee fondamentali e gli stessi comportamenti. Contemporaneamente un Movimento ingenuo e spontaneo fatto anche di profonde contraddizioni, espressione di una generazione che amò con eguale trasporto Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez e il Capitale di Carlo Marx.

A Fancello mi permetto di suggerire di approfondire questo aspetto, e voglio dargli una traccia, facendo un esempio.

Gli scontri di Valle Giulia di cui tratta il suo saggio, furono una risposta “difensiva”, ancorché violenta, a tante cariche che la polizia aveva operato in maniera “aggressiva” nei confronti dei vari movimenti, fin dai morti di Reggio Emilia del 1960. Ma la cosa che voglio sottolineare è che all’Università di Architettura a Roma il 1° marzo del 1968, giorno degli scontri di valle Giulia, il movimento culturalmente egemone era quello degli Uccelli. Un gruppo situazionista che per contestare le baronie universitarie e le loro gerarchie non usava certo la violenza, ma aveva liberato all’interno dell’Università 1.000 galline o pretendeva di sostenere l’esame di matematica suonando al flauto una melodia di Mozart. Si chiamavano Uccelli, perché, coperti da mantelli neri, si erano issati restando immobili alla sommità delle colonne di Architettura…

E in generale quello che va sotto il nome di ’68, fu un movimento che espresse una qualificata capacità di lotta e che, a mio avviso, costituì la spinta e l’alimento per conquiste epocali sia sul campo economico come lo Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970, sia sul campo civile come la conquista del Divorzio sancita dalla vittoria del Referendum del maggio del 1974.

Ciò detto, non voglio sottrarmi a un tema presente e centrale nello scritto di Fancello: c’erano movimenti che tra il 1968 e il ‘70 teorizzavano la lotta armata e l’insurrezione?

Per avere vissuto intensamente quegli anni militando nel movimento degli studenti nella mia città e a livello nazionale, mi sento di affermare di no.

Negli anni che vanno dal 1968 al 1970 coloro che pensavano alle armi o alla presa violenta del potere erano assolutamente pochi e completamente esterni ai movimenti studenteschi e ancor più a quelli operai. Il movimento del ’68 fu un movimento politico di massa, Feltrinelli o Curcio furono presenze poco più che individuali e assolutamente estranee a quel movimento. Raccontare la loro povera e tragica storia non è certo raccontare la storia delle lotte di quegli anni, che nelle loro varie espressioni furono tutta un’altra cosa.

Quella che, invece, è esistita drammaticamente nel 1968/70 è stata la strategia della tensione e lo stragismo fascista. Il 12 dicembre del 1969 con la strage di Piazza Fontana cambia radicalmente la storia del nostro Paese. Nella dialettica democratica s’inserisce lo stragismo, che tragicamente comparirà a Brescia o a Bologna…

L’anno dopo di piazza Fontana, nello stesso giorno, sparando ad altezza d’uomo verso il corteo che manifestava per ricordare la strage, la polizia uccide con una bomba al cuore lo studente Saverio Saltarelli.

Non è secondario ricordare che, al di là della morte di Pinelli e del ruolo del commissario Calabresi, in un libretto di controinformazione dal titolo “La strage di Stato”, dopo pochi giorni dalle bombe della Banca dell’Agricoltura, il Movimento traccia per filo e per segno quali erano stati gli avvenimenti, individuando gli autori dell’attentato, le modalità e la provocazione della pista anarchica, tutta la verità che a poco a poco faticosamente emergerà in mezzo a mille convivenze, insabbiamenti ed omissioni.

La situazione nel movimento rispetto alla violenza e la lotta armata, invece, cambia radicalmente dopo il 1975 e ha un momento di chiara espressione e di discontinuità con la drammatica “cacciata” di Luciano Lama dall’Università di Roma il 17 febbraio 1977. Quello fu l’anno terribile che Lucia Annunziata narra nel suo libro 1977.

Lì inizia una storia tragica del Paese in cui il terrorismo delle BR e degli altri gruppi eversivi entra prepotentemente sulla scena, coinvolgendo anche persone che avevano militato nei movimenti del ’68. Una storia tragica e assurda, quella degli anni di piombo, in cui disperazione, droghe, criminalità comune e ricorso alle armi sgretolano i movimenti di massa e la crescita della sinistra degli anni precedenti.

Una storia che si è conclusa drammaticamente con il rapimento e l’assassinio dell’onorevole Moro, un episodio che, malgrado il terrorismo in uno o due anni sia stato sgominato, trasforma la storia dell’Italia repubblicana e cambia nel profondo i partiti che l’avevano determinata.

Ma quella, appunto, è un’altra storia rispetto a quella del biennio 68/70.

 

Renato Pasqualetti


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