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Andrea Ermano. Il percorso misterioso
La vignetta di Sergio Staino oggi sull
La vignetta di Sergio Staino oggi sull'Unità 
08 Novembre 2012
 

Oggi sull'Unità è apparsa una vignetta di Staino con due cardinali e il papa: “Negli States o vince l'uno o vince l'altro”, commenta un porporato. E Ratzinger, visibilmente scandalizzato: “Barbari. Nessuno spazio per il terzo polo”. Insomma, siamo in Italia, non negli USA. Da noi c'è il Vaticano. Ci sono i poteri forti.

Perciò, anche se la Repubblica italiana non vieta né i castelli in aria né i sogni di gloria, chi tuttavia cercasse l'America in Italia farebbe un gran piacere a sé (e non solo a sé) laddove tenesse presente che oggi non si può governare senza solide basi di consenso.

Già molti mesi fa, esortando la Germania a non aprire per la terza volta in cent'anni una crisi d'ordine nel continente, Joschka Fischer lo aveva detto expressis verbis, che con questa situazione in Europa non si governa senza vaste coalizioni.

Se ciò è vero, come pare, ne discendono per l'Italia due importanti conseguenze. 1) La cosa più di sinistra che la sinistra potrebbe fare nel 2013 sarebbe guidare un governo con tutte le forze favorevoli all'europeismo, inclusi i moderati. 2) La cosa più di destra dalla quale dovremmo guardarci come dalla peste è la tentazione di un “parlamento costituente”. E ciò perché oggi in Italia, ahinoi, nessun soggetto politico o istituzionale, nemmeno il Parlamento, è sufficientemente abilitato ad avviare le pur necessarie riforme.

In linea di diritto, un Parlamento geneticamente manipolato in senso maggioritario dentro a un contesto di astensionismo diffuso difetterebbe di legittimazione. In linea di fatto, sarebbe sbagliato mescolare le attività parlamentari (controllo dell'esecutivo e legiferazione ordinaria) con compiti di ridisegno costituzionale. Ciò comporterebbe un paralizzante conflitto d'interessi, come dimostra la pluridecennale teoria di bicamerali fallite. In terzo luogo, occorre che qualcuno specifichi in modo sovrano la direzione generale delle riforme da compiere.

Esiste un consenso abbastanza vasto sul fatto che nell'assetto repubblicano si nasconda una lacuna, un'indeterminatezza risalente ai padri costituenti i quali – definita la forma dello stato – lasciarono però aperta la forma di governo. Su questo punto, per ragioni storiche e geo-politiche complesse, essi riuscirono ad accordarsi su un minimo comun denominatore iper-parlamentare. Che poteva partorire solo governi strutturalmente gracili. Il vuoto causatosi da quella debolezza venne progressivamente riempito dai poteri forti e dalle oligarchie partitocratiche, generando la cosiddetta “Costituzione materiale”. Era, questa, un sistema fattizio e instabile di equilibri imperniati su ampie facoltà di veto e di contrattazione consociativa.

Il boom economico trasformava impetuosamente e migliorava le condizioni materiali del Paese sicché i partiti di massa poterono inizialmente garantire copertura agli interessi di quasi tutte le fasce sociali. Ma ben presto iniziò a sentirsi l'esigenza di una più efficace capacità di governo.

La Germania già all'inizio degli anni Cinquanta si era data un assetto a base parlamentare in armonia con la nuova Costituzione, ma corretto da clausola di sbarramento e messa in mora del partito comunista. Tutt'altrimenti, la Francia di De Gaulle compì alla fine degli anni Cinquanta la transizione verso una Quinta repubblica semipresidenziale.

Anche la DC di De Gasperi tentò un rafforzamento dell'esecutivo con la “Legge Truffa” che venne proposta al Parlamento dal ministro dell'Interno, Mario Scelba, e che riservava una maggioranza parlamentare del 65% a quel partito che avesse conseguito nelle urne almeno il 50% più uno dei consensi.

Si trattava di una maggiorazione così elevata da collocare il vincitore a un solo punto percentuale dalla soglia qualificata del 66%. Essa implicava non solo un rafforzamento dell'esecutivo, ma anche la ben più decisiva facoltà di modificare la Costituzione a immagine e somiglianza della DC: una forzatura inaudita del patto costituente che Togliatti e Nenni non potevano in alcun modo accettare.

De Gasperi fu sconfitto e la sua uscita di scena avviò il tramonto del centrismo democristiano, preludendo all'estensione dell'alleanza di governo al PSI sulla base di un programma teso alla realizzazione di riforme rivolte a modernizzare il Paese migliorando le condizioni di vita delle classi popolari.

Con la nascita del primo centro-sinistra, sostenuto dall'amministrazione Kennedy, la situazione sociale migliorò, ma la crisi istituzionale si acuì. Furono anni dominati dal “rumor di sciabole”. Le forze della reazione tentarono in ogni modo di contrastare i nuovi governi a partecipazione socialista fino a innescare l'escalation stragista che insanguinò l'Italia a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.

Tutto questo ebbe tre effetti: La sconfitta campale della “strategia della tensione”. L'emergere di una allucinata violenza rossa. Un assoluto nulla di fatto in termini di riforme.

Onde evitare lo stallo in cui andava a spiaggiarsi il “bipartitismo imperfetto” italiano, la DC di Moro, il PCI di Berlinguer e il PSI di De Martino tentarono una strategia di coinvolgimento dei comunisti nelle responsabilità di governo del Paese. La strategia del compromesso storico fallì a causa dei persistenti legami sovietici del PCI e del sostanziale veto statunitense.

Negli anni Ottanta Craxi tentò di uscire dal vicolo cieco iniettando forti dosi di “decisionismo” nella macchina di governo a guida socialista e avanzando la proposta della Grande Riforma. Fu un tentativo volontaristico, ove non velleitario, sostanzialmente generoso, ma inutile. Il Decisionismo, la Grande Riforma e Craxi stesso furono travolti. Insieme alla Prima repubblica.

Se durante trent'anni i partiti di massa avevano in vari modi cercato di ricombinare l'arco costituzionale e di concordare così una nuova “forma di governo”, la cosiddetta Seconda repubblica, nata negli anni Novanta in un clima di contrapposizione forsennata, rilanciò la vecchia idea degasperiana. Una riforma del sistema si sarebbe ottenuta mutando prima la legge elettorale in senso maggioritario e poi su questa base la Costituzione.

Mariotto Segni riuscì là dove Mario Scelba aveva fallito. Trionfò grazie alla trasformazione “ondivaga” del PCI-PDS. Nel Partito di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer il sistema elettorale maggioritario era considerato il sacrilegio di tutti i sacrilegi, ora appariva invece a Occhetto come la benedizione di tutte le benedizioni. Gettati a mare i governi Amato e Ciampi, fu movimentata la “gioiosa macchina da guerra”. Che consegnò il governo del Paese a Berlusconi. E poi preferenze abolite, seggi uninominali, premi di maggioranza, mattarellum, provincellum, regionellum, toscanellum. Porcellum. Un vaso di Pandora.

Nessuna nuova forma di governo è potuta nascere manipolando surrettiziamente, con i mezzi della legge (elettorale) ordinaria, l'architettura della Costituzione. La pandemia seguita alla 2riforma federalista2 del Titolo V è solo un esempio tra i tanti nella lunga deriva postdemocratica della Seconda repubblica, vuota di regole ed idee, piena di discordie e sfascismo.

 

Oggi ci si stupisce molto dell'ondata antipolitica. Ci si interroga sul “terremoto siciliano” di una settimana fa. E ci si chiede se esso non prefiguri il nostro domani politico su scala nazionale.

Massimo Franco dalle colonne del Corriere della sera strologa circa «il percorso misterioso grazie al quale i partiti riusciranno a portare alle urne milioni di elettori sfiduciati, ormai oltre la soglia dell'indignazione e della protesta fine a se stessa».

Percorso misterioso? Forse, vista la necessità di dare una forma di governo al Paese, sarebbe utile invitare il popolo a eleggere una seconda Assemblea Costituente, distinta dal Parlamento, dotata di mandato e compiti precisi.

Aggiungiamo che, in analogia con la scheda per la Costituente del 1946, anche stavolta sarebbe indispensabile sottoporre al popolo un quesito vincolante circa il mandato da conferire all'Assemblea. Allora il quesito del Referendum istituzionale verteva sulla scelta tra monarchia e repubblica. Oggi esso dovrebbe riguardare la forma di governo. Sta al popolo sovrano dire se debba essere presidenziale (come in America), o semipresidenziale (come in Francia), oppure parlamentare (come in Germania).

Un modo onesto e appassionante di coinvolgere i milioni di elettori sfiduciati sarebbe chiedergli di decidere in che forma loro ritengano sia giusto governare la Repubblica di domani. Solo una nuova Costituente sarebbe in grado di riformare in modo non raffazzonato la Carta fondamentale. E l'attuale classe dirigente del nostro Paese ne trarrebbe la chance di misurarsi in un confronto d'idee vero, chiaro, sbozzolandosi dalla ragnatela lucrosa e miseranda in cui s'è avvolta per estenuazione tattica con le sue stesse mani.

 

Andrea Ermano

(da L'Avvenire dei lavoratori, newsletter 8 novembre 2012)


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