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Referendum costituzionale del 25 e 26 giugno 2006 
Una riforma dai molti vizi e dalle poche virtù, ma soprattutto sgangherata e senza eguali nel mondo. Un no deciso anche al trucco delle norme-civetta taglia-parlamentari (forse in vigore dal 2016…)
22 Giugno 2006
 
Indice: 1. Introduzione – 2. I tempi di entrata in vigore della revisione – 3. La nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni – 3.1. Panoramica sul vigente Titolo V della Costituzione – 3.2. La proposta riforma del sistema delle autonomie: nuova distribuzione di competenze tra Stato e Regioni, Senato federale – 4. La nuova composizione dei due rami del Parlamento – 5. La nuova ripartizione di competenze tra Camera e Senato federale – 5.1. Segue: il “bicameralismo asimmetrico” – 5.2. Segue: il bicameralismo perfetto – 6. Nomina del Primo ministro e formazione del Governo – 7. I poteri del Primo ministro – 7.1. Segue: la facoltà di sottrarre al Senato la potestà legislativa di sua competenza e quella di imporre alla Camera dei deputati il voto bloccato su un disegno di legge – 7.2. Segue: le questioni di fiducia e le mozioni di sfiducia alla Camera dei deputati – 8. Le modalità d’elezione e i poteri del Presidente della Repubblica – 9. La composizione e il funzionamento della Corte costituzionale
 
 
1. Introduzione
Il 25 e 26 giugno 2006 si terrà, a conclusione di una serie di importanti e sofferti appuntamenti elettorali, il referendum per l’approvazione della più complessa e controversa revisione costituzionale mai tentata in Italia.
Non è previsto alcun quorum di validità del referendum: se dunque la maggioranza dei votanti si esprimerà a favore della revisione costituzionale, questa potrà essere promulgata dal Presidente della Repubblica ed entrare in vigore.
La campagna referendaria, iniziata in tono minore per la sottovalutazione della posta in gioco, si sta ora prevalentemente giocando sulle simpatie o antipatie personali: Votate Sì contro Scalfaro, No contro Bossi e Berlusconi...
Non sarà inutile ricordare che il centrodestra, autore di questa riforma:
-   nel 2001 riuscì ad aumentare i propri seggi in Parlamento eludendo le leggi elettorali, grazie al trucco delle liste-civetta;
-   alla fine della passata legislatura ha poi cambiato la legge elettorale, eliminando i collegi uninominali e introducendo il voto di lista bloccato per l’elezione di tutti i parlamentari, grazie al quale in Parlamento finiscono soltanto i predestinati all’elezione in quanto candidati in cima alle liste (l’ex ministro Calderoli ha definito questo sistema elettorale una “porcata”);
-   ora, tenta di convincere gli elettori a votare a favore di una riforma demenziale e sgangherata brandendo la norma-civetta taglia-parlamentari (che, a regola, ridurrebbe il numero di deputati e senatori soltanto dal 2016…).
Infatti, quando si riesce ad andare oltre il tifo da bisca clandestina, i fautori del Sì (Lega compresa) tendono a presentare questa revisione costituzionale, pure avviata all’insegna della cd. “Devolution”, come quella della riduzione del numero dei parlamentari.
A volte, a seconda del livello del dibattito, si riesce anche a sentir parlare del (preteso) superamento delle farraginosità del bicameralismo perfetto e della correzione di errori contenuti nella precedente revisione del Titolo V voluta dal centrosinistra.
Al di là dei personalismi e degli slogan qualunquistici sul numero dei parlamentari, sui presunti guasti del bicameralismo perfetto e sugli errori del precedente Parlamento, è invece il caso di approfondire per tempo i contenuti concreti della revisione costituzionale, visto che i suoi effetti (secondo i punti di vista, nefasti o benefici) potrebbero essere duraturi.
Tra l’altro, se davvero la riforma si limitasse agli slogan con cui i suoi propugnatori la presentano, sarebbe bastato intervenire su una manciata di articoli della Costituzione, e non su cinquantatré.
In ogni caso, il testo della legge costituzionale offre anche utili chiavi di lettura di eventi politici recenti.
Si pensi ai fischi lanciati da destra dell’emiciclo verso i senatori a vita, “colpevoli” di partecipare alla votazione di fiducia al Governo Prodi!
La revisione costituzionale priverebbe il Senato del potere di votare la fiducia al Governo: senza bisogno di lazzi e altre inciviltà, i senatori a vita, “non eletti dal popolo”, non potrebbero più determinare le sorti del Governo.
E invece no! I senatori a vita sarebbero aboliti e sostituiti dai deputati a vita, che dunque, “non eletti dal popolo”, potrebbero votare la fiducia al Governo! Che dire? Alla prossima occasione, ci sarà ancora qualche parlamentare a vita da linciare...
Addirittura, alcuni tra i sostenitori della riforma costituzionale “imperfetta ma perfettibile” invitano a votare Sì per poi “migliorarla” successivamente. In altri termini, chiedono due voti di fiducia in bianco: uno, alla memoria, per il Parlamento uscente; l’altro, preventivo, per quello che dovesse riuscire nell’auspicata opera di miglioramento di una riforma dai molti vizi e dalle poche virtù.
Peraltro, questo consistente sommovimento della Costituzione riguarderebbe non soltanto la distribuzione dei poteri tra lo Stato centrale e le Regioni, ma soprattutto la forma di governo nazionale (poteri del Parlamento, del Governo e del Presidente della Repubblica), oltre che la composizione e il funzionamento della Corte costituzionale.
Dopo aver brevemente affrontato la questione dei tempi di entrata in vigore della revisione costituzionale (in caso di vittoria del Sì al referendum), ne esamineremo i principali aspetti:
-   ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni;
-   composizione e poteri dei due rami del Parlamento nazionale;
-   modalità di designazione e poteri del Primo ministro;
-   poteri del Presidente della Repubblica;
-   composizione e condizioni di funzionamento della Corte costituzionale.
Ciò che più lascia perplessi è comunque il fatto che siano stati sì mutuati da altri ordinamenti costituzionali singoli istituti (a volte addirittura soltanto parzialmente, come nel caso della commissione bicamerale di conciliazione), ma che nel loro complesso gli interventi di “riforma” non trovino corrispondenze in nessun sistema costituzionale contemporaneo.
 
 
2. I tempi di entrata in vigore della revisione costituzionale
La revisione costituzionale dovrebbe entrare in vigore in tre distinte fasi, ai sensi dell’art. 53, recante le “Disposizioni transitorie” (di seguito: disp. trans.):
-   una parte, immediatamente (disp. trans., comma 1);
-   una parte, a partire dalla prima legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore, cioè nel 2011, salvo scioglimenti anticipati (disp. trans., comma 2, primo periodo);
-   una parte, a partire dalla seconda legislatura successiva a quella in corso alla data di entrata in vigore, ovvero nel 2016, salvo scioglimenti anticipati (disp. trans., comma 2, secondo periodo).
Con l’entrata in vigore della legge costituzionale avrebbero immediato effetto le seguenti modifiche:
-   abbassamento da cinquanta a quarant’anni dell’età per essere eletti presidenti della repubblica (art. 84 Cost.);
-   costituzionalizzazione delle autorità amministrative indipendenti (art. 98-bis Cost.);
-   tutte le modifiche al Titolo V, fatta eccezione per quelle all’art. 126, primo comma, e per l’introduzione dell’art. 127-ter (artt. 114, 116, 117, 118, 120, 122, 123, 126, terzo comma, 127, 127-bis, 131 e 133 Cost.);
-   cristalizzazione delle leggi elettorali per Camera e Senato al momento vigenti (disp. trans., comma 7).
Entrerebbero in vigore con la prossima legislatura (ovvero, salvo scioglimenti anticipati, nel 2011) le seguenti modifiche:
-   trasformazione del nome del Senato in Senato federale (art. 55, primo comma, Cost.);
-   riduzione dell’età per poter eleggere il Senato federale da venticinque a diciotto anni (art. 58 Cost.);
-   aumento dei partecipanti ai lavori del Senato federale: due rappresentanti per Regione o Provincia autonoma parteciperanno infatti, senza diritto di voto, all’attività del Senato federale (art. 57, sesto comma, Cost.);
-   abolizione dei senatori eletti all’estero ed elezione all’estero di diciotto deputati (su 630) in luogo dei dodici previsti dall’art. 56, secondo comma, della Costituzione al tempo vigente (disp. trans., comma 4, lettera a), terzo periodo);
-   limitazione dell’elettorato passivo per il Senato federale a coloro che abbiano ricoperto o ricoprano cariche pubbliche elettive in enti territoriali all’interno della Regione, o siano stati eletti senatori o deputati nella Regione o risiedano nella Regione alla data di indizione delle elezioni;
-   abolizione dei senatori di diritto e a vita (ex presidenti della Repubblica) e dei cinque senatori a vita di nomina presidenziale, e contestuale introduzione dei deputati di diritto e a vita (ex presidenti della Repubblica) e di tre deputati a vita di nomina presidenziale (art. 59 Cost.); i senatori a vita in carica resterebbero al Senato federale (disp. trans., comma 15);
-   costituzionalizzazione del quorum richiesto per l’elezione dei presidenti delle due Assemblee (art. 63, comma 1, Cost.);
-   aumento del quorum richiesto per l’approvazione del regolamento della Camera ai tre quinti dei componenti (art. 64, comma 1, Cost.); previsione che per la validità delle sedute del Senato federale debbano essere presenti senatori espressi da almeno un terzo delle Regioni (art. 64, terzo comma, Cost.);
-   conferma del divieto di vincolo di mandato per i parlamentari (art. 67 Cost.);
-   modifica della composizione della Corte costituzionale (art. 135, primo comma, Cost.).
Entrerebbero in vigore con la seconda legislatura successiva a quella in corso (ovvero nel 2016, sempre che questa legislatura non sia sciolta prima, e sempre che neppure la prossima lo sia) le seguenti modifiche:
-   riduzione del numero di deputati (da 630 a 518) e senatori (da 315 a 252) elettivi (artt. 56, secondo comma, e 57, secondo comma, Cost.);
-   riduzione dell’età richiesta per essere eletti alla Camera da venticinque a ventuno anni (art. 56, terzo comma, Cost.);
-   riduzione dell’età richiesta per essere eletti al Senato federale da quaranta a venticinque anni (il nuovo art. 58 Cost. entrerebbe in vigore con la prossima legislatura, ma il comma 4 disp. trans. prevede che, in sede di primo rinnovo del Senato, l’età resti fissata a quarant’anni).
 
 
3. La nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni
 
3.1. Panoramica sul vigente Titolo V della Costituzione
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, approvata dal Parlamento nel corso della XIII Legislatura e confermata dal referendum popolare del 7 ottobre 2001, ha radicalmente modificato i criteri di distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Regioni.
In particolare, secondo l’art. 117 Cost. modificato nel 2001:
-   la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (comma 1);
-   lo Stato ha legislazione esclusiva in una serie di materie tassativamente elencate (comma 2);
-   nelle materie, anch’esse espressamente elencate, di legislazione concorrente, la potestà legislativa spetta alle Regioni, salvo che per la determinazione dei principî fondamentali, riservata allo Stato (comma 3);
-   le Regioni hanno potestà legislativa esclusiva in tutte le materie non espressamente riservate allo Stato (comma 4).
È stato inoltre costituzionalizzato il principio (ispiratore delle cd. leggi “Bassanini”) per cui le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a un livello amministrativo superiore (art. 118 Cost.).
Sono state poste le basi del federalismo fiscale (art. 119 Cost.).
Coerentemente con i nuovi principî ispiratori dei rapporti tra Stato e Regioni, è stata abolita la precedente forma di controllo preventivo sulle leggi regionali, che era così articolata (art. 127 Cost. previgente):
-   approvazione della legge da parte del Consiglio regionale;
-   facoltà del Governo di rinviare la legge al Consiglio regionale al fine di una nuova deliberazione;
-   in caso di riapprovazione della legge a maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio regionale, possibilità per il Governo di: promuovere la questione di legittimità della legge dinanzi alla Corte costituzionale; ovvero, sollevare la questione di merito per conflitto d’interessi dinanzi alle Camere.
Il nuovo art. 127 Cost. ha invece esteso alle leggi regionali il controllo successivo già previsto per le leggi nazionali:
-         le leggi regionali (approvate e promulgate) possono essere impugnate dal Governo dinanzi alla Corte costituzionale, per questioni di competenza, entro sessanta giorni dalla pubblicazione;
-         le leggi nazionali (approvate e promulgate) possono essere impugnate dalle Regioni dinanzi alla Corte costituzionale, per questioni di competenza, entro sessanta giorni dalla pubblicazione.
Com’era intuibile, il nuovo bilanciamento dei rapporti tra Stato e Regioni ha dato vita a un’intensa conflittualità, che ha comportato un significativo aumento dei ricorsi statali e regionali alla Corte costituzionale contro, rispettivamente, le leggi regionali e le leggi statali accusate di violare la ripartizione delle competenze.
 
 
3.2. La proposta riforma del sistema delle autonomie: nuova distribuzione di competenze tra Stato e Regioni, Senato federale
Al fine di mettere “ordine nella conflittualità”, la revisione costituzionale ora sottoposta a referendum si propone di:
-   distribuire diversamente le competenze tra Stato e Regioni;
-   istituire il Senato federale quale luogo istituzionale di risoluzione dei conflitti di competenza tra Stato e Regioni, anche per diminuire il carico di lavoro della Corte costituzionale.
A coronamento dell’intenzione di ricondurre a concordia i rapporti tra Stato e autonomie, sarebbero introdotti nell’art. 114 Cost. i principî di leale collaborazione e di sussidiarietà.
Peraltro, con asimmetrica innovazione, lo Statuto della Regione Lazio potrebbe conferire a Roma capitale forme e condizioni particolari di autonomia (art. 114, terzo comma, Cost.), mentre sarebbe invece abolita la possibilità del conferimento di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni ordinarie (art. 116 Cost.).
In accoglimento di un’istanza della Lega Nord, il nuovo comma 4 dell’art. 117 Cost. conferirebbe quindi alle Regioni la potestà legislativa esclusiva nelle seguenti materie:
a)     assistenza e organizzazione sanitaria;
b)     organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche;
c)     definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione;
d)     polizia amministrativa regionale e locale.
Sarebbe contestualmente soppressa dall’elenco delle competenze concorrenti (art. 117, terzo comma, Cost.) la materia “tutela della salute”, mentre diverrebbe competenza esclusiva dello Stato legiferare in tema di “norme generali sulla tutela della salute; sicurezza e qualità alimentari” (art. 117, secondo comma, lettera m-bis), Cost.).
Si tratta di una lampante contraddizione di sistema della revisione costituzionale.
Infatti, due competenze esclusive (una statale e una regionale) nella stessa materia, potendo lo Stato definire la cornice (le “norme generali”) e le Regioni il dettaglio, sono di fatto una competenza concorrente.
Se la riforma non prevedesse anche l’istituzione del “bicameralismo asimmetrico”, la trasformazione della materia della salute da concorrente in via di diritto a concorrente in via di fatto non avrebbe apprezzabili conseguenze pratiche.
La questione è che (come meglio vedremo al punto 5) nelle materie di legislazione concorrente avrebbe potestà legislativa il Senato federale, mentre nelle materie di legislazione statale esclusiva (pur se concorrente in via di fatto) sarebbe competente la Camera dei deputati.
In altri termini, la materia “tutela della salute” non vedrebbe nel Senato federale il preteso luogo naturale di raccordo e contemperamento delle istanze statali e regionali, in palese contraddizione con le motivazioni dell’istituzione del Senato federale.
Tra l’altro, la competenza in tema di “norme generali sulla tutela della salute; sicurezza e qualità alimentari” si sovrapporrebbe a quella, già esistente all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Se (quantomeno) le due sovrapposte competenze dovessero essere esercitate dalla stessa assemblea legislativa, non sorgerebbe alcun problema. Invece, secondo la nuova versione dell’art. 70 Cost., la competenza sarebbe sfalsata, spettando la determinazione dei livelli essenziali alla legge bicamerale.
Anche in materia di istruzione la riforma mancherebbe fatalmente l’obiettivo di mettere “ordine nella conflittualità”.
Alle attuali competenze – esclusiva statale per la determinazione di “norme generali sull’istruzione” (art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.) e concorrente in tema di “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale” (art. 117, terzo comma, Cost.) – si aggiungerebbe infatti quella esclusiva regionale (esplicita e non più residuale) in materia di “organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” (art. 117, quarto comma, lettera b), Cost.).
La Camera dei deputati si occuperebbe quindi delle “norme generali sull’istruzione”, il Senato federale di “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”, le Regioni di “organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”.
Sarebbe infine reintrodotto, all’art. 127 Cost., il concetto di “interesse nazionale” per consentire al Governo di impugnare le leggi regionali senza passare dalla Corte costituzionale.
Il Governo, infatti, qualora ritenesse l’interesse nazionale della Repubblica pregiudicato da una legge regionale o da una sua parte:
-   entro quindici giorni dalla sua pubblicazione potrebbe invitare la Regione a rimuovere le disposizioni pregiudizievoli;
-   qualora entro i successivi quindici giorni il Consiglio regionale non rimovesse la causa del pregiudizio, il Governo, entro gli ulteriori quindici giorni, potrebbe sottoporre la questione al Parlamento in seduta comune che, entro gli ulteriori quindici giorni, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, potrebbe annullare la legge o sue disposizioni;
-   il Presidente della Repubblica, entro i successivi dieci giorni, dovrebbe emanare il conseguente decreto di annullamento.
 
 
4. La nuova composizione dei due rami del Parlamento
La composizione della Camera dei deputati e del Senato federale muterebbe in due fasi.
Con la prima legislatura successiva all’entrata in vigore della riforma (dunque, salvo scioglimenti anticipati, nel 2011):
-   la Camera dei deputati continuerebbe a essere composta da seicentotrenta deputati, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero;
-   il Senato federale si comporrebbe di trecentonove senatori eletti in Italia da tutti gli elettori (essendo soppressi i sei senatori eletti nella circoscrizione Estero) e dei senatori a vita;
-   il Senato federale sarebbe ancora eletto contestualmente alla Camera dei deputati;
-   troverebbero applicazione le leggi elettorali vigenti al momento dell’entrata in vigore della revisione costituzionale (ovvero quelle con cui si è votato nel 2006, che hanno soppresso i collegi uninominali in favore delle liste bloccate di candidati predestinati all’elezione), cristallizzate (disp. trans., comma 7);
-   parteciperebbero all’attività del Senato federale, ma senza diritto di voto, quarantadue rappresentanti delle Regioni e Province autonome.
Con la seconda legislatura successiva all’entrata in vigore della riforma (dunque, salvo scioglimenti anticipati, nel 2016):
-   la Camera dei deputati sarebbe composta da cinquecentodiciotto deputati (prima erano seicentotrenta), diciotto dei quali eletti nella circoscrizione Estero (prima erano dodici), nonché dai deputati a vita (gli ex presidenti della Repubblica, di diritto, più altri tre di nomina presidenziale); l’età minima dei deputati scenderebbe a ventun anni;
-   il Senato federale si comporrebbe di duecentocinquantadue senatori eletti (la volta precedente sarebbero stati trecentonove), oltre ai quarantadue osservatori senza diritto di voto in rappresentanza di Regioni e Province autonome; l’età minima dei senatori scenderebbe a venticinque anni;
-   i senatori sarebbero eletti contestualmente ai Consigli regionali, le cui legislature, per l’occasione (e in spregio al proclamato rispetto delle autonomie), sarebbero prolungate (se durate più di trenta mesi alla data di primo rinnovo delle Camere) ovvero troncate (se durate meno) per assicurare la contestualità dell’elezione (disp. trans., comma 4, lettere c) e d), e comma 5);
Chiaramente, in caso di scioglimento anticipato di un Consiglio regionale, decadrebbero anche i senatori eletti nella Regione.
È il caso di ricordare che, nel corso delle letture parlamentari sulla legge, il numero di deputati e senatori era stato addirittura ridotto, rispettivamente, a quattrocento e duecento: con il tempo, ma soprattutto grazie a trattative interne alla coalizione allora maggioritaria, il Parlamento è poi giunto a più miti consigli.
Occorre infine segnalare che il divieto di vincolo di mandato per i parlamentari, pure formalmente confermato all’art. 67 Cost. dalla revisione costituzionale, subirebbe nel caso dei deputati una consistente implicita deroga, in ragione dei nuovi meccanismi fiduciari, che porterebbero a estreme conseguenze il dovere di obbedienza al Primo ministro dei deputati (eletti con il sistema delle liste di partito bloccate) di maggioranza.
 
 
5. La nuova ripartizione di competenze tra Camera e Senato federale
Il nuovo art. 70 (che troverebbe applicazione nel 2011 o, in caso di scioglimento anticipato della legislatura, prima), ispirandosi liberamente a ordinamenti costituzionali stranieri (principalmente, quello francese della V Repubblica e quello della Repubblica federale tedesca), intenderebbe porre fine al cd. bicameralismo perfetto.
Difficilmente, però, dei petali strappati a fiori diversi possono formare altro che una natura morta, così come non necessariamente assemblando parti funzionanti di diverse macchine si riesce a ottenere una macchina nuova e funzionante.
 
5.1. Segue: il “bicameralismo asimmetrico”
Negli ordinamenti costituzionali europei con Parlamento bicamerale (non negli Stati Uniti, dove vige il bicameralismo perfetto e nessuno se ne lamenta), la volontà della Camera eletta a suffragio universale diretto prevale normalmente su quella dell’altra.
Pur con diversa regolamentazione delle procedure, l’assemblea legislativa prevalente è la Camera dei Comuni in Gran Bretagna, l’Assemblea Nazionale in Francia, il Bundestag in Germania, il Congresso in Spagna. L’altra assemblea legislativa (normalmente denominata “camera alta”) può ritardare l’approvazione delle leggi, ma non impedirla (salvo rari casi).
Nel “bicameralismo asimmetrico” di questa riforma sgangherata, invece, la volontà della Camera dei deputati o del Senato federale prevarrebbe su quella dell’altra Assemblea in base a una tutt’altro che certa ripartizione di competenze per materia.
La Camera dei Deputati eserciterebbe il potere legislativo nelle materie di competenza esclusiva statale (indicate all’art. 117, secondo comma). Il Senato federale, entro trenta giorni dall’approvazione (quindici in caso di disegni di legge di conversione di decreti-legge), potrebbe proporre modifiche alla legge. La Camera deciderebbe quindi in via definitiva.
Il Senato federale eserciterebbe il potere legislativo nelle materie di competenza concorrente Stato-Regioni (indicate all’art. 117, terzo comma). La Camera, entro trenta giorni dall’approvazione (quindici in caso di disegni di legge di conversione di decreti-legge), potrebbe proporre modifiche alla legge. Il Senato federale deciderebbe quindi in via definitiva.
Detto così, il sistema potrebbe apparire più che armonioso. Come visto sopra, tuttavia, la delimitazione delle competenze è tutt’altro che matematica.
La questione non è sfuggita neppure agli autori della riforma, che infatti, per risolvere i conflitti di competenza tra le due Camere, hanno previsto che i presidenti delle due Assemblee, caso per caso:
-   possano, d’intesa fra loro, decidere a quale Camera spetti la competenza;
-   possano, in alternativa, deferire la decisione a un comitato paritetico composto da quattro deputati nominati dal presidente della Camera e da quattro senatori nominati dal presidente del Senato, e presieduto non si sa da chi (in caso di parità di voti, non sembra potersi avere alcun lodo).
La decisione dei due presidenti o del comitato paritetico non sarebbe sindacabile in alcuna sede, ovvero neppure da parte della Corte costituzionale, in deroga inespressa all’art. 134 della Costituzione, che elenca, tra le competenze della Corte, quella di giudicare non soltanto sulla legittimità costituzionale delle leggi, ma anche sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato.
Quanto dianzi detto vale, chiaramente, soltanto nel caso in cui i due presidenti o gli otto delegati di questi si mettano d’accordo sull’attribuzione della competenza legislativa nel caso specifico.
Se l’accordo non fosse raggiunto (ipotesi più che probabile, non soltanto in caso di presidenti espressione di maggioranze diverse), Camera e Senato potrebbero legiferare in piena libertà in ogni materia, anche se palesemente di competenza dell’altra camera. L’altra Assemblea, entro trenta giorni potrebbe esprimere il proprio dissenso. L’Assemblea procedente (cioè quella che avesse assunto l’iniziativa di legiferare per prima) potrebbe approvare senza ostacoli la legge.
Resterebbero soltanto il controllo, preventivo, del Presidente della Repubblica (art. 74) o quello, successivo, della Corte costituzionale (art. 134).
Il Presidente della Repubblica, infatti, prima di promulgare la legge, potrebbe ancora (com’è attualmente previsto), con messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione. Tuttavia, se le Camere, “secondo le rispettive competenze”, approvassero nuovamente la legge, questa dovrebbe essere promulgata. Sempre che la Camera che ha esercitato la competenza legislativa spettante all’altra non riconosca il proprio straripamento di competenze, il problema si riproporrebbe immutato, senza che il presidente della Repubblica possa più fare alcunché.
La Corte costituzionale, come si è visto prima, decide della legittimità delle leggi ordinarie, sia nazionali che regionali. Le questioni di legittimità, al momento, possono però essere sollevate sia, in via incidentale, nel corso di un giudizio, sia, in via principale, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge, da parte del Governo in caso di legge regionale eccedente la competenza legislativa della Regione, e da parte di una Regione in caso di legge nazionale eccedente la competenza legislativa dello Stato.
In mancanza di una modifica delle norme di procedura, nel caso di competenze contese tra Camera e Senato federale non risolte con il lodo (insindacabile) dei presidenti delle Assemblee o dei loro delegati, la Corte costituzionale potrebbe essere chiamata a esprimersi, ma verosimilmente soltanto in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
 
 
5.2. Segue: il bicameralismo perfetto
In base all’art. 70, terzo comma, Cost. il potere legislativo continuerebbe a essere esercitato collettivamente dalle due camere per l’esame dei disegni di legge concernenti:
-   le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale) e p) (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, ordinamento della Capitale) e 119;
-   l’esercizio delle funzioni di cui all’art. 120, secondo comma;
-   il sistema d’elezione della Camera dei deputati e del Senato federale;
e, inoltre, nei casi di cui agli articoli 117, commi quinto e nono, 118, commi secondo e quinto, 122, primo comma, 125, 132, secondo comma, e 133, secondo comma.
Se un disegno di legge non fosse approvato dalle due Camere nel medesimo testo, i Presidenti delle Camere potrebbero convocare, d’intesa fra loro, una Commissione composta di trenta deputati e trenta senatori, incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto finale delle due assemblee.
La procedura di conciliazione si fermerebbe qui: dunque, nel caso di mancato accordo delle due assemblee sul testo proposto dalla Commissione, la legge contesa non riuscirebbe a vedere la luce.
In diritto amministrativo, una siffatta procedura di conciliazione sarebbe considerata un inutile aggravio procedurale!
La procedura di conciliazione disciplinata dalla Costituzione della V Repubblica francese (artt. 45e 46) prevede invece, in caso di stallo, una via d’uscita: dopo ulteriore lettura in entrambe le Camere, il Governo può chiedere all’Assemblea nazionale di decidere definitivamente (a maggioranza semplice in caso di leggi ordinarie, a maggioranza assoluta dei componenti in caso di leggi organiche).
È soltanto una delle tante occasioni di riforma mancate dagli autori di questa fantasiosa revisione costituzionale.
 
 
6. Nomina del Primo ministro e formazione del Governo
Con la modifica costituzionale, verrebbe introdotto il cd. “premierato”, con implicita rinuncia sia al modello presidenzialista americano, sia a quello semipresidenzialista francese (vigenti e convalidati da una consolidata pratica).
Non sarebbe, tra l’altro, prevista l’elezione diretta del primo ministro, ma solo una sua designazione preventiva nell’ambito delle coalizioni di partiti proposte agli elettori per l’elezione della Camera dei deputati.
La libertà di scelta del Parlamento sulla legge elettorale sarebbe del resto pesantemente condizionata. Infatti, la legge elettorale dovrebbe ormai disciplinare l’elezione dei deputati “in modo da favorire la formazione di una maggioranza, collegata al candidato alla carica di Primo ministro” (art. 92, secondo comma, Cost.).
È evidente che la norma costituzionale è stata scritta avendo in mente i sistemi elettorali che attribuiscono dei premi di maggioranza al partito o alla coalizione vincente (come l’attuale sistema per l’elezione della Camera dei Deputati, per fare un esempio).
Tale vincolo costituzionale escluderebbe quindi non soltanto un uninominale maggioritario all’inglese o alla francese, ma anche un sistema proporzionale puro (con o senza soglia di sbarramento per l’accesso alla ripartizione dei seggi).
La candidatura alla carica di Primo ministro avverrebbe dunque mediante collegamento con una o più liste di candidati all’elezione della Camera dei deputati.
Il Presidente della Repubblica dovrebbe quindi nominare il Primo ministro “sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati” (art. 92, terzo comma, Cost.).
I ministri sarebbero invece nominati e revocati dal Primo ministro (art. 95, primo comma, Cost.).
Entro dieci giorni dalla nomina (art. 94, primo comma, Cost.), il Primo Ministro dovrebbe illustrare sia alla Camera sia al Senato federale il programma di legislatura e la composizione del Governo, mentre la sola Camera dei Deputati si dovrebbe esprimere con un voto sul programma (la fiducia al Governo sarebbe quindi presunta).
 
 
7. I poteri del Primo ministro
Il Primo ministro avrebbe il compito e la responsabilità di determinare la politica generale del Governo, e inoltre di garantirne l’unità d’indirizzo politico e amministrativo, dirigendo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri (attualmente, il Presidente del Consiglio “dirige” la politica generale del Governo).
Il Primo ministro disporrebbe inoltre di poteri rafforzati nei confronti del Parlamento e del Presidente della Repubblica.
 
7.1. Segue: la facoltà di sottrarre al Senato la potestà legislativa di sua competenza e quella di imporre alla Camera dei deputati il voto bloccato su un disegno di legge
In base al nuovo art. 70, quarto e quinto comma, Cost., il Governo, qualora ritenesse che proprie modifiche ad un disegno di legge, di competenza del Senato federale, fossero essenziali per l’attuazione del suo programma, potrebbe, previa autorizzazione del Capo dello Stato, promuovere una nuova deliberazione del Senato ed eventualmente chiedere che la Camera si esprima in via definitiva, a maggioranza assoluta, sottraendo così la competenza sulla materia al Senato federale.
L’autorizzazione del Presidente della Repubblica dovrebbe avere a oggetto esclusivamente le modifiche proposte dal Governo e approvate dalla Camera in sede di esame della legge già approvata dal Senato federale
In base all’art. 72, quinto comma, Cost., il Governo potrebbe chiedere:
-   prima, che siano iscritti all’ordine del giorno delle Camere e votati entro tempi certi, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, i disegni di legge presentati o fatti propri dal Governo stesso;
-   poi, che, decorso il termine, la (sola) Camera dei deputati deliberi articolo per articolo e con votazione finale sul testo proposto o fatto proprio dal Governo.
 
7.2. Segue: le questioni di fiducia e le mozioni di sfiducia alla Camera dei deputati
In primo luogo (art. 94, secondo comma, Cost.), il Primo ministro potrebbe porre la questione di fiducia su tutti i disegni di legge (salvo quelli costituzionali e di revisione costituzionale) e chiedere che la Camera dei deputati si esprima, con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo, nei casi previsti dal suo regolamento, con votazione per appello nominale. In caso di voto contrario, il Primo ministro si dovrebbe dimettere.
 
Il governo Berlusconi, nella relazione d’accompagnamento al DDL 2544, fondava tale inesorabile potere del primo ministro sul presupposto della “costituzionalizzazione del programma di governo, quale atto non solo politicamente ma anche giuridicamente rilevante e dunque tale da «imporsi» come direttiva guida per tutti i parlamentari di maggioranza nonché per gli stessi componenti della compagine governativa”.
 
Si impongono alcune brevi considerazioni:
-   la possibilità per il Primo ministro di imporre alla Camera il voto-suicidio sarebbe pienamente libera e neppure formalmente vincolata al programma di governo;
-   già al momento del voto è dubbio che si possa rinvenire nei dettagli la proposta programmatica della coalizione vincente: a maggior ragione, non si vede come a decisioni correlate a eventi successivi (crisi internazionali, economiche, procedimenti giudiziari, etc.) possa essere applicata tale procedura;
-   sarebbe stato comunque meno ipocrita attribuire al governo la facoltà di sostituirsi alla Camera, a proprio insindacabile giudizio, nell’esercizio della potestà legislativa.
In secondo luogo (art. 94, terzo e quarto comma, Cost.), almeno un quinto dei deputati potrebbero presentare una mozione di sfiducia al Governo. In caso di approvazione della mozione di sfiducia da parte della Camera dei deputati, per appello nominale, a maggioranza assoluta dei componenti, il Primo ministro si dovrebbe dimettere e il Presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere la Camera dei deputati e indire le elezioni.
 
Il Primo ministro dovrebbe dimettersi altresì qualora la mozione di sfiducia fosse stata respinta con il voto determinante di deputati (anche uno solo) non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni. In tale caso si applicherebbe l’articolo 88, secondo comma, Cost. (mozione di fiducia costruttiva).
 
7.3. Segue: i casi di automatico scioglimento della Camera dei deputati e le mozioni di sfiducia e fiducia costruttiva
Il Presidente della Repubblica (art. 88, primo comma, Cost.) dovrebbe sciogliere la Camera in quattro casi:
a)   su richiesta del Primo Ministro, che ne assumerebbe la esclusiva responsabilità;
b)   in caso di morte o impedimento permanente del Primo Ministro;
c)   in caso di dimissioni del Primo Ministro;
d)   in caso di approvazione di una mozione di sfiducia al governo.
Tuttavia (art. 88, secondo comma, Cost.), nei primi tre casi il Presidente della Repubblica non potrebbe sciogliere la Camera se, entro 20 giorni, fosse presentata e approvata dalla maggioranza espressa dalle elezioni, in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, una mozione (di fiducia costruttiva) nella quale si dichiarasse l’intenzione di voler continuare nell’attuazione del programma e si indicasse il nome di un nuovo Primo Ministro. Il Presidente della Repubblica dovrebbe conseguentemente nominare il nuovo Primo ministro designato.
Inoltre (art. 94, comma quinto, Cost.), qualora fosse presentata e approvata una mozione di sfiducia (costruttiva), con la designazione di un nuovo Primo ministro, da parte dei deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, il Primo ministro si dovrebbe dimettere e il Presidente della Repubblica dovrebbe nominare il Primo ministro designato dalla mozione.
 
 
8. Le modalità d’elezione e i poteri del Presidente della Repubblica
Il nuovo articolo 87, primo comma, Cost. così reciterebbe:
 “Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato, rappresenta la Nazione ed è garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica”.
Questo è tra l’altro l’unico punto, in tutta la Costituzione, in cui la Repubblica sarebbe definita come “federale”. 
L’età minima richiesta per poter essere eletti alla Presidenza della Repubblica scenderebbe da cinquanta a quarant’anni.
Il Presidente sarebbe eletto dall’ “Assemblea della Repubblica” (una variante dell’attuale Parlamento in seduta comune integrato dai rappresentanti regionali), composta:
-   da deputati e senatori (rispettivamente, da 630 a 518 membri, oltre i deputati a vita, e da 315 a 252 membri, oltre i senatori a vita);
-   dai Presidenti delle giunte regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen (22 membri);
-   da 1 delegato del Consiglio regionale della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;
-   da 2 delegati per ogni altro Consiglio regionale (38 membri);
-   da un ulteriore delegato regionale in ragione di un delegato per ogni milione di abitanti nella Regione (in base al censimento Istat 2001 sarebbero ulteriori 48 delegati regionali).
Il quorum richiesto per l’elezione scenderebbe gradualmente:
-   per i primi tre scrutini (come ora) sarebbe necessaria la maggioranza dei 2/3 dei componenti dell’Assemblea della Repubblica;
-   nel quarto e quinto scrutinio sarebbe richiesta la maggioranza dei 3/5 dei componenti;
-   dal sesto scrutinio in poi sarebbe sufficiente la maggioranza assoluta dei componenti.
 
Emilio Colombo e Federico Fischer

(da Notizie radicali, 21/06/2006)


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