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Lidia Menapace. Femminicidio. E femminicidio “all'italiana”
10 Agosto 2016
 

Sembra che a molti patriarchi anche gentili risulti difficile capire che cosa vuol dire la parola, che indica un reato grave, ovviamente. Vuol dire un omicidio, cioè l'uccisione di un essere umano di genere femminile con la motivazione che la persona uccisa è una donna. Si potrebbe dire con plausibile approssimazione che si ha femminicidio quando una donna viene uccisa perché donna. Non esiste il reciproco, dato che omicidio significa uccisione di persona umana generica e una ventina d'anni fa le N.U. dichiararono che le donne sono umani di genere femminile.

Trovo una somiglianza con l'uccisione del “nemico” in guerra, che addirittura è un merito e un vanto e produce promozioni e medaglie, solo perché l'ucciso/a è definito “nemico”.

Prima di accennare l'iter della definizione di questo reato, voglio aggiungere che la sua insorgenza è segno di una profonda crisi del sistema di vita e valori vigente sul pianeta.

La storia incomicia meno di vent'anni fa: da Ciudad Juarez (Messico) donne ricorrono alle N.U., Consiglio di sicurezza, per denunciare un fatto nuovo e in aumento: numerose donne vengono uccise dai loro mariti conviventi fidanzati, “solo” perché donne. La loro “colpa” è di voler interrompere un rapporto più o meno “regolare” e tornare libere di disporre di sé: sembra una richiesta addirittura ovvia. Ma siccome nella lunga difficile lotta contro la violenza sessuale ci ricordiamo che nel codice Rocco vi era il “delitto d'onore” quasi impunito e addirittura il “matrimonio riparatore” che “estingueva” il reato di “violenza carnale” e trattava il corpo di una donna come una merce che perde valore se non è vergine, non ci siamo poi troppo stupite.

Fatto sta che nel mondo in poco tempo si raccolsero 10 milioni di firme per chiedere che si definisse internazionalmente come reato l'uccisione di una donna perché intende interrompere un rapporto. La Convenzione di Istanbul definì tutto ciò Femminicidio e i femminicidi sono ormai raccolti nelle statistiche criminali. E ovunque in aumento.

A questo punto affermo che in Italia (il nostropaese approvò subito Istambul e poi non ne fece nulla) è in corso una forma di femminicidio simbolico, che può precedere la “giustificazione” di quello reale.

Osservo che i dibattiti che occupano dopo cena, in prima serata soprattutto, gli schermi televisivi; e che sono le trasmissioni politicamente seguite, che formano l'opinione pubblica ecc. sono popolate esclusivamente da maschi, tutti e solo maschi quelli che trovano posto al tavolo degli invitati, qualche raro volto femminile compare come giornalista inviata, cioè in una funzione in qualche misura subalterna e tenuta a raccogliere le opinioni altrui, non ad esprimerne una propria, ma a sostenere quella della redazione.

I maschi invitati possono dire tutte le scemenze che gli vengono in testa e -ad esempio- c'è chi campa conoscendo del Corano solo un versetto e lo ripete a vanvera senza che nessuno gli chieda se conosce gli apporti della grande cultura araba in fatto di matematica astronomia trigonometria e nella navigazione, di molti nomi di stelle e di posizioni di esse in cielo come zenit e nadir e se sanno che scirocco è il nome arabo di un vento che i Romani chiamavano favonio (divenuto poi in tefesco Foehn) e che Dante considerava Averroé quello che fece “il gran comento” ad Aristotele, dato che in Europa la grande cultura classica greca fu resa nota appunto dagli Arabi, che la tradussero dal greco in arabo e anche in latino, sicché si poté leggere ciò che essendo in greco né Dante né Boccaccio avrebbero potuto capire ecc.ecc. E se per caso non ci stiamo dimenticando che cosa abbiamo fatto noi europei cristiani appunto nel mezzo del più splendido Rinascimento conquistando il Nuovo mondo e portandovi -dopo aver distrutto persino il nome delle culture precolombiane- la schiavitù. Ma poi se ci ricordiamo che la mirabile civiltà europea ha dato i natali a un certo Hitler. E anche a Mussolini Franco Salazar e Stalin.

 

 

Femminicidio “all'italiana”

 

Mi pare di poter osservare che nel nostro paese si stia profilando un femminicidio con caratteristiche specifiche, naturalmente caratteristiche marginali, dato che la sostanza resta la stessa: una donna viene uccisa perchè donna che esercita la propria autonomia decisionale rispetto a se stessa.

Sento come in un sottofondo uno svolgimento siffatto: un uomo sposato ha una relazione con una donna che non è sua moglie e le dice che alla moglie ha chiesto il divorzio e che appena lo avrà ottenuto, la sposerà. In verità non si dà da fare né molto né poco per il divorzio e usa con semplicità una specie di bigamia “leggera”. Situazione splendida che non gli porta nessun danno nessuna responsabilità nessun impegno. La cosa potrebbe andare avanti fino a che il prode non si stufa. Ma capita che invece si stufi la donna che a un certo punto capisce di essere gabbata e si ritira rompendo la relazione. Allora tutto va per aria e lui torna ad essere senza ritegno né freni -una volta persa la sua “civiltà”- un selvaggio, come se gli fosse stato rubato un diritto di proprietà e arriva fino ad uccidere spesso orribilmente (la donna bruciata viva nella macchina irrorata di benzina). Prima che il patriarcato incominci a cercare una qualche legge, che getti la colpa sulla solita donna fedifraga, meritevole perciò di punizione, alleggerendo così la pena dell'uomo, e tornando di fatto al “disonore” di essere stato abbandonato, con pena ridotta e divorzio riparatore o simili, converrebbe fare una vera campagna per alleggerire il senso delle relazioni tra uomini e donne: non c'è NULLA che scusi l'assassinio, la vita è il massimo che abbiamo.

 

Lidia Menapace


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