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Andrea Ermano. Chi dice instabile a chi?
Ma sarà poi vero che tra Sì e No si spalanca una specie di baratro finanziario globale?
Ma sarà poi vero che tra Sì e No si spalanca una specie di baratro finanziario globale? 
16 Settembre 2016
 

Quel che stupisce maggiormente, nel merito della gaffe diplomatica, è la stretta correlazione universalmente posta tra stabilità finanziaria e revisione costituzionale.

Ma sarà vero?

 

 

Che male c'è se il Papa, o i cardinali, o il ministro tedesco Schäuble, o la cancelliera Merkel esprimono pareri sull'Italia, com'è e come dovrebbe essere? Viviamo in un modo “molto interconnesso”, come ha riconosciuto non senza sottigliezza il Presidente Mattarella. Quindi, non può sbagliare troppo nemmeno l'ambasciatore degli Stati Uniti quando ci ammonisce a votare Sì al referendum costituzionale che dovrebbe tenersi in una prossima domenica d'autunno quando sarà.

Mr. John Phillips ha detto che “se vince il No sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia”. Tradotto dal linguaggio diplomatico, nelle parole di un autorevole commentatore questo significa che il No rischia di precipitare il nostro Paese nelle sabbie mobili dell'instabilità economico-finanziaria. Sic stantibus rebus, il diplomatico può certo segnalarlo, anche se non sono propriamente affari suoi.

In effetti, anche negli uffici studi delle maggiori agenzie di rating, oltre che nelle cancellerie occidentali, serpeggia la domanda: “Che ne sarà del famigerato spread italiano qualora un No referendario impedisse l'entrata in vigore della Costituzione nuova nei termini stabiliti dalla revisione Renzi-Boschi?”.

Questo interrogativo, giusto o sbagliato che sia nel merito delle cose, è senza dubbio presente intorno a noi e riassume il modo in cui gli altri ci guardano. Perciò, la gazzarra scatenatasi – soprattutto a destra – contro il diritto stesso di esprimersi da parte di un alto rappresentante diplomatico americano è fuori luogo. Ognuno, e ovviamente anche un ambasciatore statunitense, è libero, sul territorio della Repubblica, di esprimere un suo civile punto di vista su qualunque tema egli prescelga, incluso il referendum costituzionale quando sarà.

Quel che stupisce maggiormente, entrando un po' più nel merito di questa vicenda, è la correlazione universalmente posta (e data per scontata) tra stabilità finanziaria e revisione costituzionale. Perché uno, sinceramente, si domanda che cosa c'entra mai lo spread con il superamento del bicameralismo perfetto. Qui i fautori del Sì potrebbero voler fare riferimento al cosiddetto “assalto alla diligenza” che ogni anno a ogni legge finanziaria si ripeteva ai tempi della Prima Repubblica, con opachi palleggi di emendamenti tra Camera e Senato largamente oltre i limiti di spesa.

Ora, a parte che negli ultimi anni tutto questo “assalto alla diligenza” non si vede più: non era già stata costituzionalizzata la norma sul pareggio di bilancio? E la Commissione di Strasburgo non vigila sulla virtù fiscale delle nazioni? Può darsi che questo non basti. Ma basterebbe allora la revisione costituzionale Renzi-Boschi? Non si vede francamente il perché.

Si fa poi fatica a credere che tutti, nel mondo, siano preoccupati dello spread italiano avendo a cuore il benessere degli strati popolari nel nostro Paese. In realtà si preoccupano per ben altri problemi. Dietro alle quinte si sussurra che il rischio Italia, in caso di No al referendum, potrebbe innescare un “effetto domino” sulla finanza mondiale.

Insomma, pare che i grandi investitori globali attendano di sapere se in Italia c'è o non c'è il Senato nuovo prima di decidere di puntare i loro soldi o no sul Belpaese. Investiranno se ci sarà il Senato nuovo, non lo faranno se resterà quello vecchio.

Si fa fatica a crederlo! Ma è quel che ci raccontano.

E allora lasciateci porre la domanda che segue: Chi dice instabile a chi? Perché, intendiamoci, qui l'istituzione globale più instabile di tutte, in tutta la storia umana, è il mercato finanziario. E senza dubbio non c'è una sola persona seria al mondo che possa pensare di attrarre investimenti nel proprio paese modificandone la Carta fondamentale. Anche se proprio questa è la tesi affacciata qualche anno fa da una potente agenzia di rating.

E però un conto è imporre il proprio punto di vista con la forza del potere. Altra cosa è dimostrarne galileianamente la validità grazie ad argomenti ragionevoli e comprensibili.

Allo stato attuale non risulta che le costituzioni europee nate dopo la Seconda guerra mondiale impediscano la crescita economica e la stabilità finanziaria dell'Occidente tardo capitalistico.

Ben altro è il problema.

 

Andrea Ermano

(da L'avvenire dei lavoratori, 15 settembre 2016)


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