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Piero Cappelli: La restaurazione della liturgia di Pio V. Messa in latino.
27 Settembre 2007
 

SEGNO ANTICONCILIARE. Occorre riscoprire i “segni dei tempi” nella storia…Restaurazione. È questo il termine con i quale fu bollata da diversi esponenti della teologia internazionale, dopo pochi mesi la sua elezione, la ‘politica’ pontificia di Giovanni Paolo II.

Oggi, cosa dovrebbero dire gli stessi teologi di quanto sta avvenendo nella Chiesa Cattolica con l’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis? Si ripropone un ritorno al latino liturgico, per chi lo volesse... E questo sotto il nuovo pontefice Benedetto XVI ed ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (ex-sant’Uffizio). Ma è solo un fatto ‘estetico’, di lingua? No. Il problema in sé, quello del latino, seppur con tutte le conseguenze che potrebbero esserci tra cui il disorientamento dei fedeli, non preoccupa. Però si può leggere come un vero e proprio ‘segnale’ che simboleggia una nuova volontà ecclesiastica di come condurre e portare avanti la Chiesa negli anni a venire.

Parlare di ‘mistero’, quando non si comprende niente – oggi come oggi – di fronte a qualcuno che parla una lingua sconosciuta non è certo un eufemismo. L’aureola che si vuol mettere alla lingua latina per darle il carisma di facile veicolo verso la divinità è semmai troppo sacralizzata.

Il realtà il sacro – come d'altronde c’indica lo stesso Rudolf Otto proprio nella sua opera Il sacro –, non passa attraverso il non senso e la mancanza di significato. Senso e significato che si acquisiscono non solo per via intellettiva, ma anche per via spirituale, ma non per questo la parola e la lingua debbono essere assenti alla propria intelligibilità. È invece con il sentirsi immersi nel senso della liturgia – comprendendone il trasporto esperienziale – che la persona riesce a far silenzio dentro di sé e ad accogliere nel suo ‘vuoto interiore’ la profondità del mistero che ‘parla’. Non si toglie niente a chi riesce a vivere questa esperienza ‘mistica’ anche durante la messa in latino. Non è assolutizzando l’una o l’altra, come esclusive esperienze del ‘mistero divino cattolico’, che si aiutano i fedeli ad incontrare la profondità della spiritualità cristiana. Infatti tutte le religioni hanno il loro spazio sacro e i loro metodi per riuscire a mettersi nella condizione di ‘visitarlo’ di farne esperienza. Una dimensione più comune è quella della meditazione profonda che trova spazi ecumenici di comunione ascetica tra i diversi fedeli anche di religioni diverse. Voler caricare sul latino la dimensione eccezionale della profondità spirituale cattolica può valere molto per il celebrante che può sentirsi in sintonia con questa espressività liturgica, ma ciò non può esserlo per chi non riesce a vivere e a comprendere un ‘ritorno al passato’ di questo genere. Certo è che il cattolico si può immergere e ‘risvegliare’ nel contesto mistico-liturgico anche se non comprende il significato della lingua, ma solo per fede si pone di fronte al mistero divino del miracolo eucaristico e lì sentirsi in comunione con i fratelli presenti e con la Chiesa. E ciò può accadere lo stesso anche nella partecipazione ad una messa cattolica in una lingua diversa dalla propria ed incomprensibile su tutto: vi potremmo partecipare solo in virtù della propria fede, certo che ciò che sta accadendo fa parte anche della comune Tradizione. Come fedele in ‘ascolto’ del mistero divino che si realizza su quella mensa, lì in quel momento.

Il fascinas ed il misterium tremendum che s’incontrano nella dimensione trans-personale in una tensione ascetico-mistica non sono unicamente propri della lingua latina liturgico-cattolica, ma spaziano oltre le formule e oltre le culture, per andarsi ad incontrare nell’esperienza inter-spirituale ed inter-religiosa delle diverse forme d’espressione del sacro e del divino.

Comunque c’è altro. Perché, come si vede e come si realizzerà, non ci saranno molte comunità che chiederanno al vescovo di celebrare la messa in latino. E si potrebbero avere, da una parte, ulteriori divisioni e lacerazioni in seno alle Chiese locali. Dall’altra però si potrebbero vedere anche molti fedeli, che gravitano ancora vicino al movimento di mons. Marcel Lefevre, riavvicinarsi alla Chiesa di Roma anche solo per la messa in latino.

Quel che ci sembra possa contare invece sono e saranno i risvolti ‘ideologici’. Infatti, sembra di leggere una nuova volontà di ‘restaurare’ e correggere quanto la riforma di Paolo VI ha avuto modo di realizzare in campo liturgico come conseguenza logica di ciò che la Lumen Gentium e soprattutto la Gaudium et Spes hanno sintetizzato nella nuova dimensione dell’essere Chiesa nel mondo come Popolo di Dio. Oggi, con la nuova dirigenza ecclesiastica cattolica non si riuscirà lo stesso a fare grandi ‘correzioni’, ma sembra che si voglia ripartire per correggere il Concilio Vaticano II e la sua interpretazione. L’‘aggiornamento’ – parola tanto cara a Giovanni XXIII – vuol dire riscoprire che la presenza dell’essere Chiesa non è per se stessa, ma dell’esserlo solo perché ‘inviata’ come «segno» e «strumento» del suo Signore in seno al mondo, agli uomini e alle donne di ogni tempo. E proprio perché questa sua ‘forma’ deve, ed ha a che fare con i cambiamenti temporali e culturali, dovrà sapersi ‘aggiornare’ nella logica del “sapersi perdere, per sapersi ritrovare”, cioè con l’Amore. Altrimenti con l’arroccamento e la chiusura esclusiva si emargina da sola. Quindi, il rifugiarsi nel latino liturgico per ritornare e ritrovare un antico ed in parte illusorio spazio mistico, significa non voler accogliere il ‘nuovo’ che ci viene continuamente donato dalla Grazia come “segno dei tempi” che si realizzano nella storia degli uomini e delle donne di questo nostro mondo, nelle diverse peculiarità culturali.

Saper affrontare il ‘nuovo’ di ogni tempo sapendo coniare continuamente metodi e linguaggi aggiornati per ri-proporre ed annunciare il Messaggio evangelico è – in sintesi – l’ineludibile scommessa missionaria di ogni discepolo e della Chiesa. Saper ascoltare e saper accogliere, senza giudicare, annunciando l’Amore al mondo – quale linguaggio umano di comunione – è il punto di forza di una Fede che diventa comunicazione oltre lo spazio ed oltre il tempo.

 

Piero Cappelli


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