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Bruna Spagnuolo: Barack Obama ovvero politico come esempio, politico come personaggio
22 Settembre 2008
 

Come i dolci attirano le mosche, la fama attira la curiosità e l’invidia (e… l’immancabile afflusso dei ‘cacciatori di taglie’ che, oggi come ieri, sono ansiosi di caricarsi addosso più carcasse che possono e di lucrare su di esse). Più famoso di una rock star (come hanno scritto in molti), oggi, Barack Obama concentra attorno a sé l’interesse dei Media (e non solo). La curiosità che un personaggio di tale portata suscita nella gente è inevitabile, ma nasconde anche un gioco al massacro non avulso da interessi sotterranei. Chi crede nella stretta di mano delle persone e nei messaggi leggibili a tutto sguardo, dietro le parole pronunciate, non ha bisogno di scavare; sa che ogni persona è un’opera in divenire e valuta semplicemente lo stadio presente del valore-peso-aspetto-passi-parole-azioni del ‘giudicato’ del momento. Chi scava (non si aspetta certo di trovare fiori) è a caccia quanto meno di terra (o, meglio, di fango) ed è sicuro di non uscirne mai a mani vuote (perché, se così fosse, ‘truccherebbe’ un qualsiasi evento di infima importanza da ‘scandalo’ roboante, id est da ‘taglia’ redditizia). Detti ‘cacciatori’, nel caso di Obama, hanno avuto la ‘gioia’ di trovare due ‘nei’ giovanili (cocaina e alcol) , un ‘neo’ attuale (il vizio del fumo) e… (udite, udite…) una ‘rima’ del nome con quello di Osama e un terzo nome (Hussein) come quello di Saddam. Poco importa che Barack, in Ki-swahili, voglia dire ‘benedetto da Dio’. Pare che Obama non abbia dalla sua parte neppure i Neri dei ghetti (men che meno loro, che non s’identificano con un avvoccato laureato a Harvard/ già senatore a 42 anni/ a 45 anni già candidato alla presidenza degli USA. Povero Obama, mancava solo che la stanchezza lo desse in pasto ai Media, in un momento di distratta debolezza, in cui dimenticava di lasciare nel setaccio le parole ‘a rischio’ e di ‘servire’ al pubblico solo quelle ‘sterili’ (e il mondo, invece di preoccuparsi delle problematiche cruciali che affliggono la vita umana, che fa? Si scandalizza di aver sentito l’aspirante presidente americano pronunciare prima la parola “mussulmana” e poi la parola “cristiana”). A molti quelle due parole possono essere sembrate una cosa blasfema e un motivo valido per dubbi e disistima; a me, al contrario, sono sembrate la caratteristica di un uomo che (proprio per questo) meriterebbe di essere alla guida della grande America. Ha risposto a ‘quella’ particolare domanda matter of fact e con l’aria pensosa e distratta di chi avesse in mente cose ben più gravi e importanti. Il succo della questione è esattamente questo: mussulmana o cristiana che sia la religione che egli professa (o non professa, perché, forse, non è un praticante), è di secondaria importanza e nulla ha (o dovrebbe avere) a che vedere con la sua campagna elettorale. Il presidente più potente del mondo al mondo dovrebbe avere lo sguardo rivolto e non a questa o a quella religione; al popolo intero della sua nazione dovrebbe essere interessato e non a questa o a quella delle razze che lo compongono (o alle loro singole religioni). L’ottica di una persona che ha viaggiato, che ha interiorizzato religioni e culture altre (oltre alle proprie) ha orizzonti ampi e sorvola sui piccoli stagni, ma, alas, temo che saranno proprio quelli la sua Waterloo.

   

   Obama è figlio di un “Negro” del Kenya e di una “Bianca” del Kansas; è nato alle Hawaii; è cresciuto in Indonesia; ha studiato a Harvard; ha fatto l’avvocato a Chicago; nel ’92 ha portato a Clinton circa 100.000 voti; nel ’93 ha appoggiato l’elezione al senato di Carol Moseley Braun (prima donna afro-americana senatrice); è stato senatore dell’Illinois per sette anni; nel 2003 ha criticato la guerra (e le sue nefaste conseguenze); nel 2004, alla convention democratica, nel discorso-piattaforma del congresso del partito, ha detto: “Non c’è un’America nera, un’America bianca, un’America latina e un’America asiatica: ci sono gli Stati Uniti d’America”. La sua vittoria al senato federale risale al 2004. Ha prodotto 152 disegni di legge e risoluzioni presso il 109° congresso nel 2005 e nel 2006 e ne ha appoggiato 427. Il suo primo disegno di legge si proponeva l’aumento delle borse di studio (Pell Grant) in favore degli studenti provenienti da famiglie a basso reddito (la commissione non permise a tale DDL di raggiungere il senato e di poter essere votato).

   

   Il suo discorso più recente dice: “Negli ultimi giorni abbiamo visto cosa c’è in ballo in queste elezioni. Le notizie da Wall Street hanno scosso la fiducia dell’America nella nostra economia. La situazione dei Lehman Brothers e di altre istituzioni finanziarie è l’ultima di una serie di ondate di crisi che hanno generato tremende incertezze sul futuro dei nostri mercati finanziari. Questa è una minaccia possente alla nostra economia e alla sua capacità di creare lavoro ben pagato e di aiutare i lavoratori americani a pagare i conti, risparmiare per il futuro e pagare i loro ammortamenti. Da quando questa baraonda è cominciata, un anno fa, il mercato delle case è crollato. Fannie Mae e Freddie Mac hanno dovuto essere rilevati dal governo. Tre delle più grandi banche americane d’investimento sono fallite o hanno dovuto essere vendute in difficoltà. Ieri Wall Street ha sofferto le più gravi perdite (dal post 9/11). Siamo nella più grave crisi finanziaria generazionale eppure il senatore McCaine ieri se n’è uscito dicendo che i fondamenti dell’economia sono forti, … perciò siamo chiari: ciò che abbiamo visto ieri non è altro che il verdetto finale di una filosofia economica che ha fallito completamente. E io mi batto per la presidenza degli USA perché i sogni degli Americani non debbano più essere messi in pericolo. È tempo di mettere fine a un sistema rotto in Washington che sta piegando l’economia americana. È tempo del cambiamento che fa la differenza nelle vostre vite…

… Non commettete errori. Il mio oppositore si batte per altri quattro anni di politiche che sbilanceranno ulteriormente l’economia, ecc.”

Si addentra poi nella politica dei tagli fiscali voluti da McCaine che dice in favore dei ricchi e delle spese belliche da pagare con deficit e con prestiti chiesti a creditori come la Cina… Mi pare di individuare il fulcro di questo discorso nella seguente frase: “Ciò che è accaduto negli ultimi quattro anni non è un’anomalia, perciò sappiamo cosa aspettarci se proviamo queste politiche per altri quattro anni”.

   Le maggiori issues del programma di Obama si possono così riassumere:

 

- GUERRA: Obama ritiene che la guerra sia una deprecabile dispersione di risorse e un assurdo spreco di vite umane. La sua politica nei confronti della ‘questione Iraq’ si sintetizza in una exit strategy;

- SANITÀ: Obama vuole riformare totalmente il sistema sanitario, dando peso anche alla vita umana dei diseredati (che, attualmente, non hanno diritti e non usufruiscono di cure e assistenza e che sono la prova di come, nella terra delle ricchezze più favoleggiate del mondo, i servizi sanitari siano un lusso- peraltro ecccellente- destinato a pochi, proprio come nei paesi sottosviluppati). Sacrosanta è la battaglia che Obama vuole intraprendere e che, alas, temo possa essere una delle cause della sua non elezione (perché andrebbe a sradicare i tentacoli vergognosi delle lobby assicurative, per le quali la vita umana conta quanto l’asso di picche);

- AMBIENTE: Il programma di Obama prevede la riduzione drastica delle emissioni di anidride carbonica e l’avvio della grande America verso un equilibrio tra progresso e salvaguardia dell’ambiente (finalmente!) e anche questo punto gli si ritorcerà contro, perché va a sollevare la pietra ‘tombale’ sotto la quale pullulano e proliferano i serpenti delle lobby industriali;

- POLITICA ESTERA: Obama ha in programma il controllo della diffusione delle armi di distruzione di massa (essendo membro della commissione Affari Esteri del senato, conosce bene il problema)  e, quindi, del terrorismo, e il blocco del genocidio in Darfur. Si può facilmente ipotizzare quali e quante ripercussioni possano avere questi ‘propositi’ del programma di Obama e quali e quanti veri e propri verminai vadano a scomodare… 

    È con cuore pesante che formulo mentalmente una conclusione (che mi auguro venga smentita dalla realtà): per ognuno dei sopraelencati punti riassuntivi del programma di questo candidato speciale alla presidenza degli USA, se lo avessero già eletto lo dovrebbero ammazzare/ non avendolo ancora eletto dovranno fare in modo che non venga eletto.

  

   I politologi e gli elettori dell’Illinois hanno riconosciuto in Barack Obama “la stoffa del presidente” e, nel mio piccolo, credo che abbiano ragione.

   Abramo Lincoln deve aver avuto bisogno di una dose di coraggio impossibile sulla faccia della terra, quando, nel 1854, a Springfield (Illinois), pronunciò il suo epico discorso contro la schiavitù, dando inizio alla sua battaglia contro la compravendita di esseri umani. Dichiarare uomini liberi coloro che venivano incatenati e marchiati come bestie e che erano la base di tutte le ricchezze e della stessa economia del tempo avrebbe scatenato un tifone inarrestabile, che avrebbe messo in ginocchio l’America; eppure Lincoln pronunciò quel discorso (e non si limitò ad esso).

   154 anni dopo, nello stesso luogo, un uomo di colore (che è pure, per metà, africano)  si è presentato nella stessa storica Springfield e, con la sua faccia simpatica e seria, riflessiva e leale, candidamente ha detto agli Americani: “Sono qui davanti a voi, oggi, per annunciarvi che mi candido a diventare presidente degli Stati Uniti”. Migliaia di persone, assiepate in una folla immensa, hanno ascoltato quelle parole, sfidando il freddo polare degli undici gradi sotto zero. Obama ha continuato: “Non siete qui soltanto per me. Siete qui, perché credete  che, anche di fronte alla guerra, si possa parlare di pace e che anche nella disperazione ci sia spazio per la speranza, perché alla luce di una politica che vi ha messo da parte, possiamo unirci e diventare una squadra”. Ha poi dato la sua disponiblità a fare da tramite, per appianare e superare, in seno al congresso, le divisioni  foriere di  difficoltà dalla portata imprevedibile (che si ripercuotono sui provvedimenti che non decollano in campo energetico e sanitario, per esempio).

   Il confronto tra Obama e Abramo Lincoln è stato fatto da altri, ma, per quanto strano possa sembrare, non stride più di tanto (o non stride affatto). Il mondo, purtroppo, non si è ancora liberato di razzismo e pregiudizi (e l’America neanche…). Sappiamo bene quanto sia (ancora e sempre) difficile (se non impossibile) che gli esseri umani si accettino, si stimino, si rispettino e si considerino ‘eguali’. Sappiamo anche, perciò, che è già un miracolo che un Afro-americano (l’unico) faccia parte del Congresso, negli USA. Mi sento di affermare, per questa ragione, che, se fare quell’annuncio a Springfield non ha richiesto ad Obama la stessa quantità di coraggio occorso a Lincoln per annunciare la fine della schiavitù, ha richiesto qualcosa che gli si avvicinava e che è sicuramente imparentato con la pazzia propria di coloro che si fanno casa per i sogni.

    

   Credo che Barack Obama sia, sì, un sognatore e che, come Kennedy e come M. L. King, sia un trascinatore di folle. Mi auguro soltanto che abbia un destino diverso dal loro e gli auguro fortuna e lunga vita.

 

 

                                                   Bruna Spagnuolo

 

                  

P. S.- Desidero aggiungere, comunque: Viva l’America! Sarà pure terra di paradossi e di turmoil, ma è in grado (comunque e sempre) di stupire e di offrire grandi possibilità-esempi-personaggi come Barack Obama.   


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