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In viaggio, una notte 
[Un racconto politico - satirico - tragicomico di Gianni Somigli]
29 Settembre 2009
 

«Giuda prese una moglie per il suo primogenito Er, la quale si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan: “Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così posterità per il fratello”. Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra, per non dare posterità al fratello. Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui». (Genesi 38,6-10)




In ognuno di noi c’è qualcosa di berlusconiano. Lo dobbiamo ammettere. Io, almeno, sto cercando di farlo. Senza arrivare alla celebre “Non ho paura di Berlusconi in sé, ho paura di Berlusconi in me”. Che però, a dirla tutta, è una vera verità.

Comunque, si diceva: in ognuno di noi c’è un pezzetto che strizza l’occhio a Berlusconi ma, soprattutto, al berlusconismo e a tutto quello che contiene e significa. Nel mentre, mostra il dito medio a ciò in cui ci sforziamo ostinatamente di credere. Quel pezzetto dentro di noi strizza l’occhio al berlusconismo. A tutto ciò che incarna, significa, contiene.

A tutto ciò. Già. Ma cos’è tutto ciò? Cosa incarna, contiene, significa?


Qua va trovata una soluzione. Io, senza andare in India, ho fatto un viaggio dentro me stesso. Un viaggio alla ricerca del pezzetto berlusconiano di me.

È successo ieri notte.

Mi sono separato dal mio corpo. Tipo quei film in cui l’anima si stacca dal corpo. Uguale. Ho visto me stesso, il mio corpo, steso sul letto. Mi sono fatto piccino picciò, ma proprio minuscolo.


Ma subito, ecco il primo problema: dove cavolo si anniderà quel pezzetto?

Momento di accurata riflessione nella testa minuscola ed eterea. Potrebbe rintanarsi nella scatola cranica. Farsi ricchi bagni nella materia grigia. Dovrei passare dal naso, o da un orecchio. Ma... No, non credo proprio stia lì. Incongruenza territoriale, credo. Ok. Magari sta dalle parti del cuore. O dalle parti dello stomaco. Il passaggio sarebbe dalla bocca. Ci rifletto un attimo. No, non devo iniziare manco da lì. Tempo sprecato.

Ho capito. Porcaccia miseria. E allora, eccomi trasformato in temporanea supposta. Quel pezzetto, sì, credo stia proprio da quelle parti laggiù.


Tralascio il racconto dell’ingresso in me stesso dalla porta sul retro. Vi invito anzi a non fare facili ironie.

Ciò che dovete sapere, invece, è che mi stavo aggirando laggiù, da quelle parti, che viste dal di dentro sono tutto meno che nobili, come le chiamano. Finalmente, l’ho trovato.

Se ne stava lì, quel pezzetto. Dal vestito firmato e i capelli impomatati. Coi denti tutti bianchi e rifatti. Cantava una canzoncina tra sé e sé: “Presidente siamo con teee... Menomale che Silvio c’èèèè”...


Mi avvicino in leggero imbarazzo.

Do due colpetti di tosse per attirare l’attenzione su di me.

«Non preoccuparti, caro amico, ci pensiamo noi al tuo malessere di gola: il nostro presidente ha già scoperto e inviato ai fratelli d’Italia quindici o sedici milioni di vaccini! Un altro miracolo del presidente! Altro che Nobel per la Pace: quello per la medicina gli, anzi Gli, devono dare!».

Se prima ero in imbarazzo, adesso penso di essere terreo.

«Io ho sentito dire che quei vaccini non serviranno a nulla...» provo a dirgli, deciso a farci i conti una volta per tutte.

«Aaaahh, ecco, ecco. Certo. Lo so chi sei. So cosa pensi. È per questo che voglio incontrare Silvio: per suggerirgli di distribuire i vaccini solo a chi può dimostrare la propria fede, a chi fa parte del Popolo della Libertà. O al limite, a chi non si è perso una puntata di Uomini e Donne dal 2003 ad oggi. Voi comunisti, sarebbe finalmente la volta buona che sparite dalla faccia della Terra. Tutti a morì ammazzati».

«Non sono comunista, sinceramente. Poco male comunque. Del vostro vaccino non me ne può fregare di meno. Credo che voi manipoliate la gente e strumentalizzate le sue paure, ti dirò».

«Lo vedi? Sei un comunista! Ma vergognati! Vergogna!».

«Cosa ho detto di comunista, scusa?» borbotto perplesso.

«Io non ti ho interrotto, non mi interrompere nemmeno tu, e anzi, dammi del lei! Comunista! Sempre i soliti nemici della libertà!».


La mia perplessità inizia a sfiorare l’inquietudine. Ma vado avanti. Coraggiosamente, testardamente vado avanti come quelli che parlano con i muri.

«Ok, scusi, scusi. Ma senta: il presidente ascolterà i suoi suggerimenti? Come farà a farglieli avere?».

«Perché? Cosa c’è di strano? Silvio, menomale che c’è, è un amico di tutti i suoi elettori della libertà. Ascolta tutti, vuole bene a tutti, ci regala le farfalline della libertà. L’ho invitato alla festa di compleanno della figliola di un mio amico che fa diciotto anni tra un paio di settimane. Vabè, non viviamo in un posto chic come Casoria, ma confido in Silvio. Menomale che c’è».


Rimugino tra me e me sul rapporto tra eletto ed elettore. Magari c’ha ragione lui. Magari è così che deve andare, seguendo una teorica evoluzione della vita politica. Ma ho dei seri dubbi.

«Ma scusami, anzi, mi scusi, ma perché il presidente del consiglio dovrebbe andare alle feste di compleanno delle diciottenni in giro per il paese?».

Il pezzettino berlusconiano di me sgrana gli occhi come se avessi detto un’eresia mai sentita prima nella storia: «Incredibile! Incredibile! Ma va là! Ma se voi comunisti non sapete altro che star là a progettare colpi di stato e non pensate un po’ a divertirvi, sarà mica colpa di Silvio, eh!?!»

È una sensazione mia o quel pezzetto di me non segue mai il filo del discorso?

«Un presidente del consiglio sposato e di 73 anni che gira il paese in jet per andare al diciottesimo di una biondina vista su un book fotografico, io non so se...».

«Vedi? Non hai argomenti, non sai cosa dire; non hai argomenti politici e ti attacchi al gossip, alle porcherie!!!».


Per un attimo, solo per un attimo, sto per dire al pezzettino di me che non mi deve interrompere mentre parlo. Poi mi rendo conto che sarebbe un autogol. E me ne sto zitto. D’altronde, mi dicono che il berlusconismo non si combatte con l’antiberlusconismo. Forse, il berlusconismo si dovrebbe battere con il berlusconismo stesso. Uno “specchio riflesso” come da bambini. Che getti contro il suo “creatore” la sua stessa creatura.

Ma non sono venuto nel mio ano, stanotte, per combattere o sconfiggere. Sono qui per cercare di capire.


«Mi consente di...».

«Oh, bravo. Così si fa».

«Ehm... Sì. Ok. Dicevo. Posso chiederle una cosa?».

«Certo. Anche se non dovrei parlare con un anti-italiano, un disfattista. Che lavoro fa lei, scusi?».

«Azz... Sono... Ehmmm... Sono un giornalista».

«Eccolo là. Ecchè, non lo sapevo io. Sei di Repubblica? Sei del superpartito? Lavori per quello stronzo di uno svizzero e per quell’evasore fiscale di direttore?»

«Sé, magari. Che poi, scusi l’impertinenza. Ma perché apostrofare in modo dispregiativo una persona come “evasore fiscale” mentre si sta facendo approvare un condono per gli evasori fiscali?».

«Esiste in tutto il mondo, solo da noi non c’è. E per colpa vostra».

«Lo scudo esiste, ma è un tantino diverso... Non copre i reati e si paga molto di più» gli rispondo, cercando di non rivelare quanto sia irritato.

«Stai dicendo delle falsità, i miei dati non dicono questo».

«Scusi, ma i dati sono dati: se in Usa per il rientro dei capitali si paga il 40% e in Italia il 5%, non è che c’è tanto da sindacare o interpretare. Almeno sui numeri...».

«Ma quando mai! Ma cosa stai dicendo! Stai divorziando dalla realtà! Il solito stalinista! Questo è un ribaltamento della verità, ma gli italiani sono con noi!».

«Uhm. Ma che risposta sarebbe?».

«Non mi interrompere!».

«Ma non la ho interrotta! E comunque, a parer mio, non stava dicendo un bel nulla».

«Ecco perché siete antipatici. Pensate di avere l’egemonia culturale. Voi con la vostra puzza sotto al naso. Ma vi sbagliate! Vi sbagliate e continuerete a perdere! Perderete per sempre, mentre noi staremo qua per sempre!!!».

«Sinceramente, non credo di egemonizzare niente, per quanto mi riguarda. Ma senta un po’. A parte le sue affermazioni surreali: ma voi non siete il Popolo della Libertà?».

«Yes, we can».

«Semmai “yes, we are”».

«Ma cosa dici! Cosa! Pensate che Obama sia dei vostri? No! Nooo!».

«Qui purtroppo devo darti ragione. Ma a parte questo. Com’è che mi zittisci sempre e non mi permetti di parlare, tu che della Libertà rappresenti addirittura il Popolo?».


Questa gliel’ho proprio piazzata, questa è la stoccata vincente. Ma con mio grande stupore, il sorrisetto che ha dipinto in faccia stile il joker non tradisce nessun tipo di increspatura. Anzi, a dire il vero sembra anche un po’ compatirmi, se la devo dire tutta. Sono nel mio ano, sono incazzato nero e il mio pezzetto berlusconiano di me stesso mi piglia pure in giro e mi compatisce. Adesso so cosa prova Franceschini quando va da Vespa. Anche se, probabilmente, quanto a location sono messo meglio io.

«Siamo una grande forza dell’amore e della libertà contro la vostra cultura dell’odio e della morte».

«Ma che risposta è?».

«Comunisti».


Niente da fare. Non si sfonda. Anche se non capisco, devo proprio ammetterlo, non riesco a capire se mi piglia per il culo, se mi provoca, se usa formule di rito perché non ha risposte o se crede in quello che dice. Ma non dicendo niente, vorrebbe dire che crede in niente. Uhm. Questa potrebbe essere la chiave di volta e di svolta. Proviamoci.


«Perché il Popolo della Libertà vuol limitare la libertà di stampa?».

«Sei anti-italiano».

«Perché il Popolo della Libertà nega la libertà di cura, trattamento, fine vita e testamento biologico?».

«Perché siamo per la vita e contro la morte e gli assassini».

«Ma libertà non significa garantire la possibilità di scegliere liberamente?».

«Silvio Padre, perdonalo, non sa quello che sta dicendo».

«Eh, ho capito. Vabè. Senti, senta, non ci capisco più nulla. Dimmi un po’: il Popolo della Libertà non dovrebbe, per definizione, difendere la libertà d’espressione di chiunque, soprattutto di chi la pensa diversamente?».

«No se si offende e si è contro il proprio paese e il proprio governo».

«Ma chi è che offende?».

«Tu, con la tua presenza e le tue ossessive insinuazioni gossippare».

Cerco di mantenere la calma. Ma non è semplice.

«Ripeto la domanda. Un sistema si può definire democratico se proprio chi non la pensa come la maggioranza non è tutelato? Non è proprio questa la democrazia?».

«Noi parliamo al paese, noi arriviamo al cuore della gente, noi siamo stati eletti: gli italiani ci hanno dato il voto, e noi non possiamo perderci in questi sofismi filosovietici sui pesi e contrappesi democratici. Anche perché, se proprio la dobbiamo dire tutta, se qualcosa non va è colpa vostra, mica nostra».

«Nostra!? Ma...».

«Il buco nel bilancio? Colpa di Prodi! La disoccupazione? Colpa di Prodi! La guerra in Iraq? Colpa di Prodi! Le morti sul lavoro? Colpa di Prodi! Prodi! Prodi!».

Sono ormai affranto. Qui non se ne viene fuori. È davvero una cosa indecente.

«Si rende conto che con lei non si può parlare?».

«Per forza. Voi di sinistra siete inferiori, antropologicamente inferiori, da curare. Siete come i magistrati, come i musulmani».

«Ma come si permette di dire una cosa del genere?».

«Cosa?».

«Quello che ha appena detto».

«Cosa ho detto?».

«Che siamo “inferiori”... E che lo sono i magistrati! E i musulmani!».

«Io non l’ho mai detto. E se l’ho detto, mi dissocio. Comunque, lei si dovrebbe vergognare di strumentalizzare. Dimostra il suo nervosismo».

«Certo che sono nervoso! Sta dicendo cose senza nessun senso!».

«Embé? Questo è ciò che vogliono sentirsi dire gli italiani che amano Silvio, menomale che c’è, e che vorrebbero essere come lui, mica come voi».

«Ma voi non dite niente! Niente!!!».

«Esatto. Proprio quello che gli italiani vogliono sentirsi dire».


Sono agghiacciato da questa roboante verità. Resto immobile di fronte al sorriso del pezzetto berlusconiano di me che è riuscito a squarciare un velo sulla realtà dei fatti.

Agghiacciato e terrorizzato.

Vogliamo sentirci dire non “niente”, ma “il niente”? Crediamo nel niente? Oddio, è così che stanno le cose?

Raccolgo le idee, o almeno ci provo, insieme alle ultime forze che mi restano. Ma non so, giuro, non sono in grado di dire nulla dopo questa folgorante rivelazione. Quello intanto continua a sorridere.

Sto per schiudere le labbra, forse per un’ultima domanda, forse per la resa e la sconfitta, quando tutto intorno inizia a tremare. Un rumore sordo e cupo, da prima. Poi, sempre più forte, sempre più forte. Le pareti di mucosa intorno a me traballano in modo infernale, e il rumore è sempre più forte, più forte. E, ad un tratto, sono investito da una vera e propria mattonata d’aria calda e pestilenziale. Chiudo gli occhi e cerco di trattenere il respiro. Solo per un secondo, prima di essere sollevato come una foglia secca e scaraventato fuori da un rumorosissimo “prrrrrrrrrooooootttt!”, intravedo il pezzetto di me che, senza smettere di ridere, si ancora alle pareti molli e grida verso di me: «Lo senti? Lo senti??? È il vento della libertà che vi spazza via!!!».


Epilogo

Apro gli occhi. Sono nel mio letto. È mattina, ormai. Tra qualche minuto suonerà la sveglia. Mi attende una giornata pesante. Mentre mi stiro, ripenso alla strana notte che ho passato. Come quando ti resta un sogno in testa di cui ricordi le sensazioni ma non le azioni. Ma cosa ho sognato? Cosa?

Niente, non me lo ricordo. Non sarà stato niente di che.

Mi butto giù dal letto. Mentre accendo la tv e metto sul TG4 – Speciale Miracoli del Governo, mi preparo il caffè. Dopo averlo bevuto, mi accendo una sigaretta e vado in bagno. Mi siedo sulla tazza, come ogni mattina. E sarà il sonno, sarà quel che sarà, ma mentre inizio le operazioni di evacuazione, mi sembra di sentir arrivare da laggiù, accanto ai soliti sbuffi e sprotti, un allegro e ridente fischiettio.

Menomale che Silvio c’èèèè...”.


Fine


Gianni Somigli


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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