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Vittorio Giorgini. Folklore
10 Dicembre 2009
 

Quando ero un bimbetto vivevo in una famiglia abbastanza affluente con tradizioni che si legavano al formarsi dello spirito nazionale italiano, cioè quello legato alla monarchia sabauda, ma specialmente a quei signori che con la propria cultura avevano portato qualche traccia in Italia di quell’illuminismo che si era sviluppato nell’Europa Continentale. Questi furono parte di quelle matrici utili al risorgimento italiano. In seguito alla presa di porta Pia e alla prima guerra mondiale (le ultime due guerre di indipendenza) liberarono il popolo italiano dalle oppressioni degli stati stranieri compreso lo stato del Vaticano, sotto la cui teocrazia malauguratamente poi lo ricondusse Benito Mussolini. Senza andare troppo lontano basta rivedere questo tratto della storia italiana prima, durante e dopo il risorgimento. Ciò potrebbe bastarci per vedere come in un paese pur mantenendo certi tratti caratteristici, i modi, le idee e i comportamenti possono in breve tempo trasformarsi, e qui potremmo aprire un capitolo relativo alle ragioni che hanno prodotto le trasformazioni di breve tempo o di lungo tempo relative alla storia di una popolazione. Riportiamo da www.wikipedia.it l’etimologia della parola folclore.

Il termine folclore o folklore (dal sassone folk= “popolo”, e lore= “sapere”), si riferisce all'insieme delle tradizioni arcaiche provenienti dal popolo, tramandate oralmente e riguardanti usi, costumi, leggende, proverbi, musica e danza riferiti a una determinata area geografica e ad una determinata popolazione. Vogliamo occuparci del sopraddetto significato perché è proprio in queste manifestazioni che le popolazioni tanto nello spazio quanto nel tempo, pur mantenendo certe caratteristiche in comune, possono identificarsi secondo modi diversi. Accenniamo brevemente al fatto che le differenze possono verificarsi tanto in modi individuali che collettivi e quindi anche le caratteristiche hanno dimensioni maggiori o minori, differenze e gerarchie. Gli adoratori delle balene di alcune Isole del Pacifico hanno credenze, comportamenti e riti diversi da quelle degli adoratori di un drago in una provincia cinese. Lo stesso può dirsi per gli adoratori di Visnù, certi induisti dell’India e gli adoratori di Mitra di certe zone indo-iraniane e fra questi e quelli di certi ambienti militari romani.

 

Ritorno su questi accenni relativi alle differenze proprie delle abitudini poiché per ogni loro manifestarsi assumono il significato di VERITÀ alle quali appunto diamo il nome di folclore. Generalmente il termine folclore si collega a un’idea di abitudini locali ed antiche, ma non è così. Anche il nazi-fascismo come il comunismo devono essere visti come espressioni folcloristiche di quei luoghi e quei tempi, così come anche per l’induismo o il cristianesimo, il calvinismo o l’islamismo. Tutti modi, questi, che hanno una loro particolare influenza sul colore delle relative popolazioni e dei conseguenti comportamenti che fin dai tempi antichi hanno prodotto delle differenze figlie delle credenze (ideocrazie). Da circa tre millenni è iniziata una lentissima presa di coscienza delle conseguenze nefaste delle ideologie. Tale presa di coscienza si sviluppa dagli edonisti (che secondo l’interpretazione di Michel Onfray nel libro Le saggezze antiche hanno inizio con la poetessa Saffo di Lesbo), demonizzati ed oscurati, ai sofisti, sino a persone illuminate come Federico I di Sicilia (1194-1250) a Tommaso Campanella e Giordano Bruno (XVI sec.) e ai filosofi e scienziati dell’illuminismo fra il XVI e il XX secolo. Già dai tempi dei Presocratici inizia quella presa di coscienza che poi si sviluppa a partire dal XVI secolo. È con Jean-Jaques Rousseau ed il suo scritto Il contratto sociale, agli albori dell’illuminismo, che ha inizio l’idea di giustizia, di cosa siano i diritti e i doveri sociali, del rispetto degli individui in quanto tali e di tutto quanto ha determinato il formarsi di un idea di stato, di società civile. Il passaggio dalle culture più primitive fino all’inizio di quelle che consideriamo già civiltà moderne (dalla babilonese alla greca fino alle nostre) è stato molto lento nonostante nella storia umana vi sia stata una graduale accelerazione che si intensifica fra il medioevo e la società delle comunicazioni (cioè la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio). Basta poco vino per scurire l’acqua, ma ci vuole molta acqua per schiarire il vino e così lento è il passaggio dalle credenze antiche a quella che potrebbe essere la tanto auspicata liberazione da credenze, ideologie e le conseguenti abitudini mentali. La facilità della condizione abitudinaria è preferibile all’incertezza dell’avventura procurata dalla curiosità, ed è questa la ragione per cui le società tanta fatica fanno per evolversi e di tutta l’energia che viene spesa appunto per mantenere le abitudini che la consumano disperdendola in lotte, guerre e violenze. Dobbiamo ricercare quella saggezza che si è potuta notare in casi eccezionali, già nell’antichità così come ai tempi nostri in figure come Lao-Tzu (VI secolo era antica), Socrate nato due secoli dopo, il Capo Indiano Seattle, Gandhi e pochi altri che hanno dimostrato come si possano ottenere grandi risultati senza violenza e col solo esempio.

 

Nella lotta dei diversi interessi la ricerca di una giustizia alternativa a quelle distruttive delle ideologie e delle credenze è cosa che può apparire utopistica e certamente difficile. Nelle categorie sociali sono sempre esistite quelle del potere (o delle autorità) e quelle soggette al potere (o dei sudditi). Le giustificazioni possibili ed immaginabili, gli abusi, gli sfruttamenti, le usurpazioni delle une sulle altre sono un dato proprio di tutte le società e derivano da una caratteristica dei mammiferi che io chiamo la sindrome del sergente o del portiere; il che vuol dire l’essere autoritari verso il più debole e sottomettersi, succubi del più forte. È una condizione questa quasi certamente al livello degli istinti primari dettata dall’istinto di conservazione. Si tratta del concetto espresso nella locuzione latina «mors tua vita mea»nonché espressa dall’opinione malthusiana relativa all’equilibrio ecologico laddove ogni «nato in soprannumero rispetto all'occorrente per mantenere la popolazione al livello necessario deve inevitabilmente perire, a meno che per lui non sia fatto posto dalla scomparsa degli adulti...». concetto malthusiano non intende suggerire uccisione alcuna, ma soltanto le capacità di sostegno di quel particolare territorio in quelle particolari condizioni. In poche parole si parla di porre limiti allo sviluppo, del contenimento della crescita che non può espandersi all’infinito.

Prima delle nostre culture, i rapporti della vita col territorio erano in equilibrio in quanto questi dipendevano dal numero dei consumatori e dalla quantità di materie necessarie a tali consumi. Si otteneva così l’equilibrio territoriale. Le idee e le conseguenti guerre hanno portato alla perdita di tali equilibri determinando fattori nuovi che dipendevano dalla costruzione di culture non più naturali ma artificiali. Le tecniche consentivano la sopravvivenza di un maggior numero di persone ma i bisogni di potere sviluppavano le volontà di conquiste e di quelle ragioni atte a giustificarle. Motivazioni necessarie a convincere le popolazioni ai sacrifici richiesti da tali lotte. Ecco che la base di simili politiche diveniva un conflitto di idee dove quelle più efficaci furono prima le superstiziose e poi le religiose. E si iniziarono quelle che furono chiamate guerre di religione che si mescolavano ed erano strumento di uso politico ed economico che sotto queste si celava. La cupidigia umana nell’accaparrarsi dei beni si è servita del potere ideologico delle superstizioni prima e delle religioni poi, che sono state le prime a capire il potere che poteva derivare da credenze fittizie. E verso i nostri tempi aumentavano quelle ideologie più laiche come il fascismo e il comunismo, ma la cui provenienza strutturale era derivata dagli abiti mentali delle fedi religiose.

Fin dai tempi antichi superstizioni e religioni hanno significato la base delle culture che via via si trasformavano mantenendo gli stessi modi. Così hanno fatto tutte le religioni, tutte le culture che conosciamo in modi violenti e cruenti o in modi sottili e istituzionalizzati, come oggi in alcuni dei paesi che si dicono democratici, ma che fino a ieri non lo erano. Si è obbligato difatti a seguire modi, si può dire matrici del sistema culturale la cui base è l’educazione, da e-ducare (dalla particella “e” che significa da, e “ducere” condurre fuori, sottinteso da “ignoranze”), a condizionare ed omogeneizzare quella tale società. Educare, in-segnare (dal latino signum, segnare, imprimere, lasciare il segno e così via...). Il segno nel senso di appartenenza è già modo conosciuto dai pastori, che chiamiamo marcatura, che è stata usata così come con gli animali con gli schiavi. Marcare cioè imprimere a fuoco con un ferro rovente quel segno che rappresenta l’appartenenza. È il segno della proprietà. Tutte le culture, nel loro in-segnare, marcano la popolazione fin dall’età adolescente affinché divenga proprietà e sostegno del sistema. Ai tempi dei romani esisteva un rapporto di accettazione di quelli che erano stranieri e credenti in altro. Il moltiplicarsi delle divinità che fu proprio degli antichi venne ancora rinforzato dall’assimilazione che i romani consentirono fra le diverse credenze aumentando ancora o trasformando il numero delle divinità. Giove era Geova? Oppure Odino? E così per tanti altri incluse le sottospecie. A quel tempo gli insegnamenti erano più di conquista e sfruttamento che non religiosi. Poi le religioni insegnavano le conquiste in modi più subdoli sostenendole con l’idea missionaria nella quale l’uso delle armi non fu affatto abbandonato. È molto facile rendersi conto del fatto che le credenze abbiano poteri importanti per l’autorità in quanto danno ragione e sostegno a qualsiasi atto e comportamento l’autorità stessa ritenga necessario. Ecco la condizione difficile per la democrazia. Se tutta la popolazione segue una particolare credenza, non ci sarà posto per altro ed avremo quindi un sistema pseudo-democratico trattandosi in realtà di una monocrazia-ideocrazia. L’autorità di un’idea. È interessante notare ed ognuno può fare la prova (ma già lo si osserva in certe riunioni, convenzioni etc.) che i non credenti tendono ad esporre, sempre con rispetto le proprie ragioni e a chiedere degli istituti laici proprio per consentire anche la libertà religiosa, una pluralità d’idee. Si noterà invece, che i credenti, nelle discussioni si infuriano al punto da divenire pericolosi. Io penso che sia proprio di estrazione religiosa la questione che porta violenza nelle discussioni in quanto la fede in senso assoluto non consente altre ragioni. È cosi che nasce il fondamentalismo religioso, il dogma e la presunzione di verità. È così, punto e basta. Nelle culture religiose, le persone imparando a credere, non fanno esperienza di dialogo, di discussione e di scambio. Ho sempre pensato che lo scambio di opinioni che può far parte di un colloquio educato, se avviene fra persone marcate da pregiudizi diviene in breve discussione. La discussione si trasforma ben presto in litigio e dal litigio si sviluppano le azioni di forza, il combattimento. Questa lotta è l’ultima espressione dello sviluppo di scambi fra persone marcate. Tutte le volte che ascoltiamo simili testimonianze dal vivo o sui mezzi di comunicazione, quali la radio o la televisione, questo fatto è evidente. Persone che per definirsi “colte” (educate) cominciano a riscaldarsi interrompendosi, alzando i livelli della voce, volgarizzando i proprio comportamenti e il linguaggio fino a vere e proprie offese brutali. Non è il caso di ricordare tante violenze così come quelle che si conoscono dell’inquisizione. Quando infatti queste reazioni raggiungono il diapason viene fatto di pensare che potrebbero iniziare ad alzare le mani fino ad uccidersi. E la cosa è successa e continua a succedere. Le ideologie possono essere di tanti tipi perché esistono idee più late ed altre più di dettaglio, ma certo è che quelle religiose hanno un carattere molto più generale e hanno portato e continuano a portare a conseguenze drammatiche. Tali conseguenze non sono dovute al bisogno di mangiare ma al semplice fatto che il mio Dio è migliore del tuo. Io mi sono sempre domandato: Ma quanti Dei ci sono? Ed in particolare, da quando ci è stato imposto di credere nei monoteismi? Questi diversi Dei che cosa hanno di reale per portare i conflitti che hanno portato? Ecco che qui dobbiamo riconoscere che tali orrori sono tutti prodotti della mente umana. E basterebbe studiare con attenzione i nostri linguaggi dai significati delle parole Dio, divinità etc. a quelle di umani e quante altre ancora. Entrare nei significati delle parole richiederebbe tutto un lavoro a parte, ma chi cominciasse a farlo si renderebbe conto di quanto siamo marcati dalle nostre abitudini e di quanto ne siamo succubi. Ritornando al concetto di democrazia, abbiamo considerato che se la maggior parte della popolazione è rossa, vinceranno i rossi anche se la minoranza gialla ha molte ragioni in più e più valide. E ciò ci dice che non dovrebbe essere la maggioranza a stabilire le regole per tutti. Anche se, può essere un criterio di principio. In Italia la maggioranza è cattolica ed è pronta a qualsiasi malefatto per sostenere le ragioni della religione che checché se ne dica, è Religione di Stato. Questa cosa viene sottolineata dal fatto che sono pochissimi gli italiani che non concordano con l’uso di un simbolo evidentemente Cristiano, cioè il Cristo in Croce. Non si può neppure pensare di suggerire che l’esposizione di questa icona non avvenga nelle scuole, nelle aule, nelle aule di tribunale, e in tanti altri luoghi pubblici. Le minoranze che sono disturbate da tale imposizione, sono minoranze e come tali non hanno diritti.

Si dice che il Crocefisso oltre ad essere simbolo cristiano porta valori “altri”, ovvero porta significati di solidarietà, di amore, di fratellanza etc. Premesso che tali valori non sono unicamente di proprietà cristiana. D’altra parte questi significati si sviluppano già in tempi proto-cristiani. E fra l’altro per tali concetti ci appare strano l’uso di un’icona che simboleggia un’antica e barbara tortura. Che simbolo inappropriato! A proposito poi della Religione di Stato e quindi della istituzione di tale Religione di Stato sarà bene non usare formule ipocrite, formule atte a instaurare interessi particolari a scapito di altri. Ha ragione chi dice mettiamo la Stella di Giuda o qualunque altro segno a cui viene negato il diritto. E diciamo che questa negazione è giusta perché le questioni del religioso se non fossero divenute multinazionali di potere e di ricchezze dovrebbero rimanere un fatto privato ed essere tutte equidistanti dalle regole e istituzioni dello stato. La mia opinione è che le ideologie così come le credenze sono eredità di tempi primitivi, soltanto nocive e contrastanti lo sviluppo dell’intelligenza umana. In molti paesi, specialmente islamici, chiese, simboli e costumi giudeo-cristiano non sono consentiti. Ecco altre cortine di ferro, altre saracinesche agli orizzonti delle intelligenze. Sono anche contrario all’accettazione dei diversi simboli iconografici e concettuali perché anche questi non si mescoleranno in modi equilibrati ma prima o poi esisterà la predominanza di uno e la caccia alle streghe, la guerra delle idee. Tutte queste “cose” meglio sarebbero relegate nei musei come ricchezza culturale. Penso che un mondo utopistico richiederebbe libertà di spaziare senza soffermarsi, evitando prevaricazioni. Non solo ne sono esempi i paesi islamici nella loro chiusura, ma con le ondate migratorie vediamo che in Svizzera vince un referendum contrario alla costruzione di luoghi di culto islamici. La Svizzera sta seguendo l’esempio islamico? In altri paesi esistono discussioni e opposizioni all’influenza sempre più numerosa portata dagli emigranti islamici. Stiamo preparando altre guerre di religione? Stiamo innalzando altre muraglie? Se torniamo all’argomento sulle discussioni più o meno violente tra idee abbiamo grossi dubbi sull’utopia di una saggezza. Saggezza che sappia indicare fra cose reali e concrete una logica e un rispetto per i viventi e le cose. In particolar modo, anzi, particolarissimo, dei beni del pianeta.

 

Vittorio Giorgini

 


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