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Carlo Forin. Il periodo del lustro
01 Novembre 2015
 

La storia è una e continua o dobbiamo necessariamente dividerla in età e periodi? Periodizzare la storia non è mai un atto neutro o innocente. Periodizzare la storia è a sua volta un appassionante tema di storia. L’ultimo libro di un grande maestro.

 

 

Amo il grande maestro Jacques Le Goff, ed Il tempo continuo della storia fu il suo ultimo libro pubblicato da Laterza nel 2014, l’anno in cui morì (1° aprile). Colgo il concetto di periodo dall’opera per la circolarità del percorso.

Per dare un ordine a questo passato, si è fatto ricorso a vari termini, parlando di ‘età’, di ‘epoche’, di ‘cicli’. Ma il termine più adatto mi sembra quello di ‘periodi’. ‘Periodo’ viene dal greco periodos, che designa un percorso circolare. [Preludio: 3-4].

La lingua sumera, eme gir, è un ‘giro del me, parola divina che crea’. Per-i-udu significa ‘sentiero (i) -di- nave (udu) -in giro attorno al- trono divino (per, para, barag)’.

Alla domanda –se la storia possa venir divisa in periodi– io potrei riferire al lettore di Tellusfolio ove sette anni fa, in questo periodo autunnale, io vi feci la cronaca giorno per giorno della mia vita vissuta in ipotesi di ‘affetto da cerebropatia gongofila’, vale a dire ‘degenerazione irreversibile delle cellule cerebrali’, diagnosticata in decine di visite interdisciplinari. Nella notte 3-4 ottobre, avevo depositato una letterina a san Francesco: accettavo sorella demenza, solo se non era più possibile la salute. Il vescovo Corrado deve ricordarmi ancora con timore, da che ebbe ad ascoltarmi lungo tre quarti d’ora. Il mio amico piemontese Giuseppe Brunod mi tacciò di mancanza di riservatezza; ma io, veneto, sòn ciàro ciàro ed irriservato, come un pòre mona. Il centro di eccellenza mondiale sulle malattie mentali di Pavia mi visitò in dicembre e mi dissero subito di star tranquillo: l’ipotesi estrema non era valida.

Ero angosciato perché il mio punto di vista sull’archeologia del linguaggio sarebbe morto con me. I '27 articoli' (+ 3, con questo, ndr) pubblicati qua dal 27 luglio, in Ordine di farfalla, esaudiscono il desiderio che ho potuto esprimere in www.archeomedia.net e, più diffusamente, in www.agoramagazine.it (che, però, subisce una menomazione mnemonica, per l’attacco Isis di inizio 2015, che non permette letture retro).

Sette anni fa, il 5 aprile 2008, il mio Gruppo Archeologico del Cenedese organizzò il convegno Antares, alle origini perdute della cultura occidentale, del quale non abbiamo ancora gli Atti. Fu un incontro fruttuoso perché alzò il problema delle origini del lustro, il periodo di cinque anni di cui non si parla più, pur soggetto a tanti riti lustratori introducendo alle sue origini orientali.

L’archeo-astronomo Adriano Gaspani, che continua la disciplina dello studio delle stelle nell’archeologia iniziata in Italia da Giuliano Romano (Orientamenti ad sidera, Ravenna, Edizioni Essegi, 1995) [il quale smise di rispondermi e-mail perché avevo osato affermare che l’astronomo Tolomeo si era sbagliato nell’analisi della stella-teonimo Antares (‘anti-Ares, come ripete acriticamente l’Enciclopedia Britannica’ mentre è Anath-Ares = Anath, dea della vita orientale + Aresh, dio della morte e della guerra orientale, massimi dèi troiani)], ci disse che il mestiere dell’archeologo fu il più antico del mondo perché il cielo venne guardato fin dal paleolitico per leggere il futuro.

L’obiettivo dell’archeoastronomia è di ricostruire le credenze, le tradizioni, il bagaglio culturale astronomico che le antiche popolazioni avevano.

La gente anche illetterata regolò il conteggio del tempo per prima sulla luna (massima dea sumera), che poteva venir osservata in ogni luogo per poi regolarsi sul sole (massimo dio accado, narru), solo dopo l’adozione di abitudini stanziali con la civiltà agricola iniziata nella Mezzaluna fertile. Disse Adriano Gaspani al convegno:

Se io vado a guardare l’astronomia della Mezzaluna fertile, allora va bene, abbiamo questa gente che divina guardando il Cielo in alto. Io non trovo questa cosa in Europa. La trovo solo portata dai soldati romani insieme ai culti misterici, passando per la Grecia.

La seconda cosa è che, se io mi metto lì a cercar di capire quali erano i calendari che durante l’età del ferro erano diffusi in Europa mi trovo di fronte ad un calendario, che è poi quello celtico, di cui abbiamo il reperto che è quello di Coligny, la lastra di bronzo, con incisioni, che prende il sole e la luna e cerca di metterli d’accordo come computo. Ma, per fare questo, siccome l’anno lunare è di 11 giorni più corto di quello solare, per far andare d’accordo i due computi bisogna metter insieme cinque anni. In cinque anni, quindi in 60 mesi, io riesco a recuperare aggiungendo due mesi intercalari la differenza tra il computo lunare ed il computo solare riportando in fase il calendario. Quindi, il calendario di Coligny, che è stato scritto nel secondo secolo dopo Cristo, ma rappresenta il sistema di misura dell’Europa celtica, gallica, già, grosso modo dal III sec. a.C., che non veniva scritto, ma poi si capisce studiandolo astronomicamente, e questa particolare struttura quinquennale a mandar d’accordo il sole con la luna, io, nella Mezzaluna fertile non la trovo.

Questo periodo che combina i giri annuali dei dodici mesi lunari, più corto di 11 giorni dei dodici mesi solari fu il latino lustro. Io lo trovo nel sum. eme gir, ‘giro del me’.

lu2-na-me’

someone, anyone (‘person’ + indefinite pronoum).1

Qua si può leggere la luna ed il me, la sua parola creativa. Sillabe non entrate nel lessico halloriano direbbero: Lu-us = lu-su = lu-zu = luz. È proprio il circolo della luna. Il giro [eme gir ha questo significato, tra altri] di lus è sul, pari a lat. sol e sum.:

sul, n., young man […]

mul dsul-a-pa-e3-a

the planet Jupiter (‘the resplendent young man’; cf., pa…e3; (gis)al-tar).2

Quanto a –tur, alzo il tiro sul teonimo sumero tar-gal-lu, riferito a Saturno. Nam lu gal lu è “l’umanità civile”, per i Zumeri, ovvero loro stessi. Non so se vi sarà difficile riconoscere i Galli, detti così dai Romani (che non sapevano che ‘bisogna chiamarli Celti’). Il nostro periodo ha cancellato la nave sumera, udu,3 e viaggia per altre stranezze. Tur è proprio ‘giro’, francese tour e cuore di Sa-tur-no. Il teonimo di Saturno fu il dio del sacerdote etrusco Publius Vergilius Maro, col cognomen Ma-ru significativo di ‘generazione del sacro’ [Salve, grande genitrice di messi, terra Saturnia, // grande madre di eroi: per te incedo fra antichi // fasti di gloria e d’arte, osando dischiudere le sacre fonti, // e canto il carme di Ascra per le città romane. Georgiche, II, 173-176].

Adriano Gaspani conosce l’archeo-astronomia dei Celti e non vede i 60 mesi del massimo dio sumero del cielo An, paredro della dea In-anna. [Così gli archeologi ‘villanoviani’ non riconoscono la dea Inanna nella statuetta del ‘guerriero di Capestrano’. L’assioma è: è un maschio. Dunque la figura dal profilo femminile non può venir riconosciuta femmina. Potrebbe essere nominata Turan, e vedreste il ‘tur’ essenziale, che Halloran vuole solo giovane e maschio].

L’anno sumero è fatto di 10 mesi -ap-kal-lu-4 + un unico doppio mese che unisce il dio della morte con la dea della vita. La luna fu la massima dea zumera, En Zu, il sole, syl, sul, il massimo dio accado. Gaspani non vide ciò che non sapeva.

Nella mitologia latina il lustro celebrava l’unione di Marte con Venere. Il periodo del lustro è il punto di congiunzione dell’ideologia sumero-accada con l’ideologia greca, che relegò gli dèi nei misteri eleusini.

 

Carlo Forin

 

 

1 John Alan Halloran, Sumerian lexicon, Logogram Publishing, Los Angeles, 2006: 161.

2 Ivi: 271.

3 Ivi: 293.

4 Esseri mitici mistiformi combinatori di pezzi di piante, animali, cose. Ap-lu fu l’apollo etrusco, ‘soggetto che apre’. Kal combinò kalendae, poi calendario. Lu è il lu veneto, lui italiano, ‘soggetto’. Ogni ap-kal-lu nasce uccidendo il mese precedente per venir ucciso dal successivo. La clip di vita-morte viene attesa come possibile fine del mondo e poi è vissuta come miracolosa rinascita della vita.


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