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Guido Bussoli. Destra e sinistra
15 Giugno 2009
 

Camminando, con un’amica, caschiamo nelle sabbie mobili. Destra e sinistra, discorso stracotto e vischioso. Lei dice che non ci capisce più nulla e che i “simpatici le stanno antipatici”, come nella canzone. E nel dirlo i suoi occhi si fanno grandi e scuri. Io rispondo che ho compreso una sola cosa – ma non è vero – e la cosa che ho compreso è che voto a sinistra ma “sono” forse di destra. Provo anche a motivarlo, dal fondo delle sabbie mobili.

A sinistra si esprime ora una fiducia relativa (sempre revocabile, dubbiosa e piena di distinguo) per un’idea percepita come invece assoluta, quindi incontestabile pena i sorrisini di sarcasmo. Insomma, una verità. Eppure è una verità paradossale, perché coincide con la relatività di tutti i valori e di tutte le verità, con la democrazia delle idee, e ha dunque nella tolleranza e nel rispetto delle differenze il suo naturale corollario. Ma tale rispetto può essere solo nominale, per l’ovvia ragione che se la relatività dei valori è l’Assoluto, qualsiasi altro valore che abbia pretesa di assolutezza è fuori gioco e viene pregiudizialmente negato – da qui i sorrisini. Arriviamo così alla sinistra postmoderna, la sinistra degli aperitivi e dei portaocchiali a cordicella, che vive con disinvolta scioltezza dentro a tale paradosso. In altre parole, proclama la sua negazione. Oppure nega la sua proclamazione.

Diversamente la destra vive in modo assoluto (appassionato, eroico e anche un filo teatrale) l’adesione ad una verità relativa, dove la visione del mondo si traduce in una sorta di sineddoche: la parte, la propria parte, in luogo del tutto. Al netto di skinheads, saltatori nel cerchio di fuoco e cretini vari, la destra più consapevole ha perciò una visione tragica dell’esistenza, che potrebbe essere riassunta nelle parole di Eraclito: “Di tutte le cose Polemos è padre”.

Tale convinzione non porta però a negare la parte antagonista, come viene fatto dalla sinistra dei sorrisi. Al contrario: l’avversario è un “assoluto relativo” allo stesso modo in cui lo siamo noi. È allora nella contesa vitale con l’avversario che si riesce ad uscire dal paradosso. Perché l’assolutezza con cui la destra culturale vive il suo essere di parte, non coincide, in effetti, con la natura stessa e relativa della parte. Piuttosto con la contesa medesima, con Polemos. Il dissidio originario tra le parti finisce così col rivelarsi come l’implicito elemento di unificazione. Jünger osserva il militare inglese che fuma l’ultima sigaretta, mentre con l’altra mano si contiene le budella fuoriuscite dall’addome, e in quell’immagine si rispecchia. La lealtà verso la propria parte esprime dunque una lealtà più profonda ad un paradosso di natura esistenziale, non logica o politica. Un mistero che Totò, nella sequenza finale di un cortometraggio di Pasolini, sussurrava a questo modo: “Ah, meravigliosa e struggente bellezza del creato…”.

Ecco, io la penso così, dico alla mia amica. Per questa ragione penso pure che la nostra destra politica, così spensieratamente priva di fondamenti quanto di tensione “particolare” – e il particolare non coincide mai con l’individuale, questo è chiaro – sia una contrazione individualistica della filosofia postmoderna, quindi in un certo senso “di sinistra”. Che il vero fondamentalismo sia sempre e solo di centro. Mentre il marxismo coincida con l’ultimo grande slancio della mistica marziale, centrato com’è sulla contrapposizione polemica ossia su una dialettica solo presunta, mentre al fondo soggiace a un’estetica dell’aporia, ad una vertigine del bellum. “Intendi dire che il marxismo è di destra?”, mi interrompe la mia amica. Io la guardo e mi sembra che i suoi occhi siano ancora più grandi e scuri.


Guido Bussoli


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