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Anna Lanzetta: “Pasqua a New York” di Blaise Cendrars
Cendrars in un ritratto di Modigliani
Cendrars in un ritratto di Modigliani 
18 Aprile 2008
 

L’immagine di un animo travagliato in un mondo travagliato. Pasqua a New York è l’analisi critica condotta da un poeta che scava nel profondo dell’uomo e della società come denuncia e come indagine psicologica con una forte connotazione soggettiva. Cendrars rende plastica e visiva la descrizione dell’evento, e coglie l’immediatezza della vita, attraverso la scelta e l’uso sapiente di parole che si caricano di mille significati in un panorama storico a lui coevo e a noi contemporaneo. Lo scritto evidenzia la potenza della poesia e l’efficacia della parola sul lettore.

Dalla voce di Carlo Ninchi, quale io l’ascolto, con il presente testo, desidero rendere omaggio a Giovanni Frediani, un mio amico scomparso, in tarda ma giovane età, che in vita mi fece dono di cassette audio, contenenti testi poetici e altro, che allora feci ascoltare ai miei studenti e che oggi porgo ai lettori di Tellusfolio, secondo la scelta da lui operata.

A. L.

 

 

Pasqua a New York

 

Oggi è il giorno del tuo Nome, Signore,
Ho letto in un vecchio libro le gesta della tua Passione,
E la tua angoscia e i tuoi travagli e le tue buone parole
Sono le lacrime di quel libro, dolcemente monotone.
Un monaco di un altro tempo mi parla della tua morte.
Tracciava la tua storia con lettere d'oro
In un messale posato sulle ginocchia.
Piamente lavorava ispirandosi a Te.
Seduto con la sua veste bianca, dietro l'altare,
Lentamente lavorava dal lunedì alla domenica.
Le ore si fermavano al limitare del suo eremo.
Chinato sulla tua immagine, lui si dimenticava di tutto.
Al vespro, quando salmodiavano le campane,
Il buon frate non sapeva se era il suo amore
O se era il Tuo, Signore, o il Padre tuo
A bussare a gran colpi alle porte del monastero.
Sono come quel buon monaco, stasera, mi sento inquieto.
Nella stanza accanto, un essere triste e muto
Aspetta dietro la porta, aspetta che io lo chiami!
Sei Tu, è Dio, sono io - è l'Eterno.
Non Ti ho conosciuto allora - e neppure adesso.
Non ho mai pregato quando ero un bambino.
Ma stasera Ti penso con terrore.
La mia anima è una vedova in lutto ai piedi della tua Croce;
La mia anima è una vedova in nero - è tua Madre
Senza pianto e senza speranza, come l'ha dipinta Carrière.
Conosco tutti i tuoi quadri appesi nei musei;
Ma Tu stasera cammini, Signore, al mio fianco.
Scendo a gran passi verso i quartieri più miseri,
La schiena curva, il cuore teso, lo spirito febbrile.
Il tuo costato aperto è come un sole immenso
E le tue mani attorno palpitano di scintille.
I vetri delle case sono invasi di sangue
E, dietro, le donne sono fiori di sangue,
Strani fiori del male, avvizziti, orchidee,
Calici capovolti aperti sulle tue tre piaghe.
Il tuo sangue raccolto, non l'hanno mai bevuto.
Hanno labbra dipinte e sottovesti di pizzo.
I fiori della Passione sono bianchi, come ceri,
Sono i fiori più dolci nel Giardino della Vergine.
È a quest' ora, Signore, è verso l'ora nona,
Che la tua Testa ricadde sul tuo Cuore.
Sono seduto in riva all'oceano
E mi ripeto un cantico tedesco,
Dove si dice con parole dolcissime, assai semplici e pure,
La bellezza del tuo Volto nella tortura.
In una chiesa, a Siena, in una cripta,
Ho visto lo stesso Volto, sul muro, dietro una tenda.
E in un romitaggio, a Burrie- Wladislasz,
E’ sbalzato a oro in un reliquiario.
Delle gemme opache sono al posto degli occhi
E dei contadini baciano inginocchiati i Tuoi occhi.
È impresso sul velo della Veronica
Perciò la Veronica è la Tua santa.
E’ la reliquia più efficace che si porti in giro nei campi,
Guarisce tutti i malati, tutti i malvagi.
Fa mille e mille altri miracoli,
Ma non ho mai assistito a queste scene.
Forse mi manca la fede, Signore, mi manca la bontà
Per vedere tale irradiare della tua Bellezza.
Eppure, Signore, ho compiuto un periglioso viaggio
Per contemplare in un berillo il rilievo della tua effigie.
Fa, Signore, che il mio volto premuto nelle due mani
Vi lasci cadere la maschera d'angoscia che mi serra.
Signore, fa che le mie due mani posate sulla bocca
Non conoscano la schiuma di una disperazione crudele.
Sono triste e ammalato. Forse per causa Tua,
Forse per causa di un altro. Forse per causa Tua.
Signore, la folla dei poveri per cui facesti il Sacrificio,
È qui, stipata come bestiame, negli ospizi.
Immense navi nere arrivano dagli orizzonti
E li sbarcano, a mucchi, sui pantani.
Vi sono Italiani, Greci, Spagnoli,
Russi, Bulgari, Mongoli, Persiani.
Sono bestie da circo che saltano i meridiani.
Si getta loro un pezzo di carne nera, come ai cani.
È tutta la loro felicità questo cibo immondo.
Signore, pietà per i popoli che soffrono.
Nei ghetti, Signore, brulica la turba degli Ebrei
Vengono dalla Polonia e sono tutti rifugiati.
Certo che lo so,ti hanno processato;
Ma credimi non sono del tutto malvagi.
Stanno nelle loro botteghe sotto lampade di ottone,
Vendono abiti vecchi, libri usati, armi.
A Rembrandt piaceva dipingerli nelle loro zimarre.
lo, stasera, ho contrattato un microscopio.
Ahimè! Signore, T'u non ci sarai più, dopo Pasqua
Signore, pietà per gli Ebrei delle baracche.
Le umili donne, ignare, che ti accompagnarono al Golgota,
Stanno nascoste. In fondo ai tuguri, su immondi sofà,
Sono bruttate dalla miseria degli uomini.
Dei cani hanno rosicchiato le loro ossa, e nel rum
Nascondono il vizio incallito che va perdendo le squame.
Quando una di queste donne mi parla, Signore, io sto male.
Vorrei essere Te per amare le prostitute.
Pietà, Signore, per le povere prostitute.
Signore, sono nel quartiere dei bravi ladri,
Dei vagabondi, dei mendicanti, dei ricettatori.
Penso ai due ladroni che erano con te al Supplizio,
So che ti degni sorridere della loro miseria.

Signore, uno vorrebbe una corda con un nodo in cima,
Ma non è gratis, la corda, costa venti soldi.
Ragionava come un filosofo, quel vecchio bandito.
Gli ho dato un po' d'oppio perché vada più svelto in paradiso.

Penso anche ai suonatori di strada,
Al violinista cieco, al monco che suona l'organetto,
A quella che canta col cappello di paglia a rose di carta;
So che sono loro che cantano nell'eternità.

Dà loro l'elemosina, Signore, non solo la luce dei fanali a gas,
Signore, fa loro la carità di un po' di soldi in questa vita.

Quando moristi, Signore, la cortina si lacerò,
Ciò che si vide dietro, nessuno l'ha detto.

La strada è come una piaga nella notte,
Tutta oro e sangue, fuoco e immondizie.

Quelli che avevi cacciati dal tempio con la tua frusta,
Sferzano i passanti con una manciata di misfatti.

La Stella che sparì allora dal tabernacolo,
Brucia sui muri nella luce cruda degli spettacoli.

Signore, la Banca illuminata è come una cassaforte,
Dove,si è coagulato il Sangue della tua morte.

Le strade si fanno deserte, divengono più nere.
lo vacillo come un ubriaco sui marciapiedi.
Ho paura dei grandi lembi d'ombra che proiettano le case.
Ho paura. Qualcuno mi segue. Non ho il coraggio di voltarmi.

Un passo zoppicante saltella sempre più vicino.
Ho paura. Ho il capogiro. Mi fermo apposta.
Uno spaventoso mariolo mi ha lanciato un'occhiata
Acuta, poi è passato, sinistro, come un pugnale.

Signore, non è mutato nulla da quando non sei più Re.
Il Male si è fabbricato una gruccia con la tua Croce.

Scendo i gradini consunti di un caffè
Eccomi seduto dinanzi a un bicchiere di tè.

È un locale di Cinesi, sorridono con la schiena,
Per questo si chinano, pieni di moine come macachi.

Il locale è piccolo, con un intonaco rosso,
E curiose fotografie dentro cornici di bambù.

Ho-Kousai ha dipinto i cento profili di una montagna,
Come sarebbe il tuo Volto dipinto da un Cinese?..

Quest'ultima idea, Signore, mi ha in principio fatto sorridere.
Ti vedevo di scorcio nel tuo martirio.

Ma tuttavia il pittore avrebbe dipinto il tuo, tormento
Con più crudeltà dei nostri pittori Occidentali.

Lame ondulate avrebbero segato le tue carni,
Pettini e pinze avrebbero striato i tuoi tendini,

Ti avrebbero fatto passare il collo in una gogna,
Ti avrebbero strappato le unghie e i denti,

Immensi dragoni neri si sarebbero gettati su di Te,
E ti avrebbero soffiato le loro fiamme nel collo,

Ti avrebbero strappato la lingua e gli occhi,
Ti avrebbero impalato su di una pertica.

Così, Signore, avresti sofferto ogni infamia,
Poiché non esiste posizione più crudele.
Poi, ti avrebbero gettato ai porci
Che ti avrebbero divorato il ventre e le viscere.

Adesso sono solo, gli altri sono usciti,
Mi sono disteso su un banco lungo il muro.
Avrei voluto entrare, Signore, in una chiesa;
Ma non esistono campane, Signore, in questa città.

Penso alle campane silenziose: - ma dove sono le antiche campane?
Dove sono le litanie e le dolcissime antifone?
Dove sono i lunghi uffizi e dove i bei cantici?
Dove sono le liturgie e dove le musiche?

Dove sono i tuoi fieri prelati, Signore, dove le tue religiose?
Dove il camice bianco, l'amitto dei Santi e delle Sante?

La gioia del Paradiso scompare nella polvere,
I mistici fuochi non rosseggiano più sulle vetrate

L'alba tarda a venire, e nello stretto tugurio
Delle ombre crocefisse agonizzano alle pareti.
È come un Golgota notturno in uno specchio
Dove lo si veda rossastro tremolare sul nero.

Sotto la lampada il fumo sembra un panno stinto
Che si avvolge attorcigliato attorno ai tuoi fianchi.
Al di sopra è sospesa la lampada fioca
Come la tua Testa, è triste esangue morta.

Degli strani riflessi palpitano ai vetri...
Ho paura, - e sono triste, Signore, d'essere così triste.

«Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?»
- Tremare la luce, umile nel mattino.
«Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?»
- Palpitare come mani biancori smarriti.

«Dic nobis, Maria, quid vidisti in via? »
- Trasalirmi nel seno il presagio di primavera.

Signore, l'alba è scivolata fredda come un sudario
E ha messo a nudo nell'aria i grattacieli.

Già un rumore immenso risuona sulla città.
Già balzano i treni, rombano e passano.
La metropolitana corre e rimbomba sottoterra.
I ponti vibrano al passare dei treni.

La città trema. Grida, fuoco, fumo,
Urlano rauche le sirene a vapore.
Una folla sudata per la febbre dell'oro
Si pigia e sprofonda in lunghi corridoi.

Offuscato, nell'intrico dei tetti fumanti,
Il sole, è il tuo Volto lordato dagli sputi.

Signore, rincaso stanco, solo, estremamente depresso...
La mia camera è spoglia come una tomba...
Signore, sono solo e ho la febbre...
TI mio letto è gelato come una bara...

Signore, chiudo gli occhi e batto i denti...
Sono troppo solo. Ho freddo. Ti chiamo...

Centomila trottole vorticano davanti ai miei occhi...
No, centomila donne... No, centomila violoncelli...

Penso, Signore, alle mie ore infelici...
Penso, Signore, alle mie ore per le strade...
Non penso più a Te. Non penso più a Te.

Blaise Cendrars
New York, aprile 1912

 

 

Blaise Cendrars, pseudonimo dello scrittore francese di origine svizzera Frédéric Sauser (La Chaux-de-Fonda 1887-Parigi 1961). A sedici anni iniziò con una fuga verso la Russia, l’Asia e l’America una vita avventurosa che continuò anche dopo l’amputazione di un braccio in seguito a ferite di guerra. La sua opera nasce sotto il segno del cosmopolitismo, dell’avventura e della modernità, influendo in questa direzione sulle più importanti figure dell’arte contemporanea, da Apollinaire a Ricasso, a Picabia e a Braque. Nel 1909 venne pubblicata la sua prima opera poetica, La légende di Novgorod, cui seguirono Les Pàques a New York (1912; Pasqua a New York), La prose du Transsibérien et de la petite Jehanne de France (Prosa della Transiberiana e della Piccola Giovanna di Francia), del 1913, che influenzarono il movimento surrealista e la poesia di Apollinaire e Kodak (1924).

Le opere in prosa sono una sorta di epopea dell’avventuriero moderno, tra queste: L’or (1925; L’oro), L’homme foudroyè (L’uomo fulminato, 1945), La main coupée (1946, La mano tagliata),

Emmène-moi au bout du monde (1955; Portami in capo al mondo).

Blaise Cendrars morì a Parigi, nel 1961. (Grande Enciclopedia D’Agostini)


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