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Marisa Cecchetti. “I rifugiati” di Viet Thanh Nguyen
19 Febbraio 2018
 

Viet Thanh Nguyen

I rifugiati

Traduzione dall’inglese di Luca Brisco

Neri Pozza, 2017, pp. 224, € 16,50

 

Ci sono tragiche migrazioni che rischiano di essere dimenticate, nel rumore assordante delle fughe attuali da luoghi di guerra, di persecuzione, di fame.

Viet Thanh Nguyen è fuggito per mare dal Vietnam del Sud insieme alla sua famiglia, in seguito alla occupazione di Saigon da parte dell’esercito del Vietnam del Nord ed alla ritirata degli Americani. Una guerra iniziata nel 1955, quella del Vietnam, di cui non è stato facile nemmeno calcolare bene le vittime -le stime approssimative parlano di più di un milione di vittime tra i militari e di quattro milioni di civili- combattuta con armi chimiche devastanti da parte degli USA, finita venti anni dopo, in un lasso di tempo che ha visto il susseguirsi di quattro Presidenti americani, la nascita di forti movimenti pacifisti ed un altissimo tributo di vittime statunitensi, di mutilati, di traumatizzati.

L’estensione del regime comunista al Sud dette inizio ad un periodo di “rieducazione” che non escludeva campi di concentramento e plotoni di esecuzione. La definizione di boat people nasce proprio dalla fughe dei vietnamiti: «Fu allora che in lontananza apparve un’altra nave diretta verso di noi. Era veloce, mentre noi procedevamo a fatica, rallentati dal peso di più di cento persone su un peschereccio che era stato progettato per trasportare solo un certo numero di pescatori» (Donne dagli occhi neri). Poi un colpo con il calcio di una mitraglietta: «Mio fratello cadde come un peso morto mentre il sangue gli scorreva dalla fronte, e la mascella e la tempia sbatterono sul ponte con un tonfo tremendo, che risuona ancora nei miei ricordi». Sono situazioni che purtroppo si ripetono nel tempo.

Proprio dei rifugiati parla, in questa raccolta di racconti, Thanh Nguyen, docente universitario presso la University of Southern California di Los Angeles, già autore del romanzo Il simpatizzante, premio Pulitzer 2016, che racconta un Vietnam più reale di ogni altra versione letteraria e cinematografica.

Anche lui, insieme alla famiglia, è stato alloggiato dapprima in Pennsylvania, in uno dei quattro campi allestiti per raccogliere i profughi. La nuova vita inizia in California, dove i genitori aprono un negozio di prodotti vietnamiti.

Ricreare una comunità in cui riconoscersi, recuperare abitudini, respirare il profumo dei propri cibi, tutto questo fa da lenimento al distacco ed all’assenza, è la base da cui ripartire. Ma non sarà mai una vera nuova vita, quella dei rifugiati, bensì un sopravvivere divisi a metà, sia pure nella consapevolezza della propria fortuna di sopravvissuti. La nostalgia è notte e giorno compagna, tuttavia chi ha potuto fare un viaggio nella vecchia Saigon racconta di aver faticato a riconoscerla, di essersi sentito un estraneo, e la paura nei confronti del nuovo indirizzo politico finisce per vincere sulla nostalgia.

In California i vietnamiti sono riconosciuti a fatica tra le popolazioni dagli occhi a mandorla: di quale paese siete? E lì neppure la luce li consola, così diversa dal bagliore tropicale a cui erano abituati.

I fantasmi del passato non li abbandonano. Possono rimanere fobie e ossessioni: «Le grandi distese d’acqua risvegliavano in lei la paura di annegare: una fobia così forte che non faceva più il bagno e anche durante la doccia evitava di mettersi direttamente sotto il getto» (Se solo mi volessi).

Ma i rifugiati, da qualsiasi parte del mondo siano fuggiti, nel faticoso tentativo di riconoscere se stessi, di accettare le mutilazioni delle proprie famiglie, di contenere il dolore, hanno comunque l’obbligo morale di raccontare. Per non perdersi. Raccontare storie vere, perché le radici non vengano dimenticate dalla generazioni a venire.

Eppure chi ha sganciato dal suo aereo le bombe sul Vietnam, se vi torna come turista, non capisce fino in fondo la vergogna di una figlia che ha deciso di trasferirsi in Vietnam e dedicarsi allo sminamento, che si sente non americana ma vietnamita nell’anima. Il padre bombardiere non aveva visto quello che succedeva a terra: «Dopo averle sganciate, le bombe cadevano alle spalle del B-52, che proseguiva il suo tragitto» (Gli americani).

 

Marisa Cecchetti


 
 
 
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