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Gianfranco Cercone. “Il sapore della ciliegia” di Abbas Kiarostami: il suicidio come test
17 Luglio 2016
 

La morte, che risale ai primi di luglio, del regista iraniano Abbas Kiarostami – uno dei maggiori autori del cinema contemporaneo – ha suggerito a un circuito di sale d'essai di Roma – il Circuito Cinema – di riproporre per alcuni giorni in sala su pellicola, uno dei suoi film più belli: Il sapore della ciliegia: il film che nel '97 vinse la Palma d'Oro al festival di Cannes.

È un'iniziativa che auspico possa essere riproposta in altre città d'Italia visto il successo, in una certa misura credo imprevisto, che ha ottenuto a Roma.

Il sapore della ciliegia – un film originalissimo, geniale – ha la struttura di uno di quei test che si vedono a volte realizzati con una “candid camera”.

Un uomo, a bordo di un'automobile – dallo sguardo stralunato di chi è immerso in certi propri stravaganti pensieri – muovendosi nella periferia di Teheran, avvicina alcuni sconosciuti, ed espone loro, per gradi, con cautela, una proposta del tutto fuori dell'ordinario.

Egli intende uccidersi e chiede loro, sia pure in cambio di denaro, un gesto pietoso: qualora riesca a portare a compimento il suo piano – assumere un'overdose di sonniferi e poi stendersi in una fossa – vuole essere seppellito, in modo che il suo corpo non resti in balia degli uccelli rapaci.

Ho parlato della struttura di uno sketch da candid camera. Ma certo la natura del test è tale da non suscitare soltanto reazioni epidermiche, come accade spesso in quegli sketch. La confessione di uno sconosciuto che confida con evidente serietà di volersi uccidere è destinata a rivelare certe qualità “morali” dell'interlocutore, come la capacità di provare compassione, di essere solidale; e allo stesso tempo è una sonda nella sua mentalità, nell'idea o nel sentimento che egli, come tutti, custodisce della vita e della morte.

In effetti se alcuni degli interlocutori dell'aspirante suicida, restano nel film più indefiniti – anche perché, non trovando in loro un ascolto, l'uomo non espone loro fino in fondo la sua proposta, e loro la scambiano forse per una proposta sessuale, e reagiscono con dispetto o magari sono lusingati – altri interlocutori, tre in particolare, sono resi invece attraverso tre ritratti “a tutto tondo”, complessi e vivi, memorabili.

Sono un giovane contadino del Kurdistan, che adesso fa il servizio militare, umile e buono, che a sentir parlare di suicidio è preso dal terrore e fugge dall'automobile (poiché l'uomo gli ha dato un passaggio); lo studente di una scuola coranica, mite, non un fanatico, che però, all'evocazione del suicidio, reagisce con rigidità dottrinale; e infine, il più anziano dei tre, il tecnico di laboratorio di un museo, che, senza pietismi, virilmente, ma con grande calore, si profonde nel racconto di una mattinata in cui lui stesso intendeva uccidersi e fu distolto da quel proposito dal sapore squisito di un gelso caduto dall'albero a cui voleva impiccarsi. E in questo suo bellissimo racconto, senza un'oncia di retorica, la rivelazione della bellezza e della fraternità della natura, colta in un momento di profonda disperazione, ha degli accenti che possono ricordare quel capolavoro letterario che è “Il cantico delle creature” di San Francesco.

Kiarostami, osteggiato dal regime iraniano, ha lavorato nell'ultimo decennio della sua vita all'estero. Il suo ultimo film, molto bello, ma commercialmente sfortunato, è ambientato in Giappone: si intitola Qualcuno da amare, ed è disponibile in dvd.

I suoi film di ambientazione iraniana contengono una critica sociale implicita, tra le righe, la sola che evidentemente gli era concessa. L'aspirazione al suicidio del protagonista del Sapore della ciliegia, i cui moventi restano del tutto misteriosi, può alludere per ciò stesso, pericolosamente agli occhi di un regime, a ogni cosa.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 16 luglio 2016
»» QUI la scheda audio)


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