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Maria Paola Forlani. Ri–conoscere Michelangelo 
La Scultura del Buonarroti nella Fotografia e nella Pittura dall’Ottocento a oggi
07 Marzo 2014
 

Michelangelo pittore ci ha lasciato soltanto quattro opere, anche se di proporzioni colossali, ha negato e rifiutato la sua appartenenza alla pittura, proclamandosi scultore e architetto, eppure con lui muore il mondo della pittura rinascimentale e ne esce un altro, ben più drammatico e modernamente più inquieto. Con Michelangelo infatti inizia la parabola dell’artista come genio, come creatore di mondi e di “concetti”, e tramonta la feconda stagione della bottega d’arte, dove il maestro non era, e non si riteneva, diverso dall’artigiano, dove l’educazione degli allievi e la collaborazione degli aiuti erano prassi, e l’aspirazione maggiore era l’adeguatezza del prodotto alle esigenze della committenza e alle regole del decoro. Dove maggiore era il risultato quanto più si avvicinava al vero e alla natura, secondo la teoria della classica mimesi, o imitazione.

Michelangelo non ebbe allievi, eppure la sua “gran maniera” (Vasari) divenne scuola, corrente stilistica che si diffuse in tutta Europa, e anche questo è un fatto che lo rende, straordinario e moderno.

Il testamento di Michelangelo resta la Pietà Rondanini. Un testamento che ci parla di una grande solitudine, di una disperazione irrimediabile. Il fatto è che Michelangelo «era un mistico e sono i mistici, non scettici, a disperarsi per l’assenza di Dio dal mondo…» (Argan). Ma in questa disperazione, in questa solitudine eroica, Michelangelo prefigura uno dei caratteri dell’arte e dell’artista moderni, e anche in questo sta la sua grandezza.

In occasione delle celebrazioni per i quattrocentocinquanta anni della Morte di Michelangelo Buonarroti – coordinate dall’Accademia delle Arti del Disegno – la Galleria dell’Accademia di Firenze, in collaborazione con i Fratelli Alinari, si è aperta un’esposizione che affronta il complesso tema del rinnovato interesse e dell’ammirazione per l’artista dall’Ottocento alla contemporaneità, attraverso l’opera di scultori, pittori e fotografi che hanno guardato alla figura del Buonarroti e alle sue opere come riferimento iconografico per le loro realizzazioni.

La mostra dal titolo “RI-conoscere MICHELANGELO. La scultura del Buonarroti nella fotografia e nella pittura dall’Ottocento ad oggi”, si svolge alla Galleria dell’Accademia, fino al 18 maggio 2014, a cura di Monica Maffioli e Silvestra Bietoletti (catalogo Giunti).

Partendo dalla produzione fotografica realizzata da alcuni tra i più noti ateliers e professionisti del XIX e del XX secolo, la mostra cerca di evidenziare il ruolo determinante che la fotografia ha svolto nel consolidare la fortuna critica e iconografica di Michelangelo e, attraverso di essa, la celebrazione del suo mito. Una lettura trasversale, in chiave storico-fotografica, che mette al centro il ruolo svolto dalla fotografia, fin dalle sue origini, nel celebrare uno dei massimi artisti del Rinascimento italiano, e nell’eleggere un ristretto pantheon di immagini di sue sculture a monumenti della memoria collettiva.

Il percorso espositivo prende avvio dalle rappresentazioni in chiave storicistica della fisionomia e della personalità di Michelangelo, con opere di Eugéne Delacroix e Auguste Rodin, e di altri autori che hanno operato con il nuovo medium fotografico alle origini, tra i primi Eugéne Piot, Édouard-Denis Baldus, gli Alinari, John Brampton Philpot, solo per ricordare alcuni.

La mostra si caratterizza per un continuo rimando tra le diverse modalità di tradurre e riproporre la scultura del Buonarroti: dalla fotografia intesa come oggetto di documentazione, alla specificità interpretativa nel confronto con la scultura, per giungere alla totale autonomia autoriale novecentesca tale da creare nuovi punti di vista e di analisi dell’opera d’arte. Nasce quindi un nuovo legame tra storici dell’arte e della fotografia, ai quali è affidato il compito di rintracciare le forme e la materia dell’opera a confronto della ricerca storico artistica. Tra i casi visibili in mostra, le fotografie di Giuseppe Pagano alla Pietà Palestrina, il lavoro di David Finn e di Aurelio Amendola, interpreti chiamati a collaborare con autorevoli storici dell’arte che dalle loro indicazioni hanno potuto trarre importanti conferme alle loro teorie e analisi stilistiche.

Via via che il mito si consolida nella percezione collettiva, la presenza di Michelangelo si riconosce anche nell’opera di artisti del Novecento come Medardo Rosso, Henri Matisse, Carlo Mollino, e nella ricerca fotografica di personalità quali Emmanuel Sougez, Herbert List, Horst P. Horst, fino ad avvicinarsi agli anni Settanta, con le ricerche di Tano Festa, Paolo Monti, Antonia Mulas, e raggiungere le esposizioni della contemporaneità con Helmut Newton e Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Gerard Rondeau.

Colte nell’interpretazione fotografica possiamo ammirare, delle note sculture di Michelangelo e i rilievi ammorbidirsi e quasi appiattirsi in tagli e illuminazioni frontali, oppure al contrario, grazie a visuali oblique e a luci decise prender risalto negli oggetti e sprofondare in ombra nelle cavità. Armonia e inquietudine, serenità e dramma, convenzione e trasgressione sono individuati e colti dagli obiettivi e restituiti nei negativi e alle stampe, all’insegna di una variabilità che tiene molto nel soggetto, in quanto facente capo alla filiera degli operatori e comunque, essenzialmente, riconducibili al fotografo.

Il percorso della mostra si conclude con riferimenti al tema della copia e del multiplo nell’epoca della riproducibilità e della massificazione da Karen Knoorr, Lisa Sarfatti, Tim Parchikov, mentre è riconoscibile Michelangelo quale spunto emotivo dell’opera di Luca Pignatelli e modello formale della staged photography di Frank Horvat, Youssef Nabil, Kim Ki duk, fino a diventare ‘assenza’ nelle immagini di Thomas Struth e Candida Höfer.

 

Maria Paola Forlani


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