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Alejandro Torreguitart Ruiz. Mamma, voglio fare il dissidente
01 Agosto 2013
   

Mamma è preoccupata. Dice che non scrivo più. Questa è bella, proprio lei che stava sempre a dire Alejandro non fai un cazzo dalla mattina alla sera, perché non ti trovi un lavoro serio invece di scrivere, ora mi rimprovera perché non scrivo.

– Mamma, ti senti bene?, – le chiedo.

– Mai stata meglio, – risponde. E intanto separa i fagioli buoni dai cattivi. Solito gesto che scandisce il ritmo del quotidiano in questo paese dove non succede mai niente e si va avanti così, tanto siamo cubani, s’inventa.

– Non scrivo a richiesta, mamma. Scrivo quel che vedo. Ho parlato di froci, puttane, gente che scappa, mogli che uccidono mariti. Ho messo in burletta Lovecraft e Dickens. Non ho più idee, mamma.

– Fattela venire, allora. Chiama il tuo amico camajan. Digli che ti pubblichi un libro, una raccolta di racconti, qualcosa. I soldi fanno comodo, Alejandro. Abbiamo la casa da restaurare…

Ora mi spiego la foga letteraria di mia madre. Non ha mai letto un libro in vita sua, al massimo Juventud Rebelde, le pagine dei fumetti, riviste tipo Palante e Bohemia, cose che non si trovano più. Figurati se legge quel che scrivo, e poi meglio così, ché con tutti i cazzi e i culi che ci metto dentro le prenderebbe male. Ma i soldi dei diritti le interessano, certo. Mai chiedersi da dove provengono. Basta che arrivino. E allora cara mamma, tu non lo sai, ma un modo ci sarebbe per fare un po’ di soldi senza fatica. Mi sa che non ti piace ma oggi come oggi rende bene fare il dissidente. Ricardo Alarcón deve essersi preso uno sturbo, ché da un anno a questa parte volano tutti in Europa e nordamerica, i cieli del mondo sono pieni zeppi di dissidenti cubani, le strade del nord brulicano di cubani coperti da enormi cappotti che parlano di politica, mangiano caldarroste e bevono vodka. E io che ho sempre avuto paura. Mi sa che sono proprio fesso. Pubblico libri in Italia, non mi faccio vedere, mia madre dice ti mettono in galera e buttano la chiave, mio padre aggiunge ragazzo fai attenzione. E io sto attento, tranquilli, ma qui non sta più attento nessuno, vanno in America i Porno Para Ricardo, persino Gorki, che a tempo perso manda affanculo Raúl Castro e dà del vecchio rimbambito a Fidel. Ma mica viaggiano e basta, mica affollano gli aeroporti per far dispetto al vecchio Alarcón, no, riscuotono pure un sacco di soldi, tra concerti, conferenze, lezioni universitarie e articoli sulla stampa di mezzo mondo. Scorreggia un dissidente? El País concede la prima pagina e una collaborazione da opinionista. Alejandro, fatti furbo, segui la tua strada. Altro che quattro spiccioli da un editore italiano per scrivere storie di froci e puttane, ché gli italiani quello leggono, pare. Dicono che la Sezione d’Interessi paghi bene, basta farsi coraggio, osare un pochino, aprire un blog, poi ci si mette in lista d’attesa. Magari trovo un agente letterario europeo, firmo qualche contratto, apro un conto in Svizzera o in Spagna, un posto vale l’altro, deposito i soldi e ogni tanto attingo per le piccole spese.

Non farò mai niente di tutto questo, lo so, ma è bello sognare…

– Mamma, ora come ora mi vengono solo poesie, – dico.

– Figlio mio, con la poesia non ha mai mangiato nessuno.

Ecco, mia madre non capisce un cazzo di letteratura, tra l’Indio Naborí e Lezama Lima preferisce il primo, pensa che Proust sia una malattia infettiva, una cosa tipo la proustite, nonostante tutto ha capito che con la poesia non si mangia. Mamma, si mangerebbe girando per il mondo a fare il santone, rischi zero, mica siamo il Kazakistan, non ci tocca nessuno. Mamma, voglio fare il dissidente, è il mestiere del futuro. Avrei tanta voglia di dirglielo, ma meglio di no, non reggerebbe il colpo. E poi mica ce la farei. Meglio inventarsi un’altra storia di puttane, guarda, come ha detto l’editore l’altro giorno, magari una trilogia, ché ora vanno di moda le trilogie. Quasi quasi scrivo La puttana dissidente, mi sa che diventa un best-seller, anche senza sfumature di grigio, ché qui le sfumature ci sono, e neanche poche, ma è meglio non dire di cosa...

 

Alejandro Torreguitart Ruiz

L’Avana, 31 luglio 2013

Traduzione di Gordiano Lupi


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