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Alberto Figliolia. Valerio Grassi e il bosone di Higgs
05 Settembre 2012
 

Una grande storia per una piccolissima particella, così piccola da essere invisibile se non per i più sofisticati macchinari creati dall'uomo. L'infinitamente piccolo per spiegare l'infinitamente grande. Il bosone di Higgs, la cosiddetta particella di Dio, teorizzata e di recente finalmente individuata al CERN di Ginevra. Valerio Grassi, 43enne di Trezzano sul Naviglio, alle porte di Milano, è un fisico italiano, che dall'Italia ha dovuto, suo malgrado, andarsene portando altrove i frutti del proprio intelletto e formazione. Al CERN di Ginevra, per la precisione. E questa è l'altra storia.

Il bosone di Higgs e Valerio Grassi si sono infine fatalmente e felicemente incrociati. Un po' meno lieto il destino dell'Italia che perde i suoi ricercatori, costretti a migrare (per la felicità degli altri... anche se più importante è che se ne avvantaggino il mondo e l'umanità).

«Mi presento: sono Valerio Grassi, Senior Researcher presso la State University of New York at Stony Brook (NY, USA) e basato al CERN dal novembre 2009. Laureato in Fisica all'Università degli Studi di Milano, dove ho frequentato anche il Corso di Perfezionamento in Fisica Nucleare e Subnucleare. Sono membro della Società Italiana di Fisica e Senior Member della IEEE americana. Il mio campo principale di ricerca è lo sviluppo di strumentazione elettronica per rivelatori di particelle. Ho iniziato la mia carriera nel 1998 al Dipartimento di Fisica dell'Università degli Studi di Milano sviluppando un nuovo dispositivo in grado di operare nello spazio in ambiente criogenico, in collaborazione con il NASA Goddard Space Flight Center e una foundry statunitense. Ho collaborato, inoltre, allo sviluppo di tecnologie di punta nell'ambito dei semiconduttori realizzati con processi IBM e ST Microelectronics. Al contempo ho sviluppato la strumentazione per il rivelatore di fluorescenza atmosferica del Pierre Auger Observatory (realizzato al nord della Patagonia, in Argentina) e la collaborazione di cui ho fatto parte ha determinato le sorgenti di raggi cosmici ad energia ultraelevata come oggetti di origine extragalattica. Dal 2007 sono stato presso la Sezione di Milano dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e ho iniziato a lavorare per la collaborazione ATLAS, esperimento presso il Large Hadron Collider del CERN a Ginevra. Dal novembre 2009 sono il responsabile del sistema di generazione delle alte tensioni per la calorimetria elettromagnetica e adronica ad Argon liquido del rivelatore ATLAS e basato presso il CERN di Ginevra. Appartengo al team di operazioni del detector e gestisco un team internazionale di 5 PhD students. Sono autore-coautore di più di settanta pubblicazioni su riviste internazionali, ho partecipato a dieci conferenze internazionali dove ho presentato lavori inerenti allo sviluppo di elettronica per rivelatori di particelle e per la mia attività scientifica ho ricevuto riconoscimenti sia da parte della Società Italiana di Fisica che da parte della IEEE americana. Sono stato Professore a Contratto presso il Corso di Laurea in Fisica di Unimi e titolare di un corso per il Master in Elettronica e Sistemi Digitali dello stesso ateneo. Durante il mio periodo milanese sono stato correlatore di nove tesi di laurea in Fisica. Da sempre interessato alla divulgazione scientifica, ho collaborato al Progetto Lauree Scientifiche del MIUR. Attualmente sono guida e conferenziere ufficiale del CERN».

Un curriculum niente male. Ma non basta...

«Sia durante i miei studi che durante l'attività accademica ho militato in tre delle principali squadre di pallacanestro del sud-ovest milanese (CSC Corsico, Trezzano Basket, Pallacanestro Cesano Boscone). In tutt'e tre le squadre sono stato il capitano, conquistando una vittoria nel campionato di Prima Divisione con conseguente disputa di diversi campionati di Promozione. Non è raro vedermi ancora oggi in maglietta e calzoncini in vari campetti ai piedi del Jura oppure sulle rive del Lago Lemano».

Lei ha potuto partecipare da vicino alla scoperta del bosone di Higgs...

«Il bosone di Higgs è una particella il cui meccanismo di azione permette di generare la massa. Senza massa l'universo sarebbe un luogo molto diverso da quello che osserviamo. Se l'elettrone non avesse massa, per esempio, non ci sarebbero atomi e non esisterebbe quindi la materia ordinaria come noi la conosciamo. Non avverrebbero reazioni chimiche né processi biologici, la stessa terra non potrebbe esistere. Il Sole e le stelle splendono grazie a una delicata interazione tra le forze fondamentali della natura, interazione che sarebbe completamente stravolta se alcune delle particelle elementari mediatrici di tali forze avessero massa nulla. Il bosone di Higgs gioca un ruolo fondamentale nel meccanismo di generazione della massa delle particelle elementari (così come, per esempio, il fotone gioca il ruolo di componente fondamentale della luce) e rimaneva l’unica particella prevista dal Modello Standard fino a oggi non ancora osservata. Si tratta quindi di un completamento del lavoro iniziato da Newton. Il bosone di Higgs è una pietra miliare nella comprensione del nostro universo».

Al di là degli orizzonti che questa scoperta spalanca sulla genesi dell'universo (la conoscenza per la conoscenza...) quali possono essere gli eventuali riflessi pratici?

«A me piace pensare alla ricerca fondamentale come a un mandala tibetano, un complesso disegno di sabbia che viene distrutto appena terminato, per ricordare la caducità delle cose terrene. I nostri mandala non vengono distrutti (al limite trasportati in un museo)».

Ma i vantaggi immediati di ricerche così dispendiose dal punto di vista economico?

«La Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) e la Tomografia ad Emissione di Positroni (la PET usa antimateria) permettono di guardare all'interno di un corpo umano senza sezionarlo, scoprendo lesioni meniscali e diagnosticando forme tumorali allo stadio precoce. Queste macchine utilizzano le tecnologie che abbiamo sviluppato con i nostri enormi detector. Qui mi fermo, ma gli esempi di ricaduta sull'Umanità sarebbero infiniti».

Lei era un ricercatore in una università italiana, poi un giorno si è ritrovato a dover “scegliere” di lavorare fuori della sua patria. Rabbia, rimpianti, rammarico?

«Vivo una sensazione strana, è come se un giocatore della serie C nostrana (che spesso non veniva neanche convocato) giocasse stabilmente nella NBA dopo essere stato trasferito in America (e qualche volta è pure nel primo quintetto). Forse il coach italico non è stato molto lucido ultimamente? Mi permetta, ancora... Sebbene sia tanto vituperato in patria, Goffredo Mameli aveva composto un inno con una strofa ancora attuale perlomeno per i ricercatori italiani all'estero:

Noi fummo da secoli

calpesti, derisi,

perché non siam popolo,

perché siam divisi.

Raccolgaci un'unica

bandiera, una speme:

di fonderci insieme

già l'ora suonò.

A volte torno a casa, guardando la bandiera italiana che sventola di fronte al CERN nelle belle giornate ginevrine, ogni giorno pare divenire un po' più piccola…».

Che cosa rimprovera oppure suggerisce allo Stato italiano intorno ai problemi della ricerca?

«Il 50% del PIL degli USA è generato da scoperte che derivano dalla meccanica quantistica (microprocessori, fibre ottiche per telecomunicazioni, web ecc.). I presidenti degli USA che si sono succeduti negli anni non hanno mai pensato di tagliare verticalmente i finanziamenti alla ricerca, ben sapendo che avrebbero reciso il futuro della nazione. Da noi università e ricerca vengono sempre più sottofinanziate, come se fossero un lusso e non il motore della innovazione tecnologica che spinge l'impresa. Lo Stato deve comportarsi come un contadino saggio, non deve vendere il suo intero raccolto di grano per trarne il maggior profitto, ma conservare le spighe migliori come semi per le prossime stagioni, per avere campi sempre più fecondi anche in stagioni difficili».

Il CERN, i suoi laboratori, le sue macchine: qualcosa di assolutamente incredibile. Ci regala un po' di dati?

«Il Cern è un laboratorio di pace. È stato fondato meno di dieci anni dopo la costruzione della bomba atomica. Penso che l'esistenza della bomba abbia avuto una grande importanza nel rendere possibile il CERN. L'Europa è stata teatro di violente guerre per più di duecento anni. Adesso, con la fondazione del CERN, abbiamo qualcosa di diverso. Spero che gli scienziati al CERN si ricordino di avere anche altri doveri oltre che proseguire la ricerca nella fisica delle particelle. Essi rappresentano il risultato di secoli di ricerca e di studio per mostrare il potere dello spirito umano, quindi mi appello a loro affinché non si considerino tecnici, ma guardiani di questa fiamma dell'unità europea, così che l'Europa possa salvaguardare la pace nel mondo (Isidor Isaac Rabi, Nobel per la Fisica 1944, in occasione del trentesimo anniversario del CERN - 1984). Il complesso degli acceleratori del CERN comprende sette acceleratori principali, costruiti in vari periodi a partire dalla fondazione dell'istituto. Fin dal principio è stato previsto che ogni nuova e più potente macchina avrebbe utilizzato le precedenti come “iniettori”, creando una catena di acceleratori che porta gradualmente un fascio di particelle a energie sempre più elevate. Difatti, ogni tecnologia di accelerazione delle particelle ha dei ben precisi limiti di energia operativa massima e minima, e nessuna macchina del CERN oltre agli acceleratori lineari può accettare particelle a velocità nulla. Per consentire il funzionamento di questa catena tutte le funzioni degli acceleratori sono coordinate da un unico segnale di riferimento, generato da un sistema di orologi atomici e distribuito per tutta l'installazione, con una precisione dell'ordine del nanosecondo. Fra gli acceleratori principali a disposizione del CERN due LINAC, o acceleratori lineari, che generano particelle a basse energie, che successivamente vengono immesse nel PS Booster. Uno fornisce protoni a 50 MeV, l'altro ioni pesanti. Sono noti come Linac2 e Linac3, rispettivamente. Tutta la catena di acceleratori successiva dipende da queste sorgenti...».

Siamo ammutoliti...

«Il Super Proton Synchrotron (SPS), un acceleratore circolare di 2 km di diametro, costruito in un tunnel, iniziò a funzionare nel 1976. Originariamente aveva un'energia di 300 GeV, ma è stato potenziato più volte fino agli attuali 450 GeV per il protone. Oltre ad avere una propria linea di fascio rettilinea per esperimenti a bersaglio fisso, ha funzionato come collisore protone-antiprotone e come booster finale per gli elettroni e i positroni da iniettare nel Large Electron Positron Collider (LEP). Ha ripreso questo ruolo per i protoni e gli ioni piombo richiesti dall'LHC. Il Large Hadron Collider (LHC), entrato in funzione il 10 settembre 2008, ha rimpiazzato il LEP. Si estende su una circonferenza di 27 chilometri ed è stato progettato per 7000 GeV (7 TeV) di energia massima per fasci di protoni, con la previsione di innalzarla successivamente a 14 TeV: è la più alta della storia e dovrebbe permettere condizioni sperimentali paragonabili a quelle dei primi momenti di vita dell'Universo, subito dopo il Big Bang».

Professore, ci colgono le vertigini...

«Alcuni importanti successi nel campo della fisica delle particelle sono stati possibili grazie agli esperimenti del CERN. Per esempio: la scoperta della corrente neutra, nel 1973, nella camera a bolle Gargamelle. La scoperta dei bosoni W e Z, nel 1983, negli esperimenti UA1 e UA2 dell'SPS. Il Premio Nobel per la fisica fu assegnato a Carlo Rubbia e Simon van der Meer per quest'ultima scoperta. Nel 1992 il Premio Nobel per la Fisica fu assegnato a Georges Charpak “per l'invenzione e lo sviluppo dei rivelatori di particelle, in particolare della camera proporzionale a multifili”. Nel 1995 la prima creazione di atomi di Anti-idrogeno nell'esperimento PS210. Nel 2012 la dimostrazione sperimentale dell'esistenza del bosone di Higgs».

In quanti avete lavorato/lavorate a questo progetto e altri?

«La collaborazione Atlas è composta circa da 2000 fisici e da 1.000 PhD students, provenienti da 38 paesi ed appartenenti a 174 istituzioni universitarie differenti, dal Marocco agli USA».

Qual è la sua giornata tipo?

«Mi sveglio (sempre che sia andato a letto… noi del team di operazioni a volte trascorriamo la notte in control room) verso le 7:30. Leggo i mail della shift crew notturna mediante l'iPhone direttamente dal letto, poi faccio colazione guardando il telegiornale della Svizzera Italiana. Il panorama del Mont Blanc e della Salève mi rallegrano la mattina. Ore 9: briefing del team di operazioni del sistema calorimetrico ad Argon liquido. Ore 9:30: briefing del team di operazioni dell'intero rivelatore Atlas. Ore 10: controllo dei parametri di funzionamento del sistema di cui sono responsabile. Ore 11: lavoro in laboratorio di elettronica su futuri sviluppi del detector. Ore 13: pranzo con altri colleghi, responsabili di parti di LHC oppure sviluppatori del SW di ricostruzione dei dati. PROIBITO parlare di lavoro… gli argomenti vertono dalla letteratura alla musica classica, sino a discorsi da Bar Sport. Il pranzo al CERN è un'occasione sociale di aggregazione. Ogni selezione al CERN prevede che i candidati e la commissione pranzino insieme, per osservare la capacità di lavorare in team. Ore 14: meeting in cui vengono presentati i risultati dell'esperimento e lo stato dell'analisi presieduto dallo spokesman italiano Fabiola Gianotti. Ore 16: scrittura di articoli per future pubblicazioni. Ore 19:30, acquisto di prodotti locali (carne eccezionale e vini eccellenti, vivo in Francia a 300 metri dal confine) oppure basket al campetto dietro casa, con vista sopraelevata su Genève e sul Lago Lemano. Ore 20: collegamento con il mio nipotino di due anni e mezzo via Skype (generazione digitale al 100%) e recita della filastrocca di mia composizione: “Con un anello grande e tondo qui scopriamo com'è nato il mondo”. Ore 21: cena (ho quasi imparato a cucinare qualcosa di commestibile!). Ore 23: controllo di parametri di funzionamento del detector, prima del fill di protoni notturno».

Giornata alquanto piena, come si può constatare: impegnativa ma divertente. Un italiano realizzato. Ah che invidia, Professor Grassi! Non si dimentichi di salutarci il bosone di Higgs!

 

Alberto Figliolia


 
 
 
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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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