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In libreria/ Antonia Izzi Rufo, Perché tu non ci sei più
21 Luglio 2012
 

Dopo una vita trascorsa in-sieme e non solo assieme, tra alti e bassi, tra piccoli-grandi problemi, tra dissidi e gioie, viene il dì di ritirarsi. Si progetta come trascorrere ciò che ci resta da vivere con il consueto decoro ma Il Fato spesso è beffardo ed inclemente, ci colpisce. Il marito s’ammala, Antonia lo cura amorevolmente e pur provata dalle fatiche della malattia del coniuge, ha ancora il sorriso che non la abbandona, ha uno scopo: curarlo ora come lo ha accudito per la vita trascorsa insieme. Un giorno l’addio definitivo e il dolore diventa indicibile, la solitudine la attanaglia: sa che non lo rivedrà più e ondate di cupa tristezza diventano la costante, i guardiani del suo essere, invadendola, lacerandola sia a livello affettivo che fisico. Non si può separare il fisico dal morale che tanta filosofia e teologia han diviso preventivamente. Antonia, che mai ha abbandonato gli studi e il gusto di scrivere, sembra che sospenda la sua attività così demoralizzata, colpita. Un anno dopo nasce da tal sofferenza un ottimo libro incentrato sull’agonia e l’esperienza luttuosa, poi ancora il silenzio che urla, dice ed ora tali pagine in cui il suo animo trova sfogo, un valore catartico riversando i suoi “stati d’animo” su pagine bianche. La sua poesia ha preso altra direzione (credo di averle recensito quasi tutti i suoi numerosi libri di saggistica e di narrativa e spesso le ho prefato e curato i suoi libri di critica che ha avuto dalla stampa): dagli sprint nell’azzurrità la tonalità è divenuta altra. Lo dice Lei stessa (p. 41): «Dov’è il mio azzurro?/ Te lo sei portato con te/ insieme al tuo/ col quale era fuso in armonia/ nel quale la tua luce si rifletteva nella mia/ e unico astro inscindibile/ nell’Immenso navigavamo felici». La vita e la letteratura, il legame lo si nota apertis verbis. Muta la prospettiva, l’ottica e resta la Solitudine e la sua accettazione sebbene sia terribilmente dura (cfr. p. 26) e “virilmente” così s’esprime, «al punto sono tornata/ di partenza/ non per ricominciare, per finire».

Certo, vorrebbe nutrirsi ancora di frutti ma ora le manca la pianta, il sostegno della sua anima come ben fa intendere nella poesia del 5 giugno 2011. Ormai è imprigionata dal dolore, dall’esser condannata a esser sola, deprivata del compagno e il suo animo è incatenato, privo di slanci e invoca l’aiuto dell’Amato che non è più (pag. 22). Il suo è un cercare ma invano, una perenne frustrazione, un perenne dolore cui non si può rimediare. L’ultima parola della nostra esistenza è stata pronunciata in modo categorico e ora, Antonia Izzi-Rufo, barcolla smarrita nel suo mare magnum di sofferenza con l’aggravante della memoria che mi riporta allo “specchio di Dioniso” nei Mysteri Dionisiaci. La memoria se, da un lato, mi rende sempre consapevole di me stesso, dall’altro si rivela una trappola: mi imprigiona nei ricordi, diventa una tortura quando l’oggetto amato mi manca e l’assenza lacera, l’abisso si fa profondo (rimando alle pagine magistrali di Proust, “La Fuggitiva” in A la recherche du Temps perdu, su cui per ovvi motivi non mi soffermerò, pur prospettando esaustivamente l’esperire luttuoso e depressivo). Dov’è ora il suo compagno? Lo vede in ogni cosa, in ogni fiore, in ogni manifestazione della Natura senza facili abbandoni religiosi, resta fondamentalmente laica e non per nulla questo diario di vita inizia con una frase tratta da Dei Sepolcri dell’immaginifico Foscolo. Vorrei conchiudere questa mia nota con una poesia:

«Son qui oggi, seduta per terra/ proprio dove tu sedevi./ I miei occhi vagano tra gli ulivi,/ alla ricerca di te,/ ma non ti scorgono./ Abbasso le palpebre,/ e tra le lacrime,/ ritrovo la tua immagine».

Al lettore la parola. Per me, Signora, dice molto, le sono nel cuore, lo sa.

 

Enrico Marco Cipollini

 

 

Antonia Izzi Rufo, Perché tu non ci sei più

L’Autore Libri Firenze, Scandicci 2012, pagg. 68, € 9


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