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“Licenziare i padreterni orgogliosi” 
Silvio Canova propone la sua ricetta sul Gazetin di ottobre
29 Ottobre 2011
 

Per lasciar traccia dell'uscita ottobrina del Gazetin pubblichiamo il contributo di un lettore, comparso sull'edizione cartacea.

Del numero, che ha raggiunto nel corso del mese tutti i fedeli abbonati, sono inoltre già disponibili on line l'intervento di Gabriele Corazza “Per Sonam Tsering”, purtroppo di drammatica attualità anche per i giovani monaci tibetani che hanno deciso di immolarsi col fuoco in segno di protesta contro la politica di Pechino; “Aurora e il sogno della liberazione”, sul film del giovane regista Piercarlo Paderno; la commemorazione della Battaglia di Mello (1° ottobre 1944) a cura dell'ANPI provinciale e l'S.O.S. LABOS CHIEDE AIUTO che da venti mesi non ci stanchiamo di diffondere, sempre contando su qualche attento ascolto. Segnaliamo poi che da questo numero ha preso avvio una nuova speciale Rassegna di affreschi devozionali e santelle votive nel Tiranese a cura dell'artista Michele Falciani, iniziativa editoriale che non mancherà di suscitare l'interesse dei lettori com'era avvenuto negli anni scorsi per quella dedicata alla bassa Valtellina.

 

 

Licenziare i padreterni orgogliosi”

E applicare finalmente la Carta costituzionale!


di Silvio Canova

 

Leggendo sul Gazetin i vari contributi politici per modernizzare l’Italia, accorpare i comuni, province sì/no, sono stato assalito dal dubbio amletico sull’utilità di tali proposte. Inequivocabilmente (finalmente lo ha riconosciuto anche Berlusconi) il bel paese è attanagliato da una profonda crisi economica/sociale/morale, che va ben oltre la crisi mondiale, che velocemente sta mandando a picco il paese Italia e paradossalmente la “casta politica” prima responsabile della crisi, non si sogna minimamente di fare un passo indietro per il suo fallimento, ma è indaffarata ad occupare tutte le scialuppe di salvataggio disponibili; e pazienza se l’Italia e gli Italiani affogheranno. I diciassette anni di berlusconismo, con brevi intermezzi di Ulivo e Unione, quasi gioiosamente ci hanno portato al disastro.

Il berlusconismo è stato spiegato sinteticamente e in modo completo proprio dallo stesso cavaliere, che da vero statista ne ha fatto il bilancio: “Di me possono dire solo che scopo”, anche se voci maliziose e fuori dal coro dicono che i soldi e i trapianti fanno miracoli, ma tant’è che, dal 1994 ad oggi, Berlusconi ha passato il suo tempo al telefono per utilizzare, scegliere, la mercanzia dai cataloghi di Tarantini, Fede, Mora, e successivamente sempre al telefono per coprire il tutto a suon di bigliettoni di denaro (sperando sia almeno suo). Morale: l’Italia per gran parte dei 17 anni berlusconiani è rimasta appesa al pisello del Primo Ministro, alle sue mirabolanti avventure e disavventure, cioè: consigli dei Ministri, dibattiti parlamentari, ribaltoni e rimpasti, questioni di fiducia e mozioni di sfiducia, riforme costituzionali e leggi ordinarie, consulenze Eni e Finmeccanica, indagini e processi, nomine ed epurazioni in Rai/Mediaset/La Sette/Mondadori, hanno ruotato tutte attorno al pisello presidenziale. Dalla parte dell’opposizione, il sistema dell’indecisione o dell’indecidibile al governo, ha provocato un danno d’immagine straordinario; lo scempio di personalità di governo che raramente concordavano tra di loro era la rappresentazione che la confusione si trovava nel governo e gli italiani, tramite il voto, chiesero decisione e ancora decisione, non sapendo di finire in uno Stato “Gran troiaio”. La Lega Nord, quella del cambiamento, dei padroni a casa nostra, combattente contro Roma ladrona, del “cappio” in parlamento contro i corrotti, la portatrice del federalismo padano, in vent’anni ha: concorso a rafforzare il centralismo Romano; consolidato i centralismi regionali; inventato il concorso di bellezza di Miss padania - il Giro ciclistico della padania e oggi Bossi, alle fonti del Po, annuncia che l’Italia sta colando a picco ma che c’è l’alternativa padania, cioè un paese che non esiste, un paese virtuale! La Lega Nord cointestataria della trasformazione in legge delle due ultime manovre finanziarie, fatte a distanza di pochi mesi una dall’altra, è cosa talmente centralista che a confronto il tanto vituperato centralismo della prima repubblica è rose e fiori; Lega e l’amico Tremonti hanno rifilato uno schiaffone all’autonomia delle istituzioni locali in nome del federalismo!

Ma al peggio non c’è mai limite: forse per il tanto tempo trascorso, il senatur si è pentito dell’incivile “cappio” esposto in parlamento e oggi passa a difendere il “mariuolo” vicino all’amico Giulio; al malandato ministro non piace vedere incarcerare la gente! Il federalismo alla padana, dopo 17 anni di parole, ha dimostrato di essere una “pagliacciata”; era evidente solo alle persone normali che in Italia il federalismo non può esistere, per un semplice motivo: che nel bel paese non esistono Stati da federare; basterebbe la volontà politica per dare le vere autonomie come peraltro è già previsto nella Costituzione Italiana, ma la “casta” era occupata a pensare ad altro.

L’ultima parte della casta, “il centro”, formato da gente cattolica (a modo loro), da moderati, che di fronte alla schifezza che è la politica italiana, reagisce con moderazione, attenti a non disturbare, senza il coraggio di non guardare in faccia nessuno, cercano di aggiustare qui, rimediare là; il moderatismo ha solo ricucito con il passato, non è stato capace di immaginare un futuro diverso. In questo marasma qualcuno ha il coraggio di riproporre un nuovo Ulivo, senza porsi la domanda se questa “casta”, unitissima nella difesa dei suoi privilegi, possa per davvero mettere in campo le indispensabili riforme di cui il paese ha bisogno; un paese normale risponderebbe picche, perché se il sistema è una “cancrena” le riforme possono farle solo gli incontaminati da tale malattia. Basta sentire accuse di antipolitica, basta alle invettive di qualunquisti, provenienti da chi pratica la politica con la “p” minuscola, necessita sradicare le posizioni corporative che stanno a difesa dello status quo. Basta con le più pazze manovre finanziarie del mondo, quelle che ballano tra Camera e Senato, annunciando nuovi balzelli, continue variazioni dei totali, sfracelli e sacrifici per la “casta” che responsabilmente annuncia sacrifici auto imposti, poi arriva l’approvazione in legge della manovra, con il solito voto di fiducia, e si scopre che la montagna ha partorito il “topolino di casta”.

Il balletto di cifre truccate nasconde l’invarianza dei saldi, una ennesima operazione gattopardesca che dice in che mani siamo. Vorrei evitare la solita scomunica dei miei amici politici; prendo pertanto a prestito le parole di un padre della Repubblica, Luigi Einaudi, per dire: “a Roma spadroneggia un gruppo di padreterni, i quali sono persuasi, insieme con qualche ministro, di avere la sapienza infusa nel vasto cervello. Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi, persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli nel procacciare il pane quotidiano. Troppo a lungo li abbiamo sopportati”. Il paese si può ancora salvare solo se avrà la forza di licenziare la “casta politica” e siccome Berlusconi non si dimetterà mai, l’unica via per liberare la Repubblica da questo regime è cacciarlo con un voto di sfiducia in parlamento, epperò qui esiste una maggioranza fragile ma coesa, costruita con il sistema dei favori e della protezione dalla legge e i servi hanno il timore di perdere i privilegi, le protezioni e si stringono sempre più attorno al loro signore; solo una mobilitazione oceanica di cittadini potrà far fare a costoro il passo indietro.

Si dovrà eleggere una Costituente, formata da esperti costituzionalisti con provata educazione civica, rappresentanti della società civile, veri rappresentanti dei territori che, lavorando con il “metodo della laicità” fatto di confronto e ascolto delle ragioni di tutti, partendo dall’intoccabilità della prima parte della carta costituzionale (principi), rielabori la seconda parte della Carta, per renderla moderna e rispondente ai cambiamenti avvenuti; si rafforzino pesi e contrappesi per il giusto equilibrio di potere fra istituzioni dello Stato (quello che non ha retto dell’attuale carta); si preveda una drastica riduzione del costo della politica, con una nuova architettura dello Stato; una vera semplificazione delle leggi (delle semplificazioni di Calderoli non si è accorto nessuno); introduzione della responsabilità individuale nell’amministrazione pubblica; insegnamento obbligatorio in tutti i gradi di scuole dell’educazione civica. Nella sede costituente si dovrà disegnare un quadro generale per la riduzione dei costi della politica e non proposte estemporanee, demagogiche dei nostri giorni; lì andranno previsti i tagli del numero dei parlamentari, la trasformazione del Senato in Senato delle Regioni; dimagrimento sensibile dello Stato centrale; dimagrimento delle regioni; revisione del numero delle province, riconoscendo loro nuove funzioni, più autonomia nella gestione del proprio territorio con le adeguate risorse economiche; sparizione delle regioni e province a statuto speciale; cancellazione di tutte le istituzioni di “secondo livello” (Comunità montane, Bim, ecc.); fuoriuscita della politica dalla gestione delle aziende pubbliche.

Necessitano tanti uomini di buona volontà (ce ne sono?) per lavorare a costruire un’Italia più giusta, meno disuguale, meno clientelare, meno disonesta, meno scambista, ma per far questo è urgente licenziare i padreterni e applicare finalmente la carta costituzionale. Bisogna riportare i partiti a fare politica, compito affidato a loro dalla Costituzione, rompendo corruttele e infiltrazioni del malaffare e il loro sistema di potere che pensa solo ad arricchirli. Parlare d’altro è come parlare di federalismo padano.

 

 

Ndd – Qualche contraddizione, caro Silvio, balza evidente anche nel suo ragionare: “applicare finalmente la carta costituzionale”, ma “eleggere una Costituente per farne una nuova”; “taglio del numero dei parlamentari”, ma “veri rappresentanti dei territori”... Non sarà che, nel dibattito politico, hanno concreta possibilità di circolare soltanto certe – le poche e le solite – proposte, divenute null’altro che luoghi comuni? (Mi sono permesso questa annotazione, perché il nostro commentatore politico Canova è solito inviare i suoi contributi come ‘lettera al Direttore’. – Es)

 

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